Fiamma Nirenstein
Benjamin Netanyahu.
È venuta sul tramonto mediorientale del giorno della Shoah israeliano, mentre dalla zona orientale di Rafah (non proprio dalla città dunque) si alzava una nuvola causata da un paio di proiettili israeliani, i carri armati sul bordo si preparavano a eventuali prossime azioni, gli abitanti delle zone più fitte si avviavano verso le strutture di soccorso preparate da israeliani e americani verso Khan Yunes: dopo mesi di tentennamenti con la decisione di entrare nella roccaforte di Sinwar, il capo di Hamas Ismail Haniyeh evidentemente non indifferente all’ingresso israeliano, telefona al presidente del Qatar e gli dice che accetta la tregua proposta dai mediatori egiziani. E’ un accordo sulla restituzione di parte degli ostaggi, su cui aveva detto di no alle quattro di pomeriggio? Quanti? Quando? Chi? Contro quanti prigionieri palestinesi? Non si sa ancora niente. Per ora il governo israeliano annuncia che cercherà di capirne si più. La sorpresa non è piccola: è la prima volta, in questa fase, che Hamas accetta l’accordo per un cessate il fuoco non definitivo, e lo fa proprio nel modo in cui aveva previsto Israele, da Netanyahu a Gantz: con la pressione militare.