L’archivio dei destini Gaelle Nohant
Traduzione dal francese di Luigi Maria Sponzilli
Neri Pozza Euro 20
Oggetti perduti, persone scomparse, ricercatori che cercano di restituire una voce alle vite spezzate nei lager nazisti. C’è un filo invisibile nel bel romanzo di Gaelle Nohant “L’archivio dei destini” che lega un passato terribile alla nostra epoca dove il dovere della Memoria impone di agire per evitare che quelle storie scivolino nell’oblio.
Nell’inverno 2020 l’autrice scopre per caso l’esistenza dell’International Tracing Service a Bad Arolsen nel cuore della Germania, un centro archivistico creato dagli Alleati dopo la guerra in cui gli archivisti conducevano indagini per far luce sulle vittime del nazismo, in base alle richieste dei loro familiari. Si tratta di un grande centro di documentazione, informazione e ricerca sulla persecuzione nazista in Germania e nelle regioni occupate contenente circa 30 milioni di documenti dei campi di concentramento, dettagli sul lavoro forzato e schede di persone deportate. Con «ventisei chilometri di scaffali, cinquanta milioni di fascicoli, mappe, disegni, grafici, quaderni, liste (anche la famosa Lista di Schindler), effetti personali, fotografie» quello di Arolsen è il più grande archivio al mondo sulla deportazione nazista. Dal 2013 l'ITS è stato inserito nel programma Memoria del mondo dell'UNESCO.
Ma è stato quando Gaelle Nohant ha appreso che dal 2016 l’archivio ha avviato la missione “Stolen Memory”, che mira a restituire ai loro discendenti gli oggetti appartenuti ai deportati e recuperati in alcuni lager, che ha capito di aver trovato uno splendido soggetto per un romanzo. Attraverso questi umili oggetti, piccoli “testamenti simbolici” si può far luce sulla vita delle persone scomparse e far loro ritrovare un posto fra noi: “per riparare un legame spezzato dal nazismo” ma anche per interrogarci sulla trasmissione di un passato doloroso.
Ispirata alla figura di Nathalie Letierce-Liebig, coordinatrice del dipartimento di ricerca degli Archivi di Arolsen, la protagonista del romanzo Irène è francese e dal 1990 lavora nell’archivio di Bad Arolsen dove è arrivata rispondendo ad un annuncio sul giornale senza sapere che “qualche volta cercando i morti, troviamo i vivi”. Sposata con un tedesco da cui si è separata in modo burrascoso per un motivo che solo nel prosieguo della trama sarà svelato, ha cresciuto da sola il figlio facendo del lavoro il centro della sua esistenza.
Nel 2016 la nuova direttrice Charlotte Rousseau le affida un nuovo incarico: restituire ai discendenti dei proprietari originari alcuni oggetti rinvenuti nei campi di sterminio.
“Forse ci sono dei figli, dei nipoti. Immagina che significato avrebbe per loro ricevere quegli oggetti venuti da tanto lontano? Oggi, nella loro vita. Come un testamento…”.
Quegli oggetti nascondono segreti, raccontano una storia e ci parlano della sorte degli internati nei campi di concentramento e del doloroso percorso compiuto dalle vittime prima di soccombere alla ferocia nazista.
Fra questi reperti da restituire Irène trova in una scatola un Pierrot scolorito che contiene nella veste un numero di matricola. Il bambino proprietario di quel Pierrot è sicuramente scomparso nelle camere a gas ma la ricerca che intraprende Irène la conduce sulle tracce di Lazar Engelmann, un sopravvissuto di Treblinka che dopo la guerra cercando di ricostruirsi una vita è giunto a Salonicco, si è innamorato di una giovane ebrea ma le ferite inflitte dal campo di sterminio lo hanno indotto a ripartire. Forse ha lasciato un figlio di cui non sa nulla…. Irène vuole scoprirlo per potergli restituire quel Pierrot.
C’è un altro oggetto nell’archivio giunto con una missiva indirizzata proprio a Irène: un medaglione con l’immagine della Madonna e all’interno il disegno di un bambino biondo, con un nome e una data. Il medaglione è stato recapitato all’archivio da un nipote con una lettera da cui apprendiamo che la nonna Elsie, guardiana nel campo di Ravensbruck, ha rubato quell’oggetto a una prigioniera. Irène con pazienza e determinazione si mette sulle tracce di quella prigioniera e così facendo entra in contatto con altri sopravvissuti come Sabina che ha subito atroci esperimenti dai medici nazisti e con Piotr Walinski un polacco che aiutava le organizzazioni alleate adoperandosi per ritrovare i bambini di aspetto ariano rapiti alle proprie famiglie dai nazisti per darli a famiglie che ne facessero dei veri tedeschi.
Nel corso delle ricerche salta fuori anche un fazzoletto ricamato da alcune prigioniere e che ora Irène vuole restituire ai discendenti.
Da questo momento Irène è coinvolta nelle ricerche in modo totale, anche la sua vita privata passa in secondo piano: indaga e viaggia alla ricerca dei discendenti dei deportati che si trovano in tutto il mondo. L’accompagniamo in Polonia, Francia per seguire tracce che conducono fino in Argentina e a Salonicco e grazie alla visita di Lucia Heller al centro di Bad Arolsen ricostruisce anche la storia di Eva Volmann, ormai deceduta: una donna ferita nell’anima ma con la determinazione di una tigre che le ha fatto da mentore quando la giovane archivista è arrivata all’ITS. Il racconto della perdita dei familiari durante la rivolta del ghetto di Varsavia e della deportazione ad Auschwitz, contenuto in una vecchia registrazione conservata al Centro, ricongiunge Eva alla cugina Lucia venuta a cercarla da Buenos Aires.
Nel romanzo che intreccia con percorsi paralleli passato e presente, l’autrice racconta non solo storie di coraggio e solidarietà ma anche le responsabilità e il ruolo che ciascuno scelse in quella tragedia e di conseguenza il peso sui discendenti di coloro che si resero complici dello sterminio, i collaborazionisti e chi agì in modo attivo nei confronti dei deportati come nel caso del medaglione.
L’archivio dei destini interroga non solo la Memoria ma solleva dei quesiti che rimandano “alla nostra responsabilità individuale di fronte alle forme di disumanità a cui potremmo partecipare anche indirettamente o scegliendo di non vedere”.
Alla fine Irène trova la spiegazione ad una frase che le disse Eva al momento della sua assunzione “non si arriva mai per caso a Bad Arolsen”. Nelle ultime pagine infatti si chiude un cerchio in cui la protagonista ritrova un pezzo del suo passato nella figura del nonno Jean, un ferroviere taciturno che ha saputo rimanere umano nel cuore dell’inumanità con piccoli gesti di carità e di cui lei non ha mai saputo nulla.
Con questo libro frutto di lunghe ricerche, analisi di documenti storici e di testimonianze oltre che di viaggi nei luoghi della protagonista, Gaelle Nohant autrice di romanzi di successo (con L’archivio dei destini ha vinto il Grand Prix RTL Lire Magazine littéraire 2023) ci guida nel cuore nero della Seconda Guerra Mondiale e intrecciando il piano della Storia e quello dei legami ritrovati affronta attraverso personaggi nati dalla sua fantasia (“ma ciò che accade loro nel romanzo è stato vissuto realmente da alcune persone durante la guerra”) la sfida di mantenere viva la memoria dello sterminio nazista e renderla attiva per le nuove generazioni.
Perché leggere questo romanzo? Lo spiega in modo magistrale l’autrice in un’intervista:
“Adesso che i testimoni stanno scomparendo e i discorsi dei negazionisti occupano la scena, il “dovere della memoria” non sempre arriva a parlare alle nuove generazioni. Perciò è importante trovare delle forme contemporanee per far vivere questa storia, permettendogli di illuminare il nostro presente. Per questo ho voluto che il mio libro fosse anche una riflessione sulla memoria e sul “romanzo nazionale”, tenendo conto delle domande che ci si pongono oggi per combattere il fascismo e ogni forma di negazione dell’umanità”.
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