sabato 11 maggio 2024
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Raymond Aron - Libertà e uguaglianza - 27/10/2015 -
Dizionario innamorato dell’ebraismo 21/08/2014 -

Jacques Attali
Dizionario innamorato dell’ebraismo
Fazi

Che strano oggetto culturale è mai un "dizionario innamorato"? Ancora più bizzarro se si considera che il destinatario dell'amore in questione è quell'ebraismo da molti "denunciato come dottrina degli assassini del Messia, come pratica degli usurai che sfruttano il mondo intero, dei cospiratori e degli assetati di sangue, pretesto di milioni di omicidi". Ma questo non è certo il punto di vista di Attali, nato in Algeria da genitori ebrei francesi e dedito allo studio di questa religione non solo per averla ereditata dalla sua famiglia, ma anche in risposta a un vivo interesse culturale. Quello che ci restituisce in questa serie di voci, da "Abele" a "Zohar", non è affatto un sapere enciclopedico o nozionistico, bensì il tentativo di interpretare e vivificare un'eredità personale e culturale dalla portata globale. Il mosaico che si compone voce dopo voce, tassello dopo tassello, ci offre un ritratto dell'ebraismo profondo e lontano dai luoghi comuni. Un ebraismo la cui storia millenaria, sintetizzata da Attali nelle pagine introduttive, è segnata dal confronto e dallo scambio con le altre civiltà e che diviene oggi, in forza della sua spiccata singolarità, un baluardo della resistenza a una certa globalizzazione. Da leggere tutto d'un fiato o da sfogliare saltando di voce in voce, questo dizionario è un percorso di autoconoscenza anche per chi dell'ebraismo è solo curioso.

Jacques Attali - Gli ebrei, il mondo, il denaro. Storia economica del popolo ebraico - 24/02/2016 -
Di pura razza italiana 17/01/2014 -

Mario Avagliano
Marco Palmieri
Di pura razza italiana
Baldini & Castoldi


Alla fine degli anni Trenta, con la conquista dell'Etiopia e la proclamazione dell'Impero, l'Italia fascista sente il bisogno di affiancare alla nuova coscienza imperiale degli italiani anche una coscienza razziale. Ben presto dal "razzismo africano" si passerà all'antisemitismo, e nel 1938 in pochi mesi si arriverà alle fatidiche leggi razziali che equivalsero alla "morte civile" per gli ebrei, banditi da scuole, luoghi di lavoro, esercito, ed espropriati delle loro attività. Tutti gli italiani "ariani" aderirono, dai piccoli balilla che non salutavano più i compagni, a gente comune e alti accademici che volsero le spalle agli ex amici. La bella gioventù dell'epoca (universitari, giornalisti e professionisti in erba) rappresentò l'avanguardia del razzismo fascista. Molti di loro avrebbero costituito l'ossatura della classe dirigente della Repubblica, ma quasi tutti in quel quinquennio furono contagiati dal virus antisemita. Ecco perché per circa sessant'anni c'è stata una sorta di autoassoluzione nazionale che gli storici non hanno pienamente rivisto. Per restituirci un'immagine più veritiera dell'atteggiamento della popolazione di fronte alla persecuzione dei connazionali ebrei, Avagliano e Palmieri hanno scandagliato un'enorme mole di fonti (diari, lettere, carteggi burocratici e rapporti dei fiduciari della polizia politica, del Minculpop e del Pnf) dal 1938 al 1943.
Ne è emersa una microstoria che narra un «altro Paese», fatto di persecutori (i funzionari di Stato), di agit-prop (i giornalisti e gli intellettuali che prestarono le loro firme), di delatori (per convinzione o convenienza), di spettatori (gli indifferenti) e di semplici sciacalli che approfittarono delle leggi per appropriarsi dei beni e le aziende degli ebrei. Rari i casi di opposizione e di solidarietà, per lo più confinati nella sfera privata. Complessivamente in quegli anni bui molte persone si scoprirono di pura razza italiana e i provvedimenti razziali riscossero il consenso maggioritario della popolazione.

Auschwitz ero il numero 220543 02/09/2013 -

Denis Avey con Rob Broomby
Auschwitz ero il numero 220543
Newton Compton

E’ una storia sconvolgente che commuove nel profondo quella che giunge a noi dopo più di sessant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Il racconto scioccante che il giornalista della BBC, Rob Broomby, ha reso pubblico nel 2009, è la testimonianza di Denis Avey, un soldato inglese che arruolatosi nel 1939 nell’esercito britannico, combatte nel deserto durante la seconda guerra mondiale, viene fatto prigioniero e traferito prima in Italia e poi nel campo di prigionia vicino ad Auschwitz III. Nel 1944 questo giovane soldato che durante il giorno è costretto ai lavori forzati insieme ai detenuti ebrei, compie un gesto di estremo coraggio per il quale nel marzo del 2010 è stato insignito della medaglia di “eroe dell’Olocausto”. Dopo aver intuito le atrocità che attendono gli ebrei ogni sera al ritorno nel campo di sterminio, Denis Avey decide di scambiare la sua uniforme di militare inglese con la casacca a righe di un ebreo olandese di nome Hans ed entrare nella sezione riservata ad essi nell’inferno di Auschwitz. Da quel momento Denis diventa un testimone prezioso delle atrocità commesse a danno degli ebrei ed inizia la sua strenua lotta per salvare la propria vita e quella di tanti altri prigionieri.
“Questo è un libro di capitale importanza – scrive Martin Gilbert nella prefazione – perché ci riporta subito alla mente i pericoli che incombono sulla società quando intolleranza e razzismo riescono a mettere radici”.
Leggere la testimonianza di Denis Avey , il cui “gesto di umanità rappresenta un raro spiraglio di luce e di pietà”, è un tributo all’autore e a tutti coloro che non hanno potuto raccontare, le cui esistenze rivivono attraverso il racconto di un uomo che, a rischio della propria vita, ha scelto di tenere viva la fiaccola della Memoria.

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