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David I. Kertzer - Il patto col diavolo. Mussolini e Papa XII, le relazioni segrete tra il vaticano e l’Italia fascista - 25/11/2020 -

«I cattolici italiani non potevano avere dubbi che, nel sostenere Mussolini, stessero seguendo i desideri del papa», scrive lo storico americano David I. Kertzer nel suo Il patto col diavolo. «Lui stesso, rivolgendosi a un gruppo di studenti universitari due giorni dopo la firma [del Concordato], spiegò come si fosse finalmente giunti allo storico accordo. Forse, disse loro, aveva aiutato il fatto che alla guida di una delle parti ci fosse un bibliotecario, esperto nel setacciare documenti storici [cioè lo stesso Papa]. “E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale”». Mussolini, per Pio XI, non era un qualsiasi «uomo della Provvidenza», come da allora è stato ricordato spesso. Era quel particolare «uomo della Provvidenza» che «non aveva le preoccupazioni della scuola liberale». Religione di stato, scuola di stato, cinema di stato, stampa di stato, morale (e persino mistica) di stato, cioè un paese non favorito ma fatto a brani dalla Provvidenza e dall’uomo forte che ne incarnava i disegni: Mussolini aveva esorcizzato la nazione anticlericale di Cavour, di Garibaldi e dei massoni e aveva riconciliato il paese col Vaticano. Era la fine dell’Italia liberale, una breve parentesi della nostra storia, e l’alba dell’Italia come la conosciamo: il paese era caduto, purtroppo definitivamente, nelle mani delle due potenze – la piazza e la chiesa, questa illiberale e irresponsabile, quella sovversiva e violenta – che da allora lo tengono in pugno. Nel frattempo, naturalmente, sia la piazza antipolitica che la chiesa anticapitalistica hanno mutato più volte pelle, la sinistra è diventata di destra e viceversa, la religione è passata dal populismo allo chic teologico e poi di nuovo al populismo, ma la sostanza culturale di quel patto di sangue tra nemici del liberalismo rimane intatta.

All’epoca «La Civiltà Cattolica – come molte altre pubblicazioni della Chiesa – [avvertiva] che gli ebrei erano la forza malvagia dietro una pericolosa macchinazione. [Gli ebrei erano] i padroni segreti sia del comunismo sia del capitalismo, con l’obiettivo di schiavizzare i cristiani». Oggi non è più così facile o normale perseguitare i giudei, come sotto i due uomini che la Provvidenza aveva fatto incontrare, ma di vittime per i sacrifici umani c’è sempre abbondanza: gli zombie e «le facce da culo» invise a Beppe Grillo, i ricchi che diventano sempre più ricchi del papa peronista, gli evasori fiscali, chi si permette di criticare la realpolituk sanitaria di Giuseppe Conte, Non ci si accorda più, tra fieri avversari del liberalismo e della «licenza», per porre fine all’«agghiacciante spettacolo» delle «esibizioni burlesque» nei cinema romani, i cui proprietari «avevano scoperto di poter attirare più clienti facendo esibire ballerine durante gli intervalli. Queste giovani, diceva il gesuita Tacchi Venturi, erano “con l’abbigliamento della loro madre Eva avanti colpa, salvo una sottile benda e fascia alle parti, incentivo piuttosto che schermo alle impure brame della concupiscenza”». Non si combatte più il «burlesque», tranne che nei casi estremi, si capisce, quando a praticarlo e a sfogare «le impure brame della concupiscenza» sono i nemici politici. Così come non c’è più bisogno, da parte del potere politico, di ombattere le organizzazioni religiose, come fece Mussolini con l’Azione cattolica. Né c’è più bisogno – per combattere «il cancro» (o «la sifilide», a scelta) liberale – di far saltare la nazione intera nel cerchio di fuoco, di mettere i bambini di tre anni in camicia nera e di dichiarare guerra, oltre che agli Alleati, alla «donna-crisi» e alla vita comoda. Oggi, molto più efficacemente, si combatte il liberalismo agitandone la bandiera, come fa dal 1994 il partito berlusconiano (e dal 1945 il partito cattolico, compreso il poco che ne rimane oggi). Alla fine — quando la guerra (e le leggi razziali) devastarono l’Europa — Pio XI si sarebbe pentito d’avere congiurato, fin dall’insediamento, contro ogni forma di «governo parlamentare» e d’aver salutato con gioia l’avvento del Dux («l’uomo forte svincolato dalla cacofonia del bisticcio multipartitico», come scrive Kertzer). Ma era troppo tardi: l’intera chiesa italiana, a quel punto, era fascistizzata, e il suo tentativo d’ammorbidire le leggi razziali, restaurando le condizioni che il papato aveva tradizionalmente riservato ai giudei, cioè evitando di deportarli e di gassarli ma limitandosi a prenderli occasionalmente a schiaffi, risultò patetico e grottesco. Se Pio XI, come fa notare Kertzer, oggi «è stato dimenticato», una ragione c’è. Pio XII, suo segretario di stato e suo successore, persino più compromesso di lui col Dux e col Führer, meritava a sua volta l’oblio, ma è stato beatificato.

Diego Gabutti
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