Il conto alla rovescia
Commento di David Elber
Joe Biden e Benjamin Netanyahu. E' soprattutto l'amministrazione Usa che preme perché Israele si fermi e non vinca la guerra con Hamas
Siamo forse giunti all’epilogo dell’offensiva militare condotta da Israele, per debellare i terroristi genocidi di Hamas. Questo, non perché Hamas sia stato sconfitto ma, a causa degli incessanti ricatti di cui è vittima Israele da mesi. Tali ricatti sono, principalmente, portati avanti dall’Amministrazione Biden e in seconda battuta dal resto della comunità internazionale. Nei mesi scorsi si è iniziato con la fiction della “crisi umanitaria”, poi si è proseguito con l’accusa di genocidio portata avanti presso la Corte Internazionale di Giustizia, successivamente con il tentativo di riconoscere lo “Stato di Palestina” al Consiglio di Sicurezza, poi con la minaccia di sanzionare il battaglione Netzah Yehuda per presunte “gravi violazioni” non meglio precisate e conseguentemente di screditare tutto l’esercito di Israele. Infine, l’ultimo capitolo – per ora – è la ventilata minaccia di scatenare il Tribunale Penale Internazionale contro le figure di spicco dell’esecutivo e dei vertici militari. Appare del tutto evidente che dietro a questi – solo apparentemente – disarticolati ricatti ci sia la regia degli USA. Infatti, l’amministrazione Biden sta usando la politica del bastone e della carota per ammorbidire la posizione del governo Netanyahu; minaccia direttamente, fa muove pedine apparentemente non colluse (ultimo il Tribunale Penale Internazionale), per poi intervenire “a difesa” dello Stato ebraico (ad esempio con il veto al Consiglio di Sicurezza). Però chiedendo, sempre, qualcosa in cambio: il ritiro delle truppe da Gaza, lo stallo nelle operazioni militari, la fine – ancor prima che inizi – dell’offensiva su Rafah. Tutto questo per mere ragioni elettorali.
Purtroppo le “ragioni” americane sono, in questo momento, in antitesi con quelle di Israele e, costringere Israele alla resa, porterà alla sopravvivenza di Hamas che può essere vista come il conto alla rovescia verso la distruzione di Israele. Oggi questa ipotesi pare irrealistica perché Israele è forte economicamente e militarmente, ma sarà così anche in futuro dopo la sconfitta di Gaza?
Proviamo a tratteggiare il futuro prossimo post bellico. Con il cessate il fuoco si assisterà ad una gara internazionale per offrire enormi aiuti economici che, come in passato, finiranno nelle tasche di Hamas. Poi sarà la volta dei materiali che saranno, in parte, utilizzati per ricostruire le infrastrutture dell’organizzazione genocida sia in superficie che sotto terra. Poi ci saranno le organizzazioni “umanitarie” che faranno a gara per accaparrarsi la loro fetta e fare da cassa di risonanza internazionale per i terroristi, altrimenti non potranno operare sul territorio, questo nell’indifferenza generale. In parole povere sarà il solito vecchio copione già visto nel 2009, nel 2012 e nel 2014. Oggi, però, con una novità: se il cessate il fuoco avverrà per la liberazione di 33 ostaggi, degli altri 102 ancora nelle mani dei genocidi di Hamas cosa sarà? Inoltre, sono vivi o sono morti? Molto probabilmente sono già morti ma serviranno per i futuri ricatti e come garanzia che la guerra non riprenda più.
Per contro Israele cosa otterrà? Delle “garanzie” americane che non valgono la carta in cui sono scritte; un’ampia fetta del territorio sud del paese che rimarrà disabitata, perché, giustamente, la popolazione avrà paura di far vivere la propria famiglia a stretto contatto con assassini e stupratori; un inevitabile calo degli investimenti esteri perché nessuno vuole rischiare i propri soldi in un capitale umano che viene assassinato e fabbriche che vengono distrutte. Infine, una deterrenza militare completamente minata dall’incapacità di vincere una guerra contro una banda di tagliagole e stupratori che sembra essere uscita da un libro di storia medievale. Ultimo ma non ultimo, Israele si troverà completamente isolato politicamente e diplomaticamente con le immaginabili conseguenze all’ONU (un autentico fiancheggiatore di Hamas); odiato dall’opinione pubblica mondiale perché dipinto come l’aggressore e non l’aggredito, con le conseguenti minace di subire embarghi economici, culturali e militari ogni volta che proverà a difendersi.
In conclusione per il bene di Israele si è costretti a sperare nell’intransigenza di Hamas più che nell’appoggio dell’alleato americano. La storia, infatti, ha sempre mostrato che gli arabi non perdono occasione di perdere un’occasione, mentre gli americani non si fanno scrupoli a “mollare” gli alleati quando lo ritengono più conveniente.
David Elber