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Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
04.08.2013 Gerusalemme non è una colonia. E' la capitale di Israele
perciò è impossibile sostenere che gli ebrei la stiano 'colonizzando'

Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 04 agosto 2013
Pagina: 13
Autore: Carlo Antonio Biscotto
Titolo: «Gli ebrei colonizzano la Città Vecchia: via gli arabi dal cuore di Gerusalemme»

Riportiamo dal FATTO QUOTIDIANO di oggi, 04/08/2013, a pag. 13, l'articolo di Carlo Antonio Biscotto dal titolo "Gli ebrei colonizzano la Città Vecchia: via gli arabi dal cuore di Gerusalemme".

Jerusalem-capital-of-Israel.jpg
Gerusalemme non è una colonia, ma la capitale di Israele

La titolazione del pezzo è totalmente sbilanciata contro gli ebrei.
Gerusalemme è la capitale unica e indivisibile di Israele, non è ben chiaro, perciò, per quale motivo ad un ebreo israeliano dovrebbe essere vietato comprare una casa e andarci a vivere. Quella che viene definita 'Città Vecchia' non è altro che un quartiere della città. Nessuno vieta agli arabi di viverci, non si capisce per quale motivo per gli ebrei dovrebbe essere diverso.
Gli ebrei che si trasferiscono nella 'Città vecchia' non sono coloni, ma semplici cittadini.
L'articolo, comunque, ha lo stesso tono del titolo. Biscotto scrive : "
I palestinesi accusano gli ebrei di portare avanti un programma di colonizzazione della Città Vecchia.". Come abbiamo già scritto sopra, non c'è nessuna 'colonizzazione di Gerusalemme', dato che quest'ultima è la capitale unica e indivisibile di Israele.
 Biscotto scrive che la 'colonizzazione' avviene in questo modo : "
 I coloni sono entrati in possesso di case di famiglie arabe che vivevano qui da secoli e dalle finestre fanno sventolare orgogliosamente e provocatoriamente la bandiera di Israele.". Secondo questa logica, a Gerusalemme una casa non può cambiare proprietario, non può venire venduta, nè data in affitto a qualcuno che non appartenga allo stesso nucleo famigliare e alla stessa etnia del primo proprietario. Una logica piuttosto razzista, specie dal momento che viene applicata solo se l'ultimo acquirente è ebreo. Per quanto riguarda le bandiere israeliane appese, perché sarebbero una 'provocazione'? Gerusalemme è in Israele, ne è la capitale. E' normale vedere sventolare bandiere di uno Stato nella propria  capitale.
Biscotto, nell'articolo, descrive la situazione di un condominio in cui vive da tre generazioni anche la famiglia araba Najib : "
 Da trenta anni i piani superiori della palazzina ospitano una yeshivah, una scuola religiosa ebraica. "Studenti, insegnanti e guardie di sicurezza fanno rumore, gettano la spazzatura giù per le scale e spaventano i bambini. Cantano, pregano, fanno musica e sbattono le porte giorno e notte", si lamenta Youssef Najib. ". La Yeshivah dà fastidio al signor Najib perché è rumorosa, come tutte le scuole. Si canta, si prega e le porte vengono sbattute. Nessuno nega che il rumore sia uno dei problemi tipici di chi vive in condominio, ma vederci un segnale di colonizzazione, ha del ridicolo. Per altro, anche i centri di preghiera islamici sono rumorosi. Tutti i luoghi frequentati da molte persone lo sono. Per quale motivo una yeshivah dovrebbe fare più notizia?
Come scrive Biscotto stesso, gli appartamenti e le case vengono acquistati dagli ebrei in maniera legale, non con violenze e intimidazioni.
Abu Mazen si è espresso chiaramente per quanto riguarda il futuro Stato palestinese, dovrà essere 'judenrein'. In Israele, invece, ci sono anche cittadini arabi e godono degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Gerusalemme, capitale dello Stato ebraico, non fa eccezione. Chiunque può abitarci, se gli arabi cercano un luogo senza ebrei, possono rivolgersi all'Anp o ai terroristi della Striscia. Là saranno sicuri di non trovarne nemmeno uno.
Ecco il pezzo:

L’antico quartiere arabo nel centro della Città Santa attraversato dalla Via Crucis percorsa duemila anni fa da Gesù diretto al patibolo, sta perdendo la sua identità. La famiglia Najib abita qui da tre generazioni e ogni giorno per tornare a casa deve affrontare la sua piccola via crucis. La stradina e le scale sono ostruite da guardie israeliane armate e dai comportamenti tutt'altro che amichevoli. I Najib a volte sopportano in silenzio, altre protestano: "Scansatevi, lasciateci passare. Abitiamo qui". Ma i Najib temono che ormai la battaglia che stanno portando avanti insieme ad altre famiglie arabe sia persa. Teatro dello scontro è la Città vecchia di Gerusalemme, enclave cintata da alte mura con una superficie inferiore al chilometro quadrato nella quale abitano musulmani, ebrei, cristiani e armeni. E’ il centro vitale delle tre grandi religioni monoteistiche e attira turisti e pellegrini da ogni parte del mondo. Le sue stradine sono percorse da sacerdoti, rabbini e imam diretti verso la chiesa del Santo Sepolcro, il Muro del pianto o la moschea di al-Aqsa. I palestinesi accusano gli ebrei di portare avanti un programma di colonizzazione della Città Vecchia. Gli israeliani rispondono che si stanno riprendendo terre assegnate loro da Dio. Sta di fatto che nel quartiere arabo vivono ormai circa mille coloni ebrei accanto a 31.000 musulmani. I coloni sono entrati in possesso di case di famiglie arabe che vivevano qui da secoli e dalle finestre fanno sventolare orgogliosamente e provocatoriamente la bandiera di Israele. La famiglia Najib è composta da otto adulti e quattro bambini. L'appartamento ha tre stanze e i figli più grandi sono andati a vivere altrove. Affacciandosi al piano terra si vedono sventolare al secondo piano cinque bandiere israeliane. Da trenta anni i piani superiori della palazzina ospitano una yeshivah, una scuola religiosa ebraica. "Studenti, insegnanti e guardie di sicurezza fanno rumore, gettano la spazzatura giù per le scale e spaventano i bambini. Cantano, pregano, fanno musica e sbattono le porte giorno e notte", si lamenta Youssef Najib. I responsabili della yeshivah si sono rifiutati di rilasciare dichiarazioni a Harriet Sherwood, la giornalista dell'Observer che ha incontrato la famiglia Najib. Daniel Luria, portavoce di Ateret Cohanim, l'organizzazione cui fa capo la scuola, chiarisce che nessuno dei coloni è disposto a farsi intervistare. "Ci considerano occupanti mentre i musulmani sono considerati i legittimi residenti del quartiere. Non è giusto", commenta. Ma Ateret Cohanim non si occupa solamente di questioni religiose e della gestione della scuola. In realtà aiuta gli ebrei ad acquistare immobili nella Città Vecchia e a Gerusalemme est per realizzare quello che Luria stesso definisce il "progetto di recupero spirituale" della città. Finora la sola Ateret Cohanim ha concluso la compravendita di almeno 50 immobili nel quartiere arabo. Secondo un rapporto pubblicato nel 2009 dall'Ipcc, un'organizzazione palestinese, Ateret guida il "processo di ebraizzazione della Città Vecchia". Le proprietà sono state acquistate ricorrendo a tre diversi metodi: rivolgendosi al tribunale e facendo sfrattare gli arabi sostenendo che storicamente una certa proprietà apparteneva agli ebrei, occupando immobili "temporaneamente vuoti" o stipulando contratti di compravendita servendosi di prestanome. Ateret Cohanim ammette che a volte gli acquirenti si servono di intermediari arabi: "La legge araba dice che un arabo va ucciso se vende le sue proprietà a un ebreo", spiega Luria. "Gli arabi vanno protetti perché anche se vogliono vendere non possono farlo apertamente". Al momento Ateret Cohanim ha messo nel mirino immobili nei pressi della Porta di Erode e non lontano dal Muro del pianto. "Questo è il luogo sacro della nostra cultura, perché non dovremmo farvi ritorno? E poi siamo disposti a pagare bene. Non cacciamo la gente di casa. Gli ebrei hanno il diritto di comprare una casa qui così come la comprano a Londra o a New York" aggiunge Luria. "I veri occupanti abusivi sono gli arabi, non noi. Se hanno problemi a vivere accanto agli ebrei, possono andare a vivere altrove". Negli ultimi anni la popolazione nella Città Vecchia è raddoppiata e il sovraffollamento ha aggravato tutti i problemi sociali, povertà compresa. Secondo un rapporto Onu la densità demografica nel quartiere arabo è quasi tre volte superiore a quella del quartiere ebraico e molte case palestinesi sono prive di acqua corrente e di fognature. Per godere del diritto all'assistenza sanitaria e alla scuola gratuita, i palestinesi debbono dimostrare che a Gerusalemme hanno il "centro principale" delle loro attività. Tra il 2006 e il 2011 a oltre 7.000 palestinesi è stata revocata la residenza a Gerusalemme e con essa l'accesso ai servizi sociali. Per molti è stata una vera tragedia.

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