Perché Israele non deve lasciare il corridoio Philadelphi
Analisi di David Elber
Il corridoio di Philadelphi è il confine fra Egitto e Striscia di Gaza. Viene presidiato dagli israeliani per impedire che Hamas prenda armi di contrabbando dall'Egitto. Nei negoziati Netanyahu rifiuta di ritirarsi da quella posizione. E ha ragione: Hamas si riarmerebbe subito.
Uno dei punti che sembra far deragliare l’intesa per il cessate il fuoco a Gaza, è il controllo israeliano del corridoio denominato Philadelphi, cioè il confine tra la Striscia di Gaze e l’Egitto. Da un lato c’è la posizione di Hamas, dell’Egitto e del Qatar (con l’appoggio dell’amministrazione Biden/Kamala Harris), che vogliono che Israele si ritiri completamente dal confine; dall’altro c’è la posizione del governo israeliano (minata purtroppo da tanti elementi dell’esercito e dell’intelligence) che sembra irremovibile nel non voler ritirarsi dal confine.
Ora cercheremo di spiegare perché la posizione assunta da Netanyahu è quella corretta e vitale per la sicurezza di Israele per gli anni a venire.
Per prima cosa pensare che una “forza internazionale” o l’Autorità Palestinese o una “forza di eserciti araba” possa garantire che i traffici illeciti cessino di transitare dal confine di Rafah, dopo il ritiro dell’esercito israeliano, è una illusione talmente stupida che il solo pensarlo qualifica chi la sostiene. Per quel che concerne una forza internazionale, infatti, basta svolgere lo sguardo un po' più a nord per vedere il vergognoso fallimento della missione UNIFIL in Libano per capire che questa opzione è inutile e dannosa. UNIFIL schiera oltre 10.000 soldati, dal 2006, con il preciso intento di disarmare tutte le banda armate (escluso l’esercito regolare libanese) a sud del fiume Litani, come previsto dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza. Il risultato dopo 18 anni quale è stato? È stato quello di permettere ai terroristi di Hezbollah di diventare una forza armata molto più forte dell’esercito libanese, dotata di oltre 100.000 missili e razzi puntati su Israele (dal 8 ottobre 2023 ne hanno sparati oltre 8.000) senza che UNIFIL facesse alcunché. I ministri Crosetto e Tajani dovrebbero spiegare cosa sta facendo il contingente italiano dell’UNIFIL (oltre 1.200 soldati), visto che non hanno sequestrato neanche un razzo né allontanato un solo terrorista armato dal confine con Israele in 18 anni, anziché diffondere idiozie su come Israele conduce le operazioni militari a Gaza. Scartata questa ipotesi vediamo le altre due. Pensare che l’Autorità Palestinese possa porre fine al contrabbando di armi a Rafah è risibile. La storia dei fatti, infatti, ci dice che l’Autorità Palestinese assunse il controllo di Rafah e del confine con l’Egitto, in accordo con Israele, contestualmente al disimpegno israeliano nella Striscia nel 2005 (coadiuvati da un piccolo contingente internazionale). Meno di due anni dopo furono cacciati in malo modo da Hamas cosa che si ripeterebbe con ogni probabilità ancora in futuro. Inoltre, nel periodo di “controllo” del confine non c’è stato nessun tentativo concreto di interrompere il contrabbando di armi. In merito alla presenza di una “forza inter araba” che garantisca la fine del flusso di armi dall’Egitto è una pia illusione. Per prima cosa per un semplice fatto: pensare che dei militari arabi si cimentino in scontri a fuoco con i terroristi di Hamas per il controllo del confine è poco plausibile sia per il comune odio verso gli ebrei sia per il fatto che una consistente parte di questi armamenti è pagata, sotto banco, dagli stessi governanti arabi che dovrebbero far cessare il loro flusso. Ma la cosa più importante di tutte è il doppio gioco che ha sempre fatto l’Egitto. L’Egitto, con grave colpa di Israele e su questo ci torneremo, ha sempre fatto poco o niente per fermare il contrabbando di armi e di generi di tutti i tipi che alimentano le entrate di Hamas. Le uniche azioni degne di nota furono fatte nel biennio 2014-15 quando Hamas si schierò apertamente con la fratellanza musulmana egiziana nel tentativo di rimettere al potere Mohamed Morsi, destituito dal generale Fattah al-Sisi. Quindi appare del tutto evidente che l’Egitto, per due anni appena, contrastò il contrabbando di armi solamente perché Hamas era diventata una minaccia concreta per il regime golpista di al-Sisi, non certo perché si sentiva obbligata a farlo per gli accordi sottoscritti con Israele che valgono meno della carta su cui furono scritti. Da cosa si evince questo? Dal fatto che da quando Israele ha riconquistato il valico di Rafah e del corridoio Philadelphi, ha già scoperto oltre 150 tunnel, molti dei quali vanno oltre il confine egiziano. Alcuni di essi sono talmente grandi che sono transitabili con i camion. È plausibile pensare che Hamas abbia potuto scavare dei tunnel che arrivano in pieno territorio egiziano così grandi da far transitare i camion senza che gli egiziani si siano accorti di nulla? No, sarebbe grottesco pensarlo. Questo è potuto accadere con la piena complicità delle autorità egiziane che, oltre che sostenere velatamente Hamas contro Israele, traggono enormi profitti dal contrabbando stesso con la Striscia di Gaza. In pratica chiudono entrambi gli occhi. È da rimarcare che il contrabbando non passa unicamente attraverso i tunnel sotterranei ma anche tramite il valico di Rafah. Per questa ragione l’Egitto è il paese che maggiormente fa pressioni politiche sugli USA e su gli altri attori della farsa per il cessate il fuoco in cambio degli ostaggi, che sarebbe una débacle per Israele. Questo perché la presenza dell’esercito israeliano sul confine, significherebbe per l’Egitto la perdita di milioni di dollari che entrano, principalmente, nelle tasche del figlio di al-Sisi che è colui che di fatto controlla il confine con Gaza. In pratica le autorità egiziane possono contare su una doppia entrata: dal contrabbando sotterraneo e dalle mazzette che chiedono per far transitare le persone dal valico di Rafah che ufficialmente è sempre chiuso tranne che per chi paga laute “mance”. Per fare un esempio, dall’inizio della guerra a Gaza nell’ottobre 2023, sono uscite dalla Striscia oltre 150.000 persone che hanno pagato (come documentato dal Guardian e da giornali USA) tra i 5.000 e 10.000 dollari per persona (quindi almeno 750 milioni di dollari sono finiti nelle tasche dei funzionari militari egiziani). Non è un caso che i più strenui oppositori dell’operazione militare a Rafah sono stati proprio gli egiziani e gli USA da loro sobillati. È un “caso”, invece, il fatto che in Israele molte figure apicali dell’esercito e dell’intelligence militare sono favorevoli al fatto che Israele si ritiri dal confine per compiacere l’Egitto. Essi sostengono che è sufficiente avere un flebile controllo del confine tramite apparati elettronici e tecnologicamente avanzati. Ma come è possibile crederlo? Soprattutto dopo quello che è accaduto il 7 ottobre nel confine tra Israele e Gaza super controllato dal meglio della tecnologia? Si ha la netta impressione che certe figure vivano in un loro mondo completamente scollegato con la realtà dei fatti. Non a caso sono gli stessi responsabili della débacle del 7 ottobre. Netanyahu, speriamo, che su questo punto tenga duro per il bene di tutto Israele.
Un’ultima annotazione va fatta sul comportamento del tutto inadeguato del governo israeliano dal punto di vista politico nei confronti dell’Egitto (il secondo maggior responsabile dell’afflusso di armi nella Striscia di Gaza). Il governo di Israele, anziché mettere in luce in tutte le sedi internazionali (soprattutto negli USA) il fatto che, solo con la complicità dell’Egitto si sia potuta strutturare una rete capillare di tunnel di contrabbando, e quindi palesare apertamente le responsabilità egiziane, ha sempre tenuto una posizione passiva e debole nei confronti dell’Egitto. Inoltre, Israele ha supinamente subìto le pressioni egiziane che hanno rallentato moltissimo le operazioni militari nel saliente di Rafah, ha, poi, subìto le false accuse egiziane che tali operazioni violerebbero il loro trattato di pace (mentre la costruzione dei tunnel non le violano) senza denunciare la complicità egiziana nei traffici. Purtroppo una larga parte della classe politica e militare israeliana ritiene “strategico” avere dei buoni rapporti con l’Egitto, che nella realtà dei fatti è un mero subire tutte le violazioni operate dagli egiziani, credendo, così di mantenere una certa quiete, ma che, in realtà per gli arabi è semplicemente un segno di debolezza che un po' alla volta mina la forza di Israele e non è certo un segno di pace e di convivenza.
In conclusione Israele non ha solo l’obbligo di mantenere il controllo di Rafah, ma ha anche l’obbligo di cambiare la propria posizione politica passiva nei confronti dell’Egitto per garantirsi una deterrenza che ha ormai perduto per arrendevolezza. Questo diventa vitale per quanto sta accadendo al confine con la Giordania, dove flussi di armi passano tramite il poroso confine del Giordano, soprattutto se a questa pessima gestione dei confini nazionali si aggiungesse quell’autentica sciagura dell’elezione di Kamala Harris alle prossime elezioni presidenziali USA. Questo perché una amministrazione Harris significherebbe per Israele, molto probabilmente, doversi ritirare dal confine del Giordano con tutto quel che consegue.
David Elber