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David Elber
Israele, Storia e diritto
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Il falso problema dei 'coloni' 26/05/2024

Il falso problema dei 'coloni'
Commento di David Elber 

 

Il governo israeliano, secondo coloro che vorrebbero cancellarlo, dovrebbe condurre una pulizia etnica del suo stesso popolo in Giudea e Samaria. Non solo questa idea non ha alcun fondamento giuridico (non c'è alcun territorio "occupato"), ma gli stessi criteri non vengono applicati per nessun'altra disputa territoriale in tutto il mondo. Chi non conosce la storia, legga questo libro

Uno dei mantra più diffusi e falsi inerenti al conflitto tra arabi e Israele è quello relativo ai così detti “coloni”. Non c’è articolo, intervista o libro favorevole o contrario ad Israele che non li citi a sproposito. Ormai l’opinione pubblica è talmente condizionata che li vede come uno “ostacolo alla pace”, anzi come l’unico ostacolo alla pace.

La conseguenza politica di questa visione delle cose è diventata la criminalizzazione della presenza ebraica in Giudea e Samaria a prescindere dalla storia e dal diritto internazionale. Ciò ha portato la UE e gli USA a intraprendere una agenda politica discriminatoria nei confronti degli abitanti ebrei di quei luoghi e dello stesso Stato di Israele, trattato in maniera del tutto opposta rispetto ai casi di vera occupazione in giro per il mondo.

Della politica della UE, nei confronti di Israele, si scriverà in maniera dettagliata in altra sede, qui è sufficiente ricordare che la UE applica nei confronti di Israele dei criteri che sono opposti a quelli applicati in tutti i casi di occupazione reale. Infatti, nel caso di occupazione del Sahara Occidentale operato dal Marocco, non solo i coloni marocchini non sono considerati un “ostacolo alla pace” ma per i prodotti di provenienza dal Sahara Occidentale occupato si applicano delle tariffe agevolate di importazione (e non sono “marchiati” come quelli israeliani). Lo stesso discorso vale per il caso di Cipro Nord, occupato dalla Turchia: nessuna presa di posizione politica della UE nei confronti dei coloni turchi o della Turchia che occupa un terzo della superficie di un paese membro della UE. Anzi, in questo caso la UE finanzia le colonie turche a Cipro. Perfino la Corte Europea dei Diritti Umani si è espressa contro le istanze presentate dai greco-ciprioti: nessun “diritto al ritorno” al massimo una compensazione economica per le proprietà occupate dai turchi. Analogamente sono stati trattati i casi di occupazione della Cambogia (da parte del Vietnam), di Timor Est (da parte dell’Indonesia): in nessun caso è mai stato chiesto dalla UE, dagli USA o dall’ONU l’allontanamento dei coloni delle potenza occupante dal territorio occupato. Questa non regola è richiesta unicamente a Israele che, per giunta, non occupa nessun territorio che non sia legittimamente suo sotto il profilo del  diritto internazionale. Perché nessuno – neanche tra gli amici di Israele – mette in evidenza questo doppio standard della comunità internazionale, anziché, fare da cassa di risonanza della propaganda politica antiebraica?

Un’altra considerazione deve essere messa debitamente in evidenza, ed è quella relativa all’eradicazione “dell’ostacolo alla pace”. Anche in questo caso la comunità internazionale ha superato se stessa: Israele dovrebbe cimentarsi in un’operazione di pulizia etnica nei confronti della sua popolazione ebraica che vive in Giudea, Samaria e nella propria capitale perché solo così ci sarà “la pace”. Ma, viene da chiedersi, come mai nel caso di Timor Est o della Cambogia si è arrivati alla “pace” senza che un solo colono indonesiano o vietnamita sia stato allontanato dalla sua casa? Perché la comunità internazionale non obbliga i turchi o i marocchini a fare pulizia etnica dei propri cittadini per arrivare alla “pace” a Cipro o nel Sahara Occidentale? Anzi, in questi casi, afferma che non rappresentano affatto un ostacolo alla “pace”. Perché?

La storia annovera innumerevoli casi di dispute territoriali tra i popoli. Ci soffermeremo, come esempio, solamente, su una in particolare: quella relativa alla popolazione tedesca dell’Europa dell’est.

Alla fine della Seconda guerra mondiale fu deciso dalle Potenze vincitrici (USA, URSS e Gran Bretagna) con un accordo internazionale (Potsdam agosto 1945), che tutta la popolazione tedesca (circa 14 milioni di persone), che viveva in Polonia, Cecoslovacchia, Paesi baltici, Ungheria, Romania e URSS, dovesse essere allontanata “in maniera coercitiva” – così è scritto nell’accordo internazionale – perché ritenuta pericolosa per la pace. In pratica la comunità internazionale decise che i civili tedeschi che vivevano, in questi Stati, in molti casi da quasi mille anni, dovessero essere espulsi dalle loro case attraverso la più grande operazione pianificata di pulizia etnica della storia. Questo, non fu il primo caso di trasferimento coatto di popolazione civile, ammesso dal diritto internazionale, ma, fu senza dubbio il più massiccio. La motivazione era chiara: i tedeschi erano stati i responsabili di numerose guerre di aggressione nei confronti degli Stati vicini e la presenza di abitanti di lingua tedesca in numerosi Stati era vista come una minaccia alla pace e potenzialmente come un pretesto per future aggressioni. Ora, nel mondo capovolto di oggi, si ha la pretesa che Israele debba fare opera di pulizia etnica di una parte della propria popolazione in una porzione di territorio sulla quale ha piena legittimità, nonostante sia Israele lo Stato più volte aggredito dagli arabi (e non il contrario) e per giunta sempre vittorioso: cioè esattamente il contrario di quanto fatto con i tedeschi dopo il 1945. Si tratta, come è evidente, di un ribaltamento della logica: è come se, alla Germania sconfitta, fossero state date parti di Polonia, Cecoslovacchia e Paesi baltici, dalle quali fosse stato richiesto agli abitanti polacchi, cechi, ecc. di andarsene e, nel contempo, alle locali autorità fosse stato richiesto di compiere l’opera di pulizia etnica di parte della propria popolazione. Tale logica, se ci pensiamo bene, è quella di “terra in cambio di pace” o “dei due popoli per due Stati” che vale unicamente per Israele. Parafrasando la celebre frase di Winston Churchill, si può dire che Israele, nel 2005, tra la terra e la pace, ha scelto la pace, ma ha perso la terra e ottenuto il 7 ottobre.

Purtroppo si leggono molti libri e si sentono opinionisti – “amici di Israele” – che avvalorano questa tesi priva di ogni contenuto storico, morale e di buon senso; infatti, non è mai stata applicata in nessun altro contesto al mondo ma dovrebbe valere per Israele e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.  


David Elber


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