Caso Trump: l’autocrate
Commento di Antonio Donno
Donald Trump sopravvissuto all'attentato di Butler. La lista degli attentati ai presidenti e candidati presidenti, nella storia americana, è molto lunga. Il punto è che Trump stesso non crede nella democrazia. E anche in politica estera è più vicino alle dittature che agli alleati democratici.
L’attentato a Donald Trump, candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, non è una novità nella storia degli Stati Uniti. L’elenco è lungo e qui non è il caso di ripercorrere quegli eventi. Ciò che colpisce in questo attentato è l’autore dell’atto, il ventenne Thomas Matthew Crooks, iscritto nelle liste elettorali del Partito Repubblicano, il partito di Donald Trump. Da ciò che è emerso finora sembra che Crooks, pur essendo un repubblicano, odiasse Trump al punto da attentare alla sua vita. Perché? Le ragioni emergeranno nelle indagini che avranno luogo nei prossimi giorni.
Qui occorre mettere in luce le posizioni trumpiane a proposito del concetto e della pratica della democrazia in quanto esito dei valori propri della concezione liberale di una società fondata sulla libertà e sul suo rispetto. Trump non ha mai creduto nella democrazia. Egli si è imposto al suo elettorato come un autocrate che trascina dietro di sé un popolo fedele e ubbidiente, che vede nel suo idolo un punto di riferimento stabile per il proprio futuro. La concezione autocratica di Trump emerse già nelle elezioni del 2020, quando non concesse mai la vittoria al democratico Joe Biden, in ciò seguito, appunto, dal suo elettorato inferocito, che diede vita ai fatti terribili del 6 gennaio 2021, fomentati dallo stesso Trump. I fatti di quel giorno rappresentarono il vertice della visione autocratica della gestione del potere di Trump.
Trump, durante la sua presidenza e durante quella di Biden, ha scardinato i valori che hanno caratterizzato la storia del Partito Repubblicano, una storia gloriosa fin dalla sua nascita nel gennaio del 1854. Fin dagli albori del partito un principio fu ben chiaro per i suoi fondatori e i suoi aderenti.
Essi espressero precise concezioni sul governo. William H. Seward, governatore newyorkese che si presentò con Abraham Lincoln nella campagna elettorale del 1860, invitò ad accogliere gli immigrati, sulla base di una concezione fondata sulla fratellanza umana. Lincoln fu il portabandiera dei principi-cardine del Partito Repubblicano, che puntavano a dare sostanza politica e sociale ad un liberalismo “popolare” ben lontano dall’attuale liberalismo dei ceti più abbienti. In sostanza, sia nel campo dell’immigrazione, sia in quello della concezione liberale della democrazia americana, Trump si pone a distanza siderale dai fondamenti che diedero vita al Partito Repubblicano.
Di fatto, Trump è un autocrate che si serve dell’elettorato repubblicano come base per il suo ritorno alla presidenza americana. Le sue idee sono aggrovigliate intorno ad una visione del tutto personale del potere politico, nella quale non c’è spazio per alcun riferimento alla storia della nazione americana. Allo stesso modo, il “suo” popolo è suddito di un capo che dà ordini – come nel caso del 6 gennaio 2021 – e che rigetta l’avversario come nemico di tutta l’America. Così, per Trump la presidenza americana è il centro motore di un populismo da gestire soprattutto contro gli avversari: un populismo privo di sostanza autonoma e, perciò, suddito dell’autocrate, che mistifica il suo ruolo dichiarandolo al servizio del popolo tutto.
Passando al ruolo internazionale degli Stati Uniti, la concezione trumpiana è sostanzialmente isolazionista. Si tratta, però, di un isolazionismo sui generis, ben diverso da quello impostato dalle presidenze americane repubblicane alla fine della prima guerra mondiale. In quel caso fu una scelta politica complessiva, riguardante tutto lo scenario politico internazionale. Nel caso di Trump si tratta di un isolazionismo parziale che si basa sulle sue concezioni politiche prima descritte. Infatti, è noto fin dalla sua prima presidenza che Trump non è favorevole né alla Nato, né all’Unione Europea. Nel caso della Nato, l’ex presidente ha sempre sostenuto che l’impegno economico degli Stati Uniti dovrebbe essere drasticamente ridimensionato, a favore dell’incremento delle spese per la difesa americana. Allo stesso modo, ha ridotto l’impegno americano in alcuni scenari difficili del sistema politico internazionale. Al contrario, Trump si è impegnato in una politica di riavvicinamento alla Russia di Putin e alla Cina di Xi Jinping, due potenti autocrati con i quali l’ex presidente intendeva sviluppare buone relazioni e spartire con loro il potere globale. I tre autocrati, se Trump dovesse vincere, potrebbero riaprire il dialogo interrotto con la vittoria di Biden nel 2020.
Antonio Donno