Risposta dura di Stati Uniti e Israele alle provocazioni di Iran e Hamas
Analisi di Antonio Donno
Hassan Rohani, Joe Biden
Tre recenti fatti devono essere presi in considerazione per capire ciò che si muove nel Medio Oriente. Innanzitutto, l’avvertimento che Il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha rivolto a Teheran, sottolineando con forza che Washington avrebbe risposto alle provocazioni iraniane, come nel caso delle ultime incursioni contro il contingente americano in Iraq, alle quali gli americani hanno risposto adeguatamente. Nello stesso tempo, entrando nel merito della situazione israeliana, due fatti importanti devono essere valutati attentamente. La risposta armata di Gerusalemme dopo il lancio di palloncini incendiari da parte di Hamas nel territorio israeliano sta a significare che, d’ora in poi, Gerusalemme userà le maniere forti in ogni occasione di questo genere. Da qualche giorno, infatti, il lancio è cessato. In secondo luogo, il viaggio del Ministro degli Esteri, Yair Lapid, ad Abu Dhabi, ha un significato di grande valore, perché il Ministro ha presenziato all’apertura dell’Ambasciata israeliana in quel paese, esprimendo il suo grande apprezzamento per il lavoro svolto da Netanyahu per la nascita degli Accordi di Abramo, frutto dell’impegno congiunto di Trump e del Primo Ministro israeliano, e per il nuovo atteggiamento del mondo arabo sunnita verso Israele.
Questi tre eventi non possono essere dissociati l’uno dall’altro, ma valutati contestualmente. Essi stanno ad indicare, da una parte, l’impegno americano a non lasciare campo libro alle iniziative militari iraniane in vari punti della regione, pena una dura risposta americana. L’incalzare di un conflitto silenzioso, ma provocatorio, da parte di Teheran potrebbe avere – è questo l’ammonimento di Blinken – effetti negativi sull’andamento dei colloqui di Vienna sul problema del nucleare e dei missili a testata nucleare – problema spinosissimo, quest’ultimo –, pena il fallimento dei negoziati e la conferma delle pesanti sanzioni imposte a suo tempo da Trump. Tale ammonimento deve essere considerato in stretta connessione con l’attività del nuovo governo israeliano, di cui si è detto all’inizio.
Antony Blinken
Infatti, la risposta dura che Israele intende dare alle provocazioni incendiare di Hamas da Gaza rappresenta un fatto che deve essere considerato in connessione con la minaccia militare che Blinken ha rivolto al regime degli ayatollah. In sostanza, Israele e Stati Uniti convergono su un orientamento comune: non tollerare più le incursioni delle milizie iraniane in vari punti della regione, incursioni che in precedenza non avevano avuto risposte militari adeguate da parte americana, e, nello stesso tempo, Israele risponderà militarmente alle provocazioni di Hamas. Perciò, questo è l’ammonimento congiunto: i negoziati successivi al cessate-il-fuoco e quelli in corso a Vienna sono condizionati dal comportamento degli iraniani (e degli Hezbollah) e da quello dei terroristi di Hamas. Se il Medio Oriente, tra provocazioni e risposte, dovesse presentarsi nuovamente come terreno di scontro, per quanto a bassa intensità, i negoziati sui due fronti citati potrebbero fallire o, quantomeno, prolungarsi senza speranza di soluzione.
Gli Accordi di Abramo reggono, anzi si rafforzano. Tutto ciò ha un significato molto evidente per Washington. Quegli accordi non erano un evento di facciata – come alcuni commentatori hanno voluto sottolineare malevolmente –, ma un fatto di radicale importanza per il futuro della regione. Anche la parte più anti-israeliana del team di Biden ha dovuto prendere atto che l’apertura dell’Ambasciata israeliana ad Abu Dhabi e la prossima presenza dell’Ambasciatore del Bahrain in Israele sono fatti istituzionali di enorme valore diplomatico e politico, anticipazione di futuri importanti scambi culturali ed economici tra i paesi degli Accordi di Abramo. Tutto ciò ha un significato di cui sia Teheran, sia Hamas non potranno non tener conto nella loro politica di confronto con Israele e con gli stessi Stati Uniti. E, nello stesso tempo, rivelano all’Amministrazione Biden una realtà mediorientale che non può essere sottovalutata, ponendola in seconda fila nell’agenda della politica internazionale di Washington, ma attentamente considerata alla luce dei futuri assetti della regione.
Antonio Donno