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Antonio Donno
Israele/USA
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L’umiliazione degli ayatollah 12/01/2020
L’umiliazione degli ayatollah
Analisi di Antonio Donno

Ali Khamenei

A dispetto delle critiche degli anti-trumpiani di professione, particolarmente numerosi in Italia, la lezione americana inferta all’Iran con la liquidazione del capo-terrorista Qassem Solimaini sta cominciando a dare i suoi frutti. Dopo tre giorni di fandonie sull’abbattimento dell’areo ucraino, Teheran ha dovuto riconoscere la propria responsabilità sull’accaduto; se l’avesse fatto subito, come era più che conveniente fare, la cricca al potere si sarebbe risparmiata una figura meschina a livello internazionale. Insomma, il regime degli ayatollah ha prima tentato di mettere in atto la sua tradizionale tattica, quella di mentire, poi si è reso conto che la situazione politica, dopo la morte di Soleimani, s’era così complicata che sarebbe stato controproducente continuare nella menzogna.

La deterrenza messa in atto da Trump con l’uccisione del capo-terrorista ha dato un secondo frutto: costringere Teheran ad ammettere la verità sull’episodio dell’aereo abbattuto dalla contraerea iraniana. L’ammissione di colpevolezza, comunque, aggrava il peso politico della sconfitta subita per opera di Trump. Su questo fronte l’aspetto psicologico di tutta la vicenda ha un impatto pesante sia all’esterno, sia soprattutto all’interno. Se, a livello internazionale, l’intransigenza era parte importante dell’atteggiamento diplomatico di Teheran nei confronti dei suoi interlocutori, per quanto fosse convinzione comune che si trattasse, nella maggior parte dei casi, di un fatto formale più che sostanziale, sul piano interno essa era parte essenziale del rapporto con la popolazione. La fermezza delle posizioni che la diplomazia iraniana metteva in campo nelle relazioni internazionali proiettava tra la gente del paese la certezza che i propri dirigenti fossero uomini tutti d’un pezzo, dalla schiena dritta, portatori d’un ideale sano, in virtù d’un credo religioso inequivocabilmente superiore. Ora, la misera fine d’un eroe nazionale come Soleimani e la marcia indietro rispetto ai fatti dell’aereo ucraino non possono che proiettare all’interno della società iraniana una sensazione di sconfitta e di umiliazione che non favorisce la classe dirigente totalitaria che comanda a Teheran.

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Naturalmente, c’è da aspettarsi che siano messe in atto iniziative sul terreno che possano ripristinare l’immagine della cricca al potere, in particolar modo presso il popolo iraniano, senza il cui consenso la sopravvivenza stessa del regime sarebbe in pericolo. Ma v’è un passaggio politico fondamentale per la diplomazia di Teheran: un accordo con gli Stati Uniti, in mancanza del quale le eventuali reazioni terroristiche degli affiliati al regime potrebbero portare ad un aggravamento della posizione dell’Iran e all’irrigidimento ulteriore del governo americano. Già le nuove sanzioni economiche di Washington nei confronti di Teheran sono un segnale che non può essere sottovalutato dagli ayatollah. Dunque, il regime iraniano è sotto scacco, costretto a ripensare la sua politica mediorientale. Due sono le prospettive che si presentano: scendere su posizioni più moderate, come vorrebbero Rohani e i suoi, oppure imprimere una svolta dura, senza compromessi alla politica internazionale dell’Iran. In questo secondo caso, tuttavia, non si può escludere che si inneschi una lotta di potere dalle conseguenze molto gravi, cioè l’eliminazione dei moderati e il ritorno alla guida del paese della parte più oltranzista della classe dirigente iraniana, compreso lo stesso Aḥmadinežād, o un suo equivalente. Tuttavia, un nuovo oltranzismo potrebbe essere letale per il regime. La popolazione iraniana, sottoposta a nuove sanzioni, vedrebbe ulteriormente aggravato il suo tenore di vita; di conseguenza, non potrebbero essere escluse nuove ondate di contestazione. Il che, a sua volta, potrebbe rinfocolare l’opposizione a Teheran sia in Libano, sia in Iraq, dove nei giorni scorsi la repressione nei confronti dei governanti legati al potere iraniano è stata durissima. In definiva, la mossa di Trump potrebbe mettere in moto una reazione a catena i cui esiti è difficile oggi immaginare.

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Antonio Donno


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