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Antonio Donno
Israele/USA
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La Dichiarazione Balfour e chi vuole cancellare la storia
La Dichiarazione Balfour e chi vuole cancellare la storia
Analisi di Antonio Donno

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Efraim Karsh - l'università Bar Ilan

La Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 è oggi oggetto di contestazione da parte dell’Autorità Palestinese, con a capo l’immarcescibile Abu Mazen. È una ricerca continua, affannosa di motivi di contestazione, di rifiuto, da gettare in pasto all’opinione pubblica mondiale e soprattutto alle istituzioni internazionali, più che mai avide di assaggiare e gustare le novità anti-israeliane che vengono propinate dalla cucina araba. Così, il professor Efraim Karsh, illustre storico del King’s College di Londra e della Bar Ilan University, oltre che direttore del Begin-Sadat Center of Strategic Studies di Tel Aviv, è “costretto” ancora una volta a impegnarsi a smontare l’ennesima fandonia araba sulla base di fatti storici indiscutibili. Già in passato Karsh aveva smantellato gran parte delle teorie dei “nuovi storici” israeliani e lo aveva fatto con un così grande uso di documentazione “dimenticata” dai “nuovi storici” che il più onesto fra questi, Benny Morris, aveva dovuto pubblicamente ammettere i suoi errori.

Seguirono accuse e contumelie da parte dei suoi vecchi “compagni di viaggio”, nello stile tipico di certa sinistra politica e intellettuale. Oggi sembra che la “nuova storiografia” israeliana sia piuttosto in fase declinante, anche se è sostituita – sulla base di fandonie ancor più risibili – dalla propaganda dell’Autorità Palestinese, ormai conosciuta come esempio di corruzione materiale e intellettuale. In un articolo pubblicato sul Begin-Sadat Center of Strategic Studies (no. 633, November 3, 2017), Karsh smonta la “tesi” palestinese in tre punti, che devono essere riportati e commentati adeguatamente per non lasciar spazio a ulteriori mistificazioni. In primo luogo, la Gran Bretagna non aveva alcun diritto legale a promettere la Palestina al movimento sionista per costruirvi lo Stato degli ebrei, sostiene a gran voce Abu Mazen. Ora, scrive Karsh, dopo la fine della Grande Guerra era diffusa l’idea che si dovesse dar vita a Stati indipendenti e sovrani dopo il crollo degli imperi (Ottomano, Absburgico e Russo) al fine di concedere alle varie nazionalità di vivere libere e sovrane nella propria terra. Gli ebrei facevano parte, a pieno titolo, delle nazioni aspiranti a tale ruolo.

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Gerusalemme, capitale d'Israele

La Dichiarazione Balfour veniva incontro, in tutto e per tutto, a questa esigenza ormai patrimonio comune sancito anche ai livelli più alti della politica internazionale. Questa tesi ebbe riflessi decisivi nel campo mediorientale. Il fronte arabo contestò la supremazia inglese sulla regione, adducendo la promessa di Londra di dare vita a una serie di Stati arabi indipendenti (Hijaz, Iraq, Transgiordania, Siria, Libano), con esclusione della Palestina. Perché la Palestina era esclusa dal novero dei futuri, possibili Stati? A questa domanda occorre aggiungere alcune considerazioni che nell’articolo di Karsh appaiono sottintese. La “rivolta araba” contro il potere turco durante la Grande Guerra non derivò da un movimento unitario, da un accordo esplicito – ma nemmeno implicito – tra i leader arabi che si contendevano il territorio mediorientale che ben presto si sarebbe presentato libero dalla presenza ottomana, bensì dalla confluenza momentanea di interessi particolari, locali, legati alle vicende dei numerosi clan e tribù arabe che si dividevano il territorio e che spesso erano in contrasto tra di loro. L’idea nazionale, che aveva forgiato la storia europea sin dalla fine del Settecento, era incomprensibile da parte del mondo arabo.

Così, la volontà dei leader arabi di creare Stati sovrani sotto la loro egida non rispondeva affatto all’assunzione del concetto europeo di Stato, ma solo alla possibilità di ottenere dalle potenze occidentali il benestare per radicare il loro potere in determinate zone del Medio Oriente arabo. Allora, perché la Palestina non era compresa in questo piano? La risposta è semplice. La Palestina non “godeva” di alcun leader riconosciuto; era un territorio in gran parte spopolato e improduttivo, diviso tra gli effendi arabi, che vivevano nelle grandi città del Medio Oriente, e tenuto in una condizione di estremo abbandono. Dal punto di vista politico, era terra di nessuno. Così, la Dichiarazione Balfour riconosceva agli ebrei il diritto di costruire un loro Stato in virtù del fatto che la Palestina era stata per secoli “Eretz Israel”. In quel frangente, nessun leader arabo contestò questo fatto e perciò la legittimità stessa della Dichiarazione Balfour. In secondo luogo, er tornare al contenuto dell’articolo di Karsh, lo storico ebreo tira le somme del suo ragionamento: “Ironicamente, non furono soltanto le “potenze imperialiste occidentali” e altre nazioni extra-regionali a riconoscere il legame storico ebraico alla Palestina e il connesso diritto alla rinascita nazionale, ma anche i leader del nascente movimento pan-arabo».

Karsh cita gli incontri di Chaim Weizmann con il futuro re Fuad di Egitto, con l’Emiro Faisal ibn Hussein, con il Gran Visir ottomano Talaat Pasha, i quali tutti mostrarono simpatia verso la creazione di uno Stato ebraico in Palestina. A tutto ciò v’è da aggiungere una circostanza di estremo rilievo: nessuno di questi leader incoraggiò i propri sudditi a ribellarsi di fronte a questa possibile, futura realtà, sia perché non era nel proprio interesse alterare lo status quo a loro favorevole, sia perché i più avveduti ritenevano che la presenza ebraica avrebbe portato giovamento a una realtà immobile da secoli. Proprio per questo ultimo motivo, il Gran Mufti di Gerusalemme dette inizio ad una campagna di odio verso gli ebrei, sbandierando il pericolo ebraico rispetto alla tradizione islamica. Il terrorismo anti-ebraico aveva questa motivazione. Infine, l’obiettivo del movimento sionista era ormai condiviso a livello internazionale. Viceversa, in Palestina non esisteva alcun movimento che puntasse all’indipendenza nazionale: “In queste circostanze – afferma Karsh – non sorprende affatto che la Dichiarazione Balfour non generasse alcun antagonismo immediato in Palestina”. Quando, nel 1920, iniziò il terrorismo anti-ebraico, esso non puntava affatto all’indipendenza della Palestina, ma alla sua incorporazione nel Regno di Siria.

Affermare che, fin dagli anni ’20, i palestinesi (ma allora non si definivano neppure con questo nome) hanno lottato contro gli ebrei per conquistare un’indipendenza nazionale è un puro e semplice mito. Il concetto di nazionalismo era inaudito. Se gli attuali palestinesi volessero veramente la pace, conclude Karsh, accetterebbero il contenuto della Dichiarazione Balfour. Ma, come sappiamo, non è questo il loro scopo.

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Antonio Donno


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