L’unione dei fronti: la nuova strategia di Hamas e Jihad Islamico
Commento di Giovanni Quer
Sabato 6 maggio, Dennis Mokin, trentaduenne di Gan Ner nel Nord di Israele, uccide con arma da fuoco il diciannovenne Diar Umari, residente del villaggio arabo di Sandala, in quella che sembra esser stata una zuffa tra due autisti. Mokin stava guidando in stato di ebbrezza e la polizia mette in dubbio l’autodifesa che l’avvocato ha argomentato in tribunale. Oltre alle accuse contro la coalizione di incoraggiare l’uso di armi, c’è la reazione di Hamas. Hamas ha condannato l’episodio minacciando di “reagire con forza al crimine”, provando la nuova strategia di “unione dei fronti”. La guerra multipolare cui Israele si prepara da tempo coinvolge i tre fronti conosciuti finora: il fronte Nord (con Hezbollah in Libano e le milizie pro-iraniane in Siria), il fronte Est (con Hamas, Jihad Islamico e gli altri gruppi terroristici attivi in Giudea e Samaria) e il fronte Sud (con Hamas e Jihad Islamico a Gaza). A questi si uniscono altri tre fronti, che Hamas e Jihad Islamico tentano di unire: il fronte interno (cioè gli arabi israeliani), il fronte di Gerusalemme (con le rivolte a Gerusalemme Est), e il fronte delle carceri (con i detenuti di sicurezza che vogliono diventare simboli della “resistenza” contro il nemico sionista).
Oggi Hamas tenta di trasformare un crimine contro un arabo in un episodio di odio per incitare gli arabi israeliani alla violenza, secondo la strategia di “unione dei fronti” formulata nel 2021, durante le violenze tra ebrei e arabi nelle città miste di Israele e l'operazione militare "Guardiano delle Mura” durata dal 6 al 21 maggio. Nella visione di Hamas e Jihad Islamico i palestinesi di Gaza, Giudea e Samaria sono un unicum con gli arabi israeliani, che devono agire al contempo nella lotta contro Israele. Negli ultimi anni, Hamas e Jihad Islamico hanno usato la chiamata alle armi per la difesa di al-Aqsa e al-Quds (il nome arabo di Gerusalemme) per incendiare gli animi di tutti i palestinesi. I missili lanciati dal Libano da cellule di Hamas il mese scorso dimostrano come anche il fronte Nord sia attivo nell’unione della “resistenza islamica” contro Israele. Jihad Islamico non è attivo solo a Gaza, ma anche nel fronte Est. All’inizio dell’anno, Israele ha condotto un’importante operazione militare a Jenin, durante la quale ha eliminato una cellula di Jihad Islamico, dimostrando il consolidamento dell’organizzazione terroristica, appoggiata dall’Iran, in Giudea e Samaria. Dopo la morte di Khader Adnan, attivista di Jihad Islamico in Giudea e Samaria morto martedì 2 maggio in seguito allo sciopero della fame di 86 giorni, Jihad Islamico ha lanciato missili da Gaza, mentre in Giudea e Samaria ci sono stati episodi di spari su cittadini israeliani che hanno causato un ferito e manifestazioni in sostegno dell’organizzazione terroristica. A Hamas e Jihad Islamico si uniscono anche altri gruppi. Liwai al-Qariousi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina a Gaza ha parlato quest’anno di unità dei fronti durante il “Quds Day”, la giornata di odio anti-isreliano supportata dall’Iran e celebrata ogni anno durante l’ultimo venerdì del mese di Ramadan. L’unità dei fronti serve anche all’Iran, che finanzia tutti i nemici che circondano Israele (Hezbollah, Hamas e Jihad Islamico), per intensificare la retorica della “resistenza contro l’entità sionista”. Unità che si allarga anche all’intero mondo musulmano, secondo le parole del Ministro degli Esteri Abdollahian e del Presidente Raisi durante le loro recenti visite in Libano e Siria. Al funerale di Umar Diar, definito da molti un “martire”, si è cantato “con lo spirito e con il sangue ti vendicheremo”, il famoso slogan in sostegno alla lotta armata contro Israele, e sono state portate bandiere palestinesi. Si può trattare di una semplice reazione declaratoria che non avrà seguito operazionale. Qualsiasi simile evento in futuro potrà incendiare proteste, evolversi in scontri e causare morti fino a trascinarsi in una guerra multipolare.

Giovanni Quer