La guerra su quattro fronti
Commento di Giovanni Quer

Israele, West Bank, Gaza e il nord (Libano e Siria): questi sono i quattro fronti di guerra multipolare cui Israele si prepara da tempo e che riporterebbe Israele al peggio dei tempi recenti: la Seconda Guerra in Libano del 2006, la guerra con Hamas del 2014, la Seconda Intifada e gli scontri interni di due anni fa.
Gli eventi degli ultimi due giorni hanno due epicentri: la Moschea di al-Aqsa a Gerusalemme e Hamas in Libano.
Il focus centrale continua a essere al-Aqsa: l’antica chiamata alle armi con lo slogan “al-Aqsa è in pericolo”, inventata cento anni fa dal Gran Muftì di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini, dimostra la capacità di mobilitare le masse anche oggi. L’incitamento alla violenza nelle reti sociali incendia gli animi della popolazione araba all’interno di Israele e della popolazione palestinese nella West Bank.
Già martedì sera ci sono stati scontri tra la polizia e gruppi di palestinesi che si erano barricati nella Moschea di al-Aqsa muniti di pietre e esplosivi. La polizia ha fatto irruzione nella Moschea e si sono sviluppati scontri nell’area. Nella notte tra martedì e mercoledì sono stati lanciati 16 missili da Gaza, come risposta al presunto pericolo su al-Aqsa, cui Israele ha risposto con un attacco contro obiettivi militari prevalentemente di Jihad Islamico.
Si sono anche formate proteste violente e scontri in alcune parti della West Bank e in altre parti di Israele, come per esempio Umm el-Fahem, Baqa al-Gharbiya, Arraba, Reineh, Kafr Kanna and Kafr Manda con copertoni bruciati, lanci di pietre e altri scontri con la polizia.
Oltre a questo, i missili dal Libano, che dimostrano l’intensità della cooperazione tra Hamas ed Hezbollah. Dopo alcuni attacchi mercoledì, 34 missili sono stati lanciati tra mercoledì e giovedì sul nord di Israele.
Israele ha risposto colpendo obiettivi dell’infrastruttura terroristica di Hamas in Libano (tunnel, depositi di armi, postazioni di vedetta e siti di fabbricazioni di armi). Gli attacchi israeliani sono avvenuti in due tempi giovedì mattina. In risposta, da Gaza sono arrivati altri missili, con qualche attacco mirato contro le postazioni di lancio.
Israele deve stare molto attenta perché qualsiasi obiettivo di Hezbollah potrebbe trascinare gli scontri in una guerra ad ampio raggio. Una situazione nuova: cioè Hezbollah sta agendo attraverso Hamas, come con l’attentato di Megiddo a marzo facendo infiltrare un operativo in Israele ed ora con i missili.
Dietro Hezbollah c’è l’Iran e l’intenzione di vendicare la morte di due ufficiali iraniani morti in un attacco aereo attribuito a Israele in Siria la settimana scorsa, che potrebbe essere l’occasione per dare inizio alla lotta contro il “regime sionista”.
Israele è in un vicolo cieco: la deterrenza sui gruppi nemici al nord non funziona più; reagire significherebbe colpire Hezbollah e quindi aprire una guerra con il Libano, ma non reagire significherebbe dare un segnale di incapacità o debolezza.
Il Gabinetto di Sicurezza ha tardato a riunirsi, e il governo è criticato sia per le politiche su Gerusalemme, che non contribuiscono a contenere le violenze palestinesi, sia per l’incapacità di organizzarsi militarmente - i mesi investiti nell’avanzare la legislazione che cambierebbe Israele (la cosiddetta riforma giudiziaria) hanno distolto l’attenzione alle questioni di sicurezza. Sono state le municipalità del nord di Israele a dare una risposta, ordinando l’apertura dei rifugi anti missilistici e parlando alla popolazione.
La tranquillità relativa ristabilita al nord può voler dire che Hamas intende concludere l’evento, oppure può voler dire che si sta preparando ad altri attacchi mirati in un contesto di più ampio scontro nei prossimi giorni.

Giovanni Quer