L’America è veramente tornata in Medio Oriente?
Analisi di Giovanni Quer
A destra: Joe Biden con Antony Blinken
A una settimana dalla visita del Presidente Joe Biden in Medio Oriente ancora si parla e si commenta dei risvolti. L’America tenta di andarsene dal Medio Oriente ma non ci riesce. Forse è ritornata l’America nella regione, ma è un ritorno accolto con sospetti e con un certo distacco. L’obiettivo primario di Biden è assicurare la produzione di petrolio a un prezzo fisso, nel contesto della crisi energetica dovuta alla guerra contro l’Ucraina. Obiettivo non raggiunto e anche adombrato dai legami di Riyadh con Mosca. Mentre l’America tenta di ricostruire il proprio ruolo nella regione, la Russia risponde consolidando i rapporti con l’Iran e tentando di far avvicinare anche la Turchia. Martedì (19 luglio) Putin e Erdoğan si sono incontrati in Iran in una visita che ha avuto tre i punti fondamentali: petrolio, rotte marittime per le esportazioni di grano, Siria. Putin tenta di aggirare le sanzioni consolidando un’alleanza con un altro regime anti-occidentale, in particolare per assicurarsi petrolio.
La cosa che più preme a Mosca è però arrivare a un’intesa sulle rotte marittime attraverso il Mar Nero per l’esportazione di grano, e qui Ankara e Teheran sono essenziali. Oltre ad esser la prima volta che Putin incontra un leader di un Paese membro della NATO, la Russia vuole anche dimostrare che ha ancora ha mano ferma nella regione. Gli interessi sulla Siria sono opposti: Ankara appoggia i ribelli nel nord, mentre Tehran e Mosca appoggiano il governo. L’obiettivo della Turchia è creare una zona cuscinetto attorno al confine, area in cui sono presenti le milizie del PKK. Inoltre, Ankara ha intenzione di iniziare un’altra offensiva, che Teheran e Mosca vogliono impedire, tentando di convincerla anche a terminare il sostegno alle forze anti-regime. Dopo il summit, gli Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione di avvertimento contro Teheran, intimando a non fornire droni alla Russia. La settimana scorsa il governo americano aveva pubblicato delle foto che indicherebbero come ufficiali russi avesser precedentemente visitato una base militare iraniana, per l’acquisto di droni e altri mezzi di attacco da usare in Ucraina - in particolare gli Shahed-191 e Shahed-129 che possono esser dotati di missili. Un avvertimento senza vera minaccia di eventuali sanzioni non ha però molta efficacia. Per quanto riguarda le grandi aspettative su pace e normalizzazione, c’era da aspettarsi che non si sarebbe firmato alcun accordo. L’Arabia Saudita non è come gli Emirati, e il ruolo che ha nel mondo arabo, così come la struttura politica e sociale, non concedono cambiamenti di politica così repentini.

L’Arabia Saudita aveva già proposto in passato un accordo di pace con Israele - nel 1981 e poi nel contesto dell’iniziativa di pace araba proposta propria vent’anni fa - ma la condizione era e rimane la creazione di uno Stato palestinese. Non ci sarà prima la pace e poi un accordo con i palestinesi; al contrario, per i sauditi la creazione di uno Stato palestinese è precondizione alla pace. E questo nonostante i rapporti con i palestinesi si siano raffreddati negli ultimi anni, con un linguaggio anche molto ostile - invece di ‘falastini’ (palestinese in arabo) alcuni dicono ‘flus-tini’ con un gioco di parole in cui ‘flus’ significa soldi, criticando quella che i sauditi percepiscono come ingratitudine da parte dei palestinesi e dipendenza economica. L’annuncio dell’apertura dello spazio aereo saudita agli aerei israeliani è un ampliamento di una politica già esistente, che certamente ha un significato molto profondo. Mentre i voli diretti per i cittadini musulmani israeliani in pellegrinaggio alla Mecca ancora non sono stati istituiti. La via per la pace con Riyadh è ancora lunga, ed è una via secondaria al bivio che si impone nella regione: verso una direzione Mosca e verso l’altra Washington. L’asse Mosca-Teheran si consolida e la Russia apprezza sempre meno le operazioni israeliane in Siria, minacciando di chiudere gli uffici dell’Agenzia Ebraica anche in ritorsione alle posizioni di Gerusalemme sulla guerra contro l’Ucraina.

Giovanni Quer, ricercatore al Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies all'Università di Tel Aviv