Il Movimento Islamico scuote la politica israeliana
Analisi di Giovanni Quer
A destra: Mansur Abbas
Il discorso di Mansur Abbas, leader del Movimento Islamico, a Nazareth giovedì sera è stato a lungo atteso da tutta Israele. Abbas ha parlato in ebraico, volutamente astenendosi dal parlare dei Territori Palestinesi e del conflitto, ed invece ha fatto intendere quali sono i principi che ispireranno la sua politica: pragmatismo e cooperazione arabo-ebraica. L’importanza politica di Abbas e del Movimento Islamico riguarda anzitutto Israele. Il 20% della popolazione araba israeliana ha sempre avuto una propria voce, ma ora anche partecipa alla politica del Paese. Questo comporta però responsabilità collettive. La domanda che in molti si pongono è: quale sarebbe la posizione del Movimento Islamico nel caso di un confronto armato con Hamas o con Hezbollah? Domanda non semplice perché da una parte il pubblico arabo si sente in parte palestinese, dall’altra però gli orientamenti ideologici del Movimento Islamico sono opposti a Hezbollah (organizzazione sciita) e in parte anche a Hamas (pur nata in seno alla Fratellanza Musulmana, ma con una deviazione nazionalista che gli islamisti non vedono di buon occhio).
Ci sono altre questioni interne: quale sarebbe la posizione del Movimento Islamico riguardo le numerose sensibilità su al-Aqsa e il Monte del Tempio? Come si porrà Abbas riguardo all’obbligo del servizio militare da estendere ai Haredim e le campagne rivolte al pubblico arabo? La voce del Movimento Islamico si è rafforzata proprio grazie alla separazione dalla Lista Araba, il cui indebolimento ha due principali motivi: la relazione verso la politica israeliana e i principi liberali. Eiman Odeh, leader della Lista Araba, ha cambiato il discorso politico rispetto al passato portando il focus sul pubblico arabo e non sul conflitto con i palestinesi. Tuttavia, Odeh non ha mai voluto “sporcarsi le mani” nella politica israeliana, nemmeno quando ne ha avuto la possibilità durante le ultime due tornate elettorali. Il voto arabo ha punito la Lista Araba per questo motivo, preferendo chi invece sarebbe disposto a partecipare alla vita politica israeliana per trattare realmente dei problemi degli arabi in Israele (integrazione, violenza, diritti sociali, opportunità economiche, piani urbanistici).
Il secondo punto molto importante è l’avanzamento dei principi liberali nella società araba. Mansour Abbas ha fatto una campagna politica contro la Lista Araba, dipinta come la roccaforte dei diritti LGBT. Nulla di più lontano dalla realtà, ma tanto è bastato per spingere i conservatori a votare il partito islamico. La Lista Araba comprende il partito socialista Hadash, le cui voci denunciano l’avanzamento della religiosità nel pubblico arabo come opera sociale del Movimento Islamico, e con esso anche il rafforzamento dei conservatori. Accettare di integrarsi nel tessuto sociale israeliano ha un prezzo, cioè il coinvolgimento politico e l’abbandono del sogno di una Palestina binazionale in cui gli arabi sarebbero la maggioranza. Anche la politica ormai dimostra che gli arabi sono parte integrante dello Stato di Israele, ma rimane la questione più difficile, cioè l’identità collettiva. Abbas parla di riconoscimento della narrativa dell’altro, di certo rivolgendosi agli israeliani perché riconoscano la Nakba, la crisi politica e sociale degli arabi israeliani dopo la nascita dello Stato di Israele e la difficile strada verso l’integrazione. D’altra parte questo appello si rivolge anche agli arabi, perché depongano l’ostilità all’esistenza di Israele come stato ebraico.

Giovanni Quer (1983), ricercatore presso il Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.