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Giovanni Quer
Medio Oriente politica e società
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Una nuova stagione per le primavere arabe? 10/12/2020
Una nuova stagione per le primavere arabe?
Analisi di Giovanni Quer


A dieci anni dalle proteste di massa che hanno cambiato il Medio Oriente ci si interroga sui risvolti politici e sociali delle cosiddette primavere arabe. I due principali effetti sono il caos jihadista che ha seguito la caduta dei regimi in Libia, Siria e Yemen con l’impotente influenza iraniana negli ultimi due stati, e il tentativo fallito dei Fratelli Musulmani di stabilire regimi repubblicani islamici. In Egitto le proteste di piazza avevano fatto cadere anche Morsi, mentre in Tunisia il programma di islamizzazione si è arrestato di fronte alle necessità di governo. Il vento di cambiamento ora soffia anche a Beirut e a Baghdad. Allora la caduta dei regimi è stata accolta con la speranzosa certezza che la democrazia e il pluralismo sarebbero trionfati. Oggi invece si deve avere uno sguardo più attento: da cosa sono alimentate le proteste e cosa richiedono i giovani che sono il volto delle proteste? Ma soprattutto, cosa potrebbe accadere nel caso di un vuoto di potere? In Iraq da più di un anno le proteste popolari sono diffuse in varie città delle province arabe. Il grido dei manifestanti che richiedeva elettricità e acqua corrente si rivolgeva inizialmente ai governanti corrotti; poi la frustrazione della popolazione si è rivolta agli iraniani, che nel programma di imperialismo regionale hanno trattato l’Iraq some una provincia sciita - con un senso di superiorità culturale sugli arabi. Così le piazze si sono rivolte contro gli “stranieri” che vogliono fare i padroni. In risposta al grido di popolo, anche i più lealisti a Teheran, come Moqtada al-Sadr, hanno incominciato ad allontanarsi e a parlare di indipendenza.

As Hezbollah Rises in Lebanon's Government, Fears About U.S. Response  Follow - The New York Times
Una manifestazione di Hezbollah in Libano


In Libano la pressione economica è arrivata al limite con l’annuncio della tassa su Whatsapp, che ha scatenato le proteste di piazza all’inizio dell’anno, dove per la prima volta si è sentita una critica diretta a Hezbollah: tra le urla di piazza vi era anche lo slogan “kelhon, ya‘ni kelhon!” (tutti, cioè tutti). Il disastro causato dall’esplosione nel porto di Beirut in agosto ha esacerbato la rabbia popolare, con sempre più chiare voci anti-Hezbollah (comprese figure pubbliche come il Patriarca maronita e vari giornalisti). Anche in Egitto, dove i Fratelli Musulmani e i salafiti sono stati arginati, continua la crescente pressione per riforme e modernizzazione, all’ombra di una situazione economica precaria, di un cambiamento sociale disatteso. In Arabia Saudita dei timidi cambiamenti hanno concesso qualche diritto alle donne, ma il regime deve far fronte a richieste sempre più pressanti di modernizzazione da parte dei giovani e all’aumento delle minacce da parte dei salafiti, scontenti della modernità. Dieci anni fa le folle disperate hanno dimostrato il loro potere, facendo cadere regimi invisi, ma i gruppi che hanno colmato il vuoto di potere erano stati sottovalutati. L’Iran, nonostante l’indebolimento, può ancora contare su milizie e arsenali in Iraq, Siria e Libano. I jihadisti di varie affiliazioni non hanno smesso di operare anche dopo la caduta dell’ISIS e potranno di nuovo contare sul territorio afgano controllato dai Talebani per necessità logistiche. Infine, i Fratelli Musulmani hanno sicuramente appreso ciò che significa diventare da movimento di opposizione a gruppo di governo e sono pronti a imparare dagli errori di Morsi per nuovi esperimenti di potere. Oltre a queste prospettive ci sono però altri fattori che devono esser valutati in misura non minore, e in particolare Ie voci che vogliono libertà, modernità e cambiamento. Per la prima volta da decenni vi sono in Medio Oriente iniziative che appoggiano la normalizzazione con Israele. Blogger e attivisti delle reti sociali, giornalisti e politici in Libano, Arabia Saudita e Iraq discutono delle opportunità di riconoscere Israele, galvanizzati dagli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi e Bahrain - un argomento tabù, che in alcuni Paesi è illegale (come in Libano).

Le richieste di cambiamento arrivano sempre più dai giovani. In Iraq, per esempio, oltre alle proteste per acqua ed elettricità ci sono state nell’ultimo anno manifestazioni di donne che in piazza si sono tolte il velo, gridando al riconoscimento dei loro diritti fondamentali. Queste tendenze si notano anche nella musica e nella produzione cinematografica in Egitto e Arabia Saudita, dove canzoni e serie TV scatenano dibattiti sull’abissale divario tra la richiesta di modernità e l’oppressione sociale. L’importanza di queste voci non è da sottovalutare, soprattutto in un contesto di cambiamento guidato dagli Emirati Arabi Uniti e dal Bahrain che tentano di proporre nuovi modelli teologici e politici orientati al pluralismo sociale e alla prosperità regionale. Visti gli sviluppi negli ultimi dieci anni, si deve però guardare a chi potrebbe andare al potere traendo vantaggio dall’instabilità e soprattutto a quali saranno le politiche della Russia, che non considera l’Iran un pericolo regionale, della Turchia, che sostiene i Fratelli Musulmani, e degli Stati Uniti, la cui politica deve ancora definirsi.


Giovanni Quer (1983), ricercatore presso il Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.

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