L’Iran tenta di riprendersi Baghdad
Analisi di Giovanni Quer
A destra: Hashem al-Hashimi
Il 6 luglio 2020 un gruppo armato ha assassinato lo storico e analista politico Hashem al-Hashimi, nel quartiere Zayouna (quartiere borghese interetnico, di cui ancora si ricorda la presenza ebraica e cristiana nel secolo scorso). Il suo lavoro contro l’organizzazione terroristica denominata Stato Islamico lo aveva reso tra i più noti esperti di sicurezza nazionale. Al-Hashimi aveva di recente bersagliato il Movimento di Mobilitazione Popolare, che raggruppa le milizie sostenute dall’Iran. Secondo alcuni, l’assassinio di al-Hashimi è un messaggio che l’Iran ha voluto inviare agli iracheni, che sempre più si oppongono alla presa di Teheran sulla vita politica ed economica del Paese. I segni di opposizione all’Iran sono molti. Moqtada al-Sadr, leader delle milizie sciite, aveva condotto la campagna elettorale durante le ultime elezioni proponendo un Iraq indipendente, con una chiara critica all’Iran. Teheran ha forse esagerato nel considerare l’Iraq un’estensione del proprio territorio: durante le proteste popolari tra ottobre e novembre 2019 causate dalla situazione economica e dalle interferenze straniere, il Consolato d’Iran era stato oggetto di un attacco incendiario. L’uccisione di Qassem Suleimani e la conseguente rappresaglia sulla base militare USA hanno causato la condanna del Gran Ayatollah Ali al-Sistani, la suprema guida spirituale sciita in Iraq, contro le forze che usano l’Iraq come campo di battaglia.
Le uniche voci a difendere l’Iran nel mondo arabo sono quelle vicine a Hezbollah. Così il sito al-Manara, il canale mediatico di Hezbollah, riporta il comunicato stampa dell’Ambasciata d’Iran a Baghdad, che porge le proprie condoglianze per la morte di al-Hashimi sostenendo che l’assassinio ha lo scopo di dividere le varie fazioni del Paese. Al-Akhbar, giornale libanese che difende Hezbollah, in un breve articolo sulla notizia parla invece di forze che vogliono destabilizzare l’Iraq. La prima fonte di destabilizzazione del Paese sono le milizie pro-iraniane, che Teheran ha sostenuto e controllato come parte della strategia di Qassem Suleimani, che prevedeva un modello libanese per l’Iraq, cioè la creazione di un gruppo politico armato attraverso il quale controllare il Paese (come con Hezbollah). Le forze di mobilitazione popolare sono un insieme di milizie con diverso orientamento politico, molti dei cui leader sono stati formati a Teheran e alcuni dei quali vorrebbero un Iraq modellato secondo le strutture politiche khomeiniste. Quando Suleimani è stato ucciso assieme al numero uno delle milizie sciite, Abu Mahdi al-Muhandis, la presa di Teheran si era ulteriormente indebolita, e la volontà di perseguire i piani di Suleimani potranno destare ancor più opposizione anti-iraniana. La popolarità dell’Iran scende, dimostrando che nonostante le divisioni etniche, religiose e settarie, c’è un senso di appartenenza a uno stato iracheno, e che per ora non si è trovato un sostituto di Soleimani che sappia perseguire i disegni di dominio regionale. Nonostante l’assenza di una risposta all’assassinio di al-Hashimi, Teheran deve affrontare un ampio schieramento di oppositori, che è riuscita ha creare anche tra i più vicini a Khamenei - al-Sistani per esempio ha elogiato Suleimani dopo la sua morte, ma ha condannato l’abuso del territorio iracheno per battaglie tra forze straniere. Il Primo Ministro iracheno al-Kadhimi, inizialmente apprezzato sia da Iran sia dagli USA, non ha dato ancora formulato una chiara risposta, forse temendo di esser lui stesso nell’occhio del mirino di delle milizie pro-iraniane, che all’inizio dell'anno lo avevano sospettato di esser coinvolto nell’uccisione di Suleimani.

Giovanni Quer (1983), ricercatore presso il Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.