'Tehran': la nuova serie di spionaggio israeliana che fa sensazione
Analisi di Giovanni Quer

La locandina della serie
Il canale Kan11 ha trasmesso 5 delle 8 puntate della nuova serie TV israeliana di spionaggio “Tehran”, che presto sarà trasmessa anche su Apple TV. Tamar Rabinian, agente del Mossad di origine iraniana, viene trasferita a Teheran per una breve missione di pirateria informatica. Tamar ha il compito di trasferire un virus nel sistema informatico della compagnia elettrica nazionale, ma tutto si complica e decide di rimanere a Teheran per tentare di portare a termine il compito affidatole. Oltre a esser una serie TV di spionaggio che parla di uno dei pericoli più attuali, cioè l’Iran, “Tehran” è anche una finestra sulla cultura e lingua persiana. Quando si pensa all’Iran si hanno in mente Khomeini e i proclami del suo successore Khamenei, i pasdaran che pattugliano le strade, le donne avviluppate in hijab e chador, ma poco si sa dell’altra Iran. La serie “Tehran” mostra tutti gli aspetti della complessa e affascinante società iraniana, senza stereotipi. Per esempio, il capo dei servizi di sicurezza iraniani, Faraz Kamal, che insegue Tamar, è un patriota ma non è un islamista, con una moglie moderna ed elegante. Il patriottismo di Faraz Kamal è messo in discussione da Masud, che lavora contro il regime perché, come avrà modo di spiegare, ama la sua patria più di quanto ci si possa immaginare. Molto si racconta dei giovani iraniani, tra quelli che appoggiano il regime, come la studentessa Razieh, attiva nei circoli islamisti universitari, e gli oppositori, come Milad, lo hacker cui Tamar si appoggia a Teheran.
La serie TV racconta della Teheran underground, dei giovani che sperano in una vita libera, senza oppressioni moraliste, che sfidano il regime in manifestazioni e vivono tra feste, alcol e amore libero. Non è un’esagerazione né un’invenzione. Il film “My Teheran for Sale” di Granaz Moussavi mandato in onda nel 2009, è tra i primi film che parlano della vita alternativa a Teheran, con discoteche clandestine e convivenze. Il documentario “Raving Iran” del 2016 segue i due giovani musicisti Anoosh Rakizade e Arash Shadram, tra raving party nel deserto e lotte con la censura islamica contraria alla loro musica “immorale” - i due vivono ora in Europa. La serie “Tehran” è stata girata ad Atene, tra i palazzi modernisti e i parchi che ricordano i bei quartieri della capitale iraniana. Le scene di azione e di suspence si accompagnano a scene di cultura iraniana che in Israele attrae sempre di più la fascinazione del pubblico. Per esempio, la cantante israeliana Maureen Nehedar ha un intero album di canzoni persiane che sono trasmesse più frequentemente alla radio mentre la cantante Rita Jahanforuz ha di recente pubblicato una cover della canzone “Jadeh Shab” [il viale della notte] di Ali Zand Vakili, che ha tradotto in ebraico per “far conoscere la musica persiana”. I dibattiti sulla serie TV hanno anche destato l’interesse sulla cultura persiana in Israele e l’attivismo degli ebrei persiani, tra cui una stazione radio in persiano (radio Ran) e la stazione Israel Pars TV, fondata da Parisa Daniel, scappata dall’Iran pochi anni fa, dopo esser stata in carcere per attività anti-regime. Il cast comprende israeliani e iraniani, come i famosi Shaun Toub, che ha interpretato Majid Javadi nella serie Homeland, e Navid Negahban, che sempre in Homeland ha interpretato Abu Nazir. Molti altri attori iraniani vivono all’estero, alcuni dei quali hanno interpretato ruoli minori sapendo che non potranno più tornare a casa. Niv Sultan, che interpreta la protagonista, ha dovuto imparare il persiano in pochi mesi e immergersi nella cultura di una delle ultime comunità ebraiche del Medio Oriente che vivono la nostalgia della vita prima di Khomeini. “Un occhio verso Gerusalemme e l’atro verso Isfahan” dicono alcuni protagonisti della serie, un detto che riassume l’identità ebraica-persiana. Chi è rimasto dopo la rivoluzione è costretto a socchiudere l’occhio vero Gerusalemme, mentre in chi è fuggito brilla ancora l’occhio che guarda a Isfahan, la città il cui splendore è pari a mezzo mondo, come dice un detto persiano.

Giovanni Quer (1983), ricercatore presso il Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.