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Giovanni Quer
Medio Oriente politica e società
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L’annessione della Valle del Giordano e la controproposta palestinese 12/06/2020
L’annessione della Valle del Giordano e la controproposta palestinese
Analisi di Giovanni Quer

A destra: Benjamin Netanyahu illustra i piani di eventuale annessione della Valle del Giordano

Il piano di pace di Trump prevede l’annessione di gran parte delle aree della West Bank ora controllate da Israele, conosciute come Zone C, in cambio di territori ora sotto sovranità israeliana. Netanyahu sta preparando l’annessione delle parti della Valle del Giordano controllate da Israele, circa il 30%. I palestinesi si sono rivoltati, interrompendo ufficialmente la collaborazione in campo di sicurezza (ma non ancora di fatto), e hanno presentato un piano alternativo agli americani. La sinistra si oppone all’annessione per le implicazioni sulla popolazione palestinese; la destra non vede alcuna differenza di fatto; il centro considera le conseguenze dal punto di vista di sicurezza. Nei territori della Valle del Giordano da annettere dovrebbero vivere circa 60.000 palestinesi (secondo diverse fonti israeliani), buona parte dei quali beduini, che costituiscono circa il 30% dei palestinesi che vivono nelle Zone C - i dati forniti dai palestinesi sono ben diversi, ma anche meno affidabili. Una volta estesa la sovranità israeliana a questi territori, i cittadini palestinesi potranno scegliere tra cittadinanza israeliana o residenza, che sarebbe equiparabile ai cittadini arabi di Gerusalemme con la cosiddetta “carta blu” (cioè residenti permanenti con tutti i diritti tranne quello di voto alle elezioni politiche). La differenza di status giuridico potrebbe comportare, secondo la sinistra, un danno ai diritti fondamentali dei cittadini palestinesi, in termini soprattutto di eguaglianza. Secondo la destra nulla cambierebbe, anzi lo status dei futuri cittadini israeliani o residenti permanente migliorerebbe la loro situazione in quanto sarebbero soggetti totalmente a legge israeliana. Ora i cittadini palestinesi residenti nelle zone amministrate da Israele sono soggetti a tre giurisdizioni diverse: quella palestinese (status personale, commerciale), quella israeliana civile (diritto del lavoro se il datore è israeliano) e quella israeliana militare (per quanto riguarda lo statuto penale e i diritti relativi all’edilizia). Come tentativo di soluzione di fatto Israele ha tentato di concentrare la presenza beduina delle Aree C nella zona a nord di Gerico, con una soluzione simile a quella adottata per i beduini del Negev: pianificazione e costruzione di cittadine per gli abitanti dei villaggi ora non riconosciuti. Questa politica implica anche il rifiuto di permessi edilizi al di fuori dei piani di urbanizzazione, la demolizione delle costruzioni illegali, l’esclusione di un possibile condono per le costruzioni illegali palestinesi. Oltre alle questioni legali, si aggiungono le argomentazioni culturali, per cui Israele tenterebbe di distruggere uno stile di vita nomade imponendo un’urbanizzazione con infrastrutture moderne. La Corte Suprema, salvo rari casi, non ha mai trovato che tali decisioni fossero incostituzionali e per questo è attaccata dalla sinistra più radicale come “complice nell’occupazione”. Il problema è quel che potrebbe succedere in reazione all’annessione. La più delicata situazione del Monte del Tempio insegna che può scoppiare un’intifada (come nel 2000), possono esserci temporanei disordini (come nel 2016 e nel 2017), oppure può non succedere nulla (come dopo la Dichiarazione di Trump su Gerusalemme capitale di Israele e il trasferimento dell'Ambasciata). I palestinesi hanno ritirato l’accordo di cooperazione con Israele, ma nulla è cambiato di fatto (infatti anche senza cooperazione ufficiale l’Autorità Palestinese ha fermato due terroristi che pianificavano un attentato contro obiettivi israeliani questa settimana). La Giordania minaccia di ritirarsi dall’accordo del gas e dalla cooperazione di sicurezza, sotto pressione popolare e dei movimenti islamisti e come ritorsione a quello che percepisce come un comportamento irrispettoso di Trump e Netanyahu. L’Arabia Saudita, nelle parole del Ministro degli Esteri il Principe Faisal ibn Farhan ibn Abdallah, ha messo in guardia che ogni mossa di annessione può esser un passo pericoloso. Di fatto non cambierebbe nulla, se non che Israele sarà costretta a difendere i diritti dei futuri “nuovi cittadini israeliani”, compresi i diritti edilizi e anche quelli di ricongiungimento famigliare, con naturali preoccupazioni di sicurezza. Tra la posizione di estrema serenità della destra, per cui non accadrà nulla, e di estremo allarme della sinistra, che prevede una terza intifada, ci sono molte altre considerazioni. Per ora le reazioni sono timide: i Paesi arabi non stanno appoggiando la causa palestinese e sembrano più interessati a intensificare i rapporti con Israele; la Germania si è fatta portavoce dell’opposizione europea all’annessione, con il PM palestinese Shtayyeh che ha supplicato la Germania di non fare favoritismi pro-israeliani per via “delle relazioni storiche tra Germania e gli ebrei”. Molti altri fattori sono da tenersi in considerazione: il futuro della dirigenza palestinese nella West Bank, i piani di Hamas e di Jihad Islamico in conseguenza a un eventuale annessione e la connessa volontà dell’Iran di mandare un messaggio a Israele anche attraverso Hezbollah (per ora scenario non probabile), misure che Giordania, Egitto e Arabia Saudita dovranno mettere in pratica per mantenere la pace con Israele e una parvenza di difesa degli interessi arabi. L’eventuale annessione sarebbe solo un modo per dire ai palestinesi: i tempi sono cambiati; il massimalismo non è una politica fruttuosa.


Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.

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