L’aria di normalizzazione dall’Arabia Saudita e dall’Egitto, i popoli accetteranno Israele? 16/05/2020
L’aria di normalizzazione dall’Arabia Saudita e dall’Egitto, i popoli accetteranno Israele? Analisi di Giovanni Quer
Negli ultimi due anni si parla sempre di più di normalizzazione con Israele e ci sono segnali dall’Arabia Saudita e dall’Egitto,ma le popolazioni accetteranno? Uno degli strumenti per diffondere nuove idee tra la popolazione, in particolare in regimi dittatoriali, è la TV e nel mondo arabo le serie TV trasmesse durante il mese di Ramadan sono le più viste. Nel 2018, in Egitto è stata mandata in onda la serie “Eugenie Nights”, che racconta la travagliata storia di Cariman, che fugge dal marito violento a Port Said. Lì conosce Jalila, ragazza di campagna che ha successo come cantante, e Ne’amat, che sposa il proprietario di un albergo nonostante la modesta estrazione sociale. Ambientata nell’Egitto del dopoguerra, Eugenie Nights ha introdotto due figure “straniere”, una italiana e un ebreo, parte integrante del tessuto sociale egiziano fino alla rivoluzione di Nasser. In questi giorni la serie TV “Um Harun” (madre di Aaron) una produzione del Kuwait e mandata in onda dal canale saudita MBC ha dato origine a un dibattito nel mondo arabo per il tema che tratta: la vita di una dottoressa ebrea in Kuwait negli anni ’40 e la discriminazione subita da parte dei movimenti anti-sionisti. Mentre in Eugenie Nights il pluralismo culturale e la presenza ebraica erano molto velati (nessun simbolo ebraico o altro riferimento all’ebraismo), in Um Harun il primo episodio si apre con un monologo dell’eroina in ebraico. Interpretata come un segno di normalizzazione, la serie TV è stata condannata da vari movimenti, intellettuali e giornalisti arabi. Anche esponenti di Hamas hanno condannato la serie TV. Nonostante il successo nel rating, sulle reti sociali si sono diffuse campagne contro la TV saudita colpevole di mandare messaggi di “normalizzazione”. Il canale egiziano el-Sharq, legato alla Fratellanza Musulmana, ha trasmesso un programma in cui si accusano gli ebrei di dominare la televisione egiziana - forse un riferimento al direttore della serie TV, l’egiziano Ahmed Amal al-Adl. L’aria anti-saudita dovuta all’avvicinamento con Israele ha trovato due risposte. Lo scrittore saudita Abdulhamid al-Ghobain ha rilasciato un’intervista al canale arabo della BBC il 10 maggio sostenendo che la causa palestinese non interessa più il pubblico arabo, che vorrebbe invece più legami con Israele per un futuro di collaborazione scientifica, economica e tecnologica. Il ricercatore saudita Abd el-Razzaq al-Qawsi ha pubblicato un articolo il 9 maggio sul giornale israeliano Maariv, in cui denuncia l’ingratitudine palestinese e i fallimenti di una leadership ormai allo sbando; nell’articolo al-Qawsi riconosce anche tutti riferimenti storici, compreso il Tempio di Salomone e l’islamizzazione della regione dopo l’arrivo” degli arabi. Idee di questo tipo non possono esser espresse senza un consenso del regime, che è molto vocale nell’apertura verso Israele e nelle rimostranze verso i palestinesi: la vicinanza di Hamas all’Iran, le critiche anti-saudite per l’apertura verso Israele, e la carenza di una visione politica. L’Egitto è meno chiaro: al-Sisi parla di pace e prosperità regionali, senza nominare Israele. In entrambi i casi, i regimi devono fare i conti con una popolazione profondamente anti-israeliana, influenzata sia dai movimenti islamisti sia da quelli laici anti-regime. I diversi gruppi anti-normalizzazione sono molto attivi sulle reti sociali, organizzando diffuse campagne online, ed hanno la capacità di catalizzare sia i gruppi dell’Islam politico, che sovente usano un linguaggio antisemita nella loro opposizione al sionismo, sia i vari settori anti-regime. Dopo decenni di propaganda anti-israeliana e antisemita, la normalizzazione è considerata una forma di tradimento del popolo arabo che possono costare la popolarità di un artista o la stabilità di un governo. Molti nel mondo arabo sono stanchi della retorica anti-israeliana e vedono nella cooperazione con Israele un’opportunità di sviluppo per l’intera regione. Non è però un cambiamento molto facile da operare, dopo che l’esistenza di Israele è stata negli anni stigmatizzata come anti-araba e anti-islamica. Le serie TV sono un inizio, così come le voci di giornalisti e scrittori, ma quante di queste voci saranno necessarie per abbattere il muro ideologico dell’anti-normalizzazione?
Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.