Cristiani e musulmani in Israele contro il coronavirus
Analisi di Giovanni Quer
A destra, Israele al tempo del Coronavirus: "Quindi una piccola democrazia in Medio Oriente, circondata da nemici che pur di distruggerla non si fermerebbero di fronte a nulla, è classificata come la più sicura del mondo. Viviamo in tempi strani..."
La crisi del coronavirus ha avuto effetti inattesi sulle relazioni tra il pubblico arabo e il governo. All’inizio della crisi, quando il governo aveva introdotto le prime misure restrittive, a Giaffa erano scoppiati disordini: una pattuglia della polizia aveva tentato di disperdere un gruppo di ragazzi riunitosi per strada in contravvenzione alla proibizioni e presto la situazione è degenerata in una protesta violenta. Anche a Gerusalemme un ragazzo era stato multato perché voleva recarsi in preghiera ad al-Aqsa, causando una reazione anti-governo sulle reti sociali. I casi sono stati isolati, e i leader politici e religiosi hanno collaborato con il governo per affrontare la crisi. Il primo fronte di collaborazione è il settore medico, dove prima dell’inizio delle consultazioni, quando ancora si pensava che Gantz potesse creare un governo con i partiti arabi, si era diffusa una campagna tra il personale degli ospedali, con fasce scritte in ebraico e in arabo “uniti nella crisi, uniti nel governo”. Ora lo spirito di comunanza non è solo professionale. Il secondo fronte di collaborazione è quello politico. Fin dall’inizio i rappresentanti arabi hanno collaborato con il governo per garantire il rispetto delle restrizioni anche nel settore arabo, dove usanze e norme sociali rendono più difficile il monitoraggio delle norme. A fine marzo il deputato Mansour Abbas (del Movimento Islamico) ha rilasciato un’intervista alla radio “Kan B” in cui parlava dei pericoli di diffusione del virus nei villaggi arabi e della necessità di collaborare con le autorità, compresa la polizia.
L’aspetto più delicato è forse il rapporto con la polizia, considerata il primo nemico. Ora sono gli stessi sindaci delle cittadine e dei villaggi arabi che invitano la polizia a far rispettare le norme, con una serie di volontari “arruolatisi” per sostenere il lavoro di forze dell'ordine, pompieri, paramedici. Il terzo fronte di collaborazione è il mondo religioso. Aprile è un mese particolarmente difficile per via delle festività di Pesach, Pasqua e Ramadan. Dopo le severe restrizioni imposte nel periodo di Pesach, che per il governo è stato un esame per un eventuale allentamento delle norme nelle prossime settimane, il pericolo è ora il Ramadan e le possibili aggregazioni di persone durante le preghiere e i pasti serali che segnano la fine del digiuno. I leader religiosi si stanno adoperando per impedire l’aggravarsi della crisi. I cristiani cattolici hanno festeggiato la Pasqua la settimana scorsa, ma la maggior parte segue il calendario ortodosso, festeggiando questo fine settimana. Un video registrato da Saba Haj, pope del villaggio di I’blin, è diventato il messaggio alla comunità cristiana di rimanere a casa per i festeggiamenti, “non andate in chiesa e fare delle vostre case delle chiese”.
Per quando riguarda la popolazione musulmana, il Wakf (l’amministrazione islamica dei luoghi di culto e degli affari religiosi) ha decretato che al-Aqsa rimarrà chiusa, mantenendo solo la chiamata alla preghiera e permettendo il tarawih (le preghiere aggiuntive solitamente da farsi in coppia durante il mese di Ramadan) solo agli impiegati del Wakf e ai guardiani della Moschea. Anche gli imam in Israele si adattano alle fatawa, le opinioni giuridiche, emesse nel resto del mondo islamico per combattere la crisi. Tra le prime interpretazioni che si sono diffuse vi è la proibizione di contagio, da considerarsi un delitto che rientra nella categoria giuridica islamica diya. Una fatwa più recente diffusa anche tra il pubblico islamico in Israele viene dall’Egitto: il giureconsulto Khaled Omran ha decretato che starnutire per allontanare persone indesiderate nelle proprie vicinanze è illecito e contrario all’etica islamica, trattandosi di minaccia all’integrità fisica. I cambiamenti sociali della crisi coronavirus saranno molteplici. Per quanto riguarda le relazioni tra popolazione araba e Israele, forse questo periodo di comunanza di intenti segnerà un cambiamento a lungo andare, con un maggior impegno sociale da parte dei giovani e più apertura verso le autorità. Per quanto riguarda la società araba, i cambiamenti sociali saranno anche significativi e toccheranno forse gli aspetti legati al “‘eib”, la vergogna, lo stigma sociale, che spinge molti a nascondere notizie relative allo status di salute o eventuali esposizioni al contagio.

Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.