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Giovanni Quer
Medio Oriente politica e società
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Il coronavirus nel mondo arabo: combattere la pandemia con le fatwa 24/03/2020
Il coronavirus nel mondo arabo: combattere la pandemia con le fatwa
Analisi di Giovanni Quer


La pandemia del coronavirus si sta diffondendo anche nel mondo arabo, e la crisi che sta per venire può esser un altro pericolo per Israele. In molti nel mondo arabo nutrono la speranza che Israele sviluppi presto un vaccino, e anche in Iran il Gran Ayatollah Shirazi aveva espresso con favore un’eventuale medicina da Israele. Ma la situazione di emergenza e il probabile intensificarsi della crisi nel Medio Oriente mitigano questa apertura. Di fronte all’indifferenza generale verso le norme introdotte dai governi, sono gli imam che tentano di combattere.

Egitto La Ministra della Salute egiziana ha detto ieri che per evitare una crisi come quella italiana, gli egiziani devono rispettare le nuove norme. Il governatore Giza, hanno intrapreso delle campagne di sensibilizzazione invitando la gente a rispettare misure preventive. L’Egitto ha una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti, con un sistema di servizi precario, una popolazione urbana affollata e quella rurale in povertà, sulla quale peserebbero inevitabilmente decisioni come coprifuoco e chiusura dei servizi. Gli annunci e i decreti non sono serviti a molto, così la Commissione degli Imam della Moschea di al-Azhar ha deciso di chiudere le moschee con un’interpretazione religiosa che permette l’interruzione del culto e delle congregazioni di fronte a una situazione di emergenza.

Giordania La Giordania ha già da qualche giorno proibito affollamenti e annunciato la chiusura della maggior parte dei servizi commerciali, ma la popolazione non si è per ora molto curata delle nuove proibizioni, continuando a celebrare matrimoni ed altri eventi sociali. Il pericolo della Giordania sta nelle aree affollate, in particolare nei campi profughi siriani. È dovuto intervenire il Ministro degli Affari Religiosi, che ha pubblicamente detto che chi non rispetta le misure preventive e finisce per contagiare i membri della propria famiglia e altre persone è un “criminale”.

Iraq Iran Sono sempre di più le figure religiose che si stanno adoperando per convincere la popolazione a rispettare le norme di sicurezza sanitaria. In Iraq, dove il virus si sta diffondendo a causa anche dei continui contatti con il vicino Iran, tra i maggiori focolai del contagio regionale, l’esercito è stato dispiegato per imporre il rispetto del coprifuoco. Eppure poco è servito di fronte alla folla di pellegrini sciiti in visita al santuario di Musa al-Jaf’ar al-Kazim, il settimo Imam la cui celebrazione cade in questi giorni. Così è intervenuto l’Ayatollah al-Sistani, il supremo leader sciita dell’Iraq, che in una fatwa ha interpretato il contagio come un crimine che ricade nella categoria giuridica islamica “diya”, cioè compensazione nel caso di omicidio, danno fisico o a proprietà. La fatwa di al-Sistani è influente anche tra gli sciiti in Libano ed anche se non citata, ha influenzato il resto del mondo islamico. L’Iraq, sull’orlo del collasso, avrà vita difficile nel gestire l’epidemia in corso.

Territori palestinesi Nei Territori Palestinesi, le misure restrittive di Abu Mazen sono state prese sotto gamba, ed è quindi intervenuto il Wakf che ha chiuso anche al-Aqsa. In un articolo pubblicato su al-Hayyat al-Jadida si critica aspramente Hamas per non aver introdotto misure di prevenzione del contagio a Gaza. “I membri della Fratellanza… si affidano solo a fatwe della propria organizzazione”  e “per ignoranza e arroganza… stanno indebolendo gli sforzi del governo di contenere il coronavirus”. L’intervento delle personalità religiose avrà qualche effetto, ma non sarà sufficiente a contenere la crisi. Se dovessero trasformarsi questi stati la cui stabilità è già precaria in aree di collasso, gli scenari regionali sarebbero catastrofici. Una popolazione che non ha fiducia nei propri governanti e che non ha nulla da perdere può di nuovo rivoltarsi, come ha dimostrato incessantemente negli ultimi dieci anni. Ma questa volta le conseguenze potrebbero esser catastrofiche, soprattutto se i confini di Israele dovessero perdere la relativa tranquillità degli ultimi anni.


Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.

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