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Giovanni Quer
Medio Oriente politica e società
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Il boicottaggio del festival cinematografico TLVFEST: ipocrisia e anti-normalizzazione 07/03/2020
Il boicottaggio del festival cinematografico TLVFEST: ipocrisia e anti-normalizzazione
Analisi di Giovanni Quer

A destra, Dry Bones di Yaakov Kirschen:
"La prima coppia omosessuale che si è sposata in Francia ha fatto la luna di miele in Israele"
"Hanno visitato altri posti in Medio Oriente?"
"No. Sono gay, non suicidi"

Il TLVFest è un festival cinematografico a tema LGBT che quest’anno avrà luogo a giugno per la quindicesima edizione. Una campagna di boicottaggio è stat lanciata questa settimana dal movimento BDS e da fonti autodefinitesi LGBT palestinesi. Alla campagna partecipano più di 130 registi, attori e intellettuali (secondo un articolo del sito Hollywood Reporter poi pubblicato da altri giornali israeliani. L’argomento del movimento BDS è che Israele strumentalizzerebbe le politiche liberali per distogliere l’attenzione dai presunti crimini di guerra e dall’apartheid (in inglese si usa l’espressione pink-washing). A questo argomento si aggiunge un’altra accusa secondo cui Israele sarebbe una società conservatrice e per nulla liberale, adducendo l’esempio della legge sulla gestazione per altri, che quando è stata passata non prevede l’opzione per le coppie delle stesso sesso. Infine, si sostiene che la lotta per la liberazione degli oppressi è comune a tutte le comunità discriminate. L’ipocrisia politica delle argomentazioni anti-israeliane è particolarmente evidente quanto si tratta di boicottaggio LGBT anti-israeliano. Non vale la pena di fare una lista delle politiche e leggi che tutelano e riconoscono i diritti LGBT in Israele. Quel che importa notare è che in Israele la società cambia e si trasforma rapidamente.

Nel giro di trent’anni, dopo la prima sentenza che ha riconosciuto le coppie di fatto nel 1992, l’agenda LGBT è diventata parte di quasi tutti i partiti. Il vero scopo del boicottaggio delle fonti LGBT è l’anti-normalizzazione ossia la linea politica ufficiale palestinese che impedisce qualsiasi contatto con israeliani o internazionali che abbiano a che fare con Israele. Questa è anche la politica della sigla LGBT palestinese al-Qaws, anche se di Lgbt ha solo il nome , certamente non la difesa delle persone Lgbt palestinesi. Nell’agosto 2019 un evento organizzato dall’associazione Al Qaws a Nablus e stato impedito dalla Polizia Palestinese per sedizione, disordine pubblico e contrarietà alla morale pubblica. La polizia aveva chiesto alla cittadinanza di informare su simili eventi, annunciando l’inizio di procedure legali per gli attivisti dell’associazione, le cui attività sono state poi proibite perché metterebbero in pericolo l’unità della società palestinese e perché contrarie ai costumi, alla religione e ai principi sociali palestinesi (come riporta il sito Raya, 18 agosto 2019 nelle parole di Louay Arziqat, portavoce polizia palestinese). Secondo un articolo pubblicato sul sito Arab48 (18 agosto 2019), 643 commenti in sole tre ore incitavano alla violenza contro le persone LGBT proprio in risposta all’annuncio della polizia. Questi sono i fatti. Non si sono sentite campagne di supporto alle persone LGBT palestinesi, né si sono viste campagne di boicottaggio contro l'OLP. Oltre all’ipocrisia vi è anche l' accidia: poteva esser un’occasione per iniziare un dialogo sulla situazione delle lesbiche e dei gay nei Territori Palestinesi e nella società araba tradizionalista in Israele. Non è un segreto che molti siano i gay palestinesi che fuggono in Israele aspettando un visto di re-location (trasferimento in altro Paese) per ragioni umanitarie targato Israele. Non è un segreto che il ritrovo mensile dei gay palestinesi sia una festa che ha luogo a Tel Aviv! Non è un mistero che la violenza anti-LGBT nelle società arabe tradizionaliste sia diffusa. Chi ignora tutto questo per associarsi all’agenda nazionalista palestinese lo fa per ideologia o, nel caso degli stessi palestinesi, nella speranza di esser visti come parte integrante della società e accettati come membri attivi della lotta nazionale contro Israele. Chi lo fa per piaggeria post-modernista, scomodando le teorie sociologiche dell’intersezionalità (come chi parla della comune lotta degli oppressi) o i principi dei diritti umani, dovrebbe infondere la stessa passione anti-israeliana in una vera causa per i diritti umani e il cambiamento delle proprie società. Forse allora le persone LGBT palestinesi diventeranno un vero sostegno contro discriminazione e violenza.

Per approfondire il tema dei diritti LGBT in Israele, rimandiamo al dossier a cura di Giovanni Quer: http://www.informazionecorretta.com/dossier.php?l=it&d=15

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Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.

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