Oltre la vittoria del Likud e della Lista Araba Unita: la situazione non è cambiata
Il conto dei voti si avvicina alla fine. Secondo gli ultimi risultati così sarebbe la ripartizione dei seggi: Likud 35, Kachol Lavan (“Blu e Bianco” di Gantz) 32, Lista Araba Unita 16, Shas (partito haredi sefardita) 9, Yahadut HaTorah (partito haredi ashkenazita) 7, Israel Beitenu (partito dell’elettorato russo di Lieberman) 7, Avodah-Gesher-Meretz (la coalizione di sinistra) 7, Yamina (la destra religiosa) 6.
Il successo del Likud è la vittoria (personale) di Netanyahu, ma non necessariamente politica. Il Likud ha lavorato durante l’ultima campagna nella periferia e tra diversi gruppi culturali. La periferia, in particolare nel sud di Israele si è identificata per la maggior parte con il Likud, che è riuscito ad aumentare il numero di votanti trascinando ai seggi anche i più scettici. Netanyahu si è rivolto anche a tre gruppi etnici-culturali differenti. Agli etiopi ha promesso e ottenuto il permesso di immigrazione di qualche centinaio di etiopi la cui appartenenza al popolo ebraico è in dubbio e che quindi non potevano finora godere della cittadinanza israeliana automatica. Alla destra religiosa e in particolare ai cittadini di Giudea e Samaria, Netanyahu ha promesso di estendere sovranità alle aree C - nonostante Lieberman avesse detto che Netanyahu ha assicurato al Re Abdallah di Giordania che sarebbe solo un’uscita elettorale. Agli arabi ha assicurato politiche sociali. Il Likud non è riuscito a scalfire il voto compattato per Kachol Lavan, il partito di Gantz. Gran parte dell’elettorato di sinistra è andato a Gantz, lo si vede nelle città dove tradizionalmente Avodah (il Labor israeliano) era forte, come Tel Aviv e Haifa. E così anche nella periferia del sud e nel nord, in particolare nei kibbutzim, dove solitamente era Meretz a vincere. Il voto per Gantz non è tanto dovuto a un’identificazione nell’agenda politica del "partito dei generali" (oltre a Gantz altri due ex-generali sono figure centrali del partito), quanto invece il fatto che Gantz rappresenta un’alternativa a Netanyahu. Né Avoda né Meretz, nemmeno nella loro coalizione, sono riusciti a dimostrarsi sufficientemente forti per poter contrastare il Likud. La campagna di Kachol Lavan si è incentrata sul messaggio anti-Netanyahu, che è stata anche la sua debolezza. Sparuti messaggi politici, indecisioni, poche comparse mediatiche, una campagna elettorale condotta in generale poco bene sono stati gli errori commessi da Gantz, che ha pagato un caro prezzo.
La Lista Araba Unita ha raggiunto un risultato inatteso: 16 seggi. Aida Touma-Suleiman, già parlamentare della Lista, ha detto alla radio Kan Bet che la vittoria rappresenta il 95% del voto arabo, dimostrando che “il pubblico arabo ha piena fiducia in noi; noi siamo gli unici rappresentanti del pubblico arabo”. Sul voto ebraico per la Lista Araba Unita, ha detto che “abbiamo raddoppiato i voti tra le forze democratiche ebraiche”. A ben guardare, Kachol Lavan, Israel Beitenu e in parte il Likud e Avoda attraggono ancora parte del voto arabo, in particolare tra i drusi, i cristiani e parte dei musulmani. In altri casi è Shas che ha avuto parte minore del voto arabo, per la comunanza di visioni sociali tradizionaliste. Il successo della Lista Araba Unita si spiega certamente per un aumento del voto tra il pubblico arabo, ma anche con l'attrazione del voto ebraico. La Lista Araba Unita si presenta come rappresentante della democrazia arabo-ebraica. Da una parte, il successo della Lista dimostra il rafforzamento delle forze post-sioniste del voto ebraico (cioè quelli che hanno votato per Meretz e Hadash) e anti-sioniste del voto arabo. Dall’altra, però, la Lista Unita si propone come una nuova sinistra e dovrà perciò fare i conti con le forze anti-moderne al proprio interno (movimenti islamisti e conservatori). La Lista Araba Unita non è un partito di sinistra. Al proprio interno ha sì elementi liberali, che convivono però con gli islamisti solo in funzione anti-israeliana. Per poter parlare al pubblico ebraico dovrà cercare di far pace con la realtà di essere un partito israeliano e non un partito palestinese in prestito a uno Stato che non vuole riconoscere. Shas, il partito haredi degli ebrei mizrahim, ha riscosso un altro successo: 9 seggi. Il voto di Shas non è solo un voto religioso. Molti ebrei di origine orientale si identificano in Shas come partito che rispecchia la loro identità culturale, e in particolare nella periferia Shas ha successo per l’agenda economico-sociale. In questa tornata di elezioni il partito ha ricevuto voti da altra destra religiosa, in particolare dell’elettorato di Giudea e Samaria che non ha votato per Yamina. Il rappresentante politico dei coloni, Itamar Ben-Gvir, è stato isolato da Naftali Bennet, che ha perso il voto di parte dei coloni, andato al Likud e a Shas. Nonostante queste novità, non c’è ancora la possibilità di fare una coalizione. Il blocco della destra non ha abbastanza seggi, e Lieberman è stato chiaro nel definire la destra come “il blocco haredi messianico” con cui non farà un accordo, definendosi “la vera destra liberale” (il significato della parola “liberale” è da intendere evidentemente nel senso economico). Il blocco di centro-sinistra non arriva nemmeno a una maggioranza, dopo che la Lista Araba Unita ha chiarito che non andrà al governo con Gantz, accusato di sostenere la maggioranza ebraica e di conseguenza definito razzista. La scusa della “maggioranza ebraica” serve forse a non parlare del problema fondamentale: la Lista Unita non ha risolto la contraddizione interna di esser un partito che non accetta Israele ma che vuole esser la terza forza politica del Paese.
La soluzione sarebbe un governo di rotazione, come doveva essere nelle due precedenti elezioni. Non sembra però che né Netanyahu né Gantz siano disposti a un simile scenario. Netanyahu, che ha un leggero vantaggio su Gantz, potrebbe chiedere aiuto alla coalizione di sinistra o incominciare una campagna senza precedenti per attrarre eventuali defezioni da altri partiti. In entrambi casi avrebbe forse una maggioranza risicata, in continuo bilico. Se Gantz dovesse accettare la rotazione, dovrà esser disposto a pagare il prezzo della fine di una carriera politica appena iniziata. Un’ultima opzione è che il Presidente dello Stato non conferisca il mandato di formare il governo a nessuno dei due principali governi, ma rimandi alla Knesset il compito di nominare tra i propri membri chi formerà il governo. Un’opzione non prevista, né esclusa, dalla legge. Del resto non c’è nemmeno una legge sul caso Netanyahu, sotto mandato d’accusa e aspirante Primo Ministro. Rispetto alle altre due precedenti elezioni, questa volta si dovrà trovare una soluzione, perché nessuno può immaginare le conseguenze politiche ed economiche di un altro turno di elezioni.

Giovanni Quer