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Giovanni Quer
Medio Oriente politica e società
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Hamas in crisi, Israele si prepara a nuovi scenari 27/02/2020
Hamas in crisi, Israele si prepara a nuovi scenari
Analisi di Giovanni Quer

A destra: terroristi di Hamas

La crisi di Hamas a Gaza è per Israele un’opportunità: il miraggio di una temporanea intesa, ma altri attori rischiano di minare l'intesa. L’ultima escalation di violenza a Gaza ha dimostrato una politica che Israele ha adottato ormai da qualche tempo: colpire Jihad Islamico Palestinese (PIJ) e lasciar stare Hamas. Israele ha colpito obiettivi di PIJ a Gaza e in Siria in risposta al lancio di missili verso Israele. Lo scontro più recente con PIJ è stato a novembre, dopo l’eliminazione del leader Abu Ata. In entrambi i casi, Israele ha mantenuto una politica di contenimento verso Hamas, colpendo solo obiettivi del rivale PIJ. Parte della politica blanda verso Hamas è anche il trasferimento di soldi dal Qatar, che per Israele significa alleviare la crisi umanitaria di Gaza, ma anche un probabile rafforzamento di Hamas. Questa settimana, 200 nuovi permessi di lavoro sono stati concessi a residenti di Gaza. PIJ ha rilasciato un comunicato in cui sostiene che gli attacchi a Israele sono stati concordati con Hamas, ma vista la rivalità dei due movimenti, non è del tutto plausibile. Può esser che Hamas non sia capace di mantenere il controllo su Gaza, oppure può voler dire che Hamas lascia a PIJ attaccare Israele, mentre preferisce continuare una politica pragmatica verso Israele per permettere l’alleviamento della crisi umanitaria. Un’altra opzione è possibile: che PIJ abbia parlato di coordinamento con Hamas intendendo la direzione del movimento islamico all’estero e non quella a Gaza. Tra le due leadership del movimento c’è sempre stata una frattura: i leader di Hamas all’estero vivono comodamente, mentre a Gaza si soffre; in più i rappresentanti di Hamas all’estero e Haniyeh in particolare, sono quelli che più sono vicini a Teheran, mettendo l’intero movimento in cattiva luce di fronte al resto del mondo islamico sunnita. PIJ è anche vicina a Teheran, quindi è possibile che il comunicato fosse diretto al leader di Hamas a Gaza, sempre più inviso per la sua politica verso Israele.

Risultato immagini per gaza rockets

Yahiya Sinwar ha deciso finora di adottare una politica pragmatica: il cambiamento formale dello Statuto di Hamas è servito ad avere più legittimità agli occhi del pubblico occidentale, e sul fronte militare ha intrapreso minime decisioni: qualche attacco missilistico e la campagna “Grande Marcia del Ritorno” iniziata a marzo 2018, che si è rivelata fallimentare, con quasi 350 morti tra i manifestanti che avevano tentato di oltrepassare il confine verso Israele. Sinwar ha fatto la sua carriera nel movimento come responsabile dei collaborazionisti palestinesi con Israele ed era conosciuto come il “macellaio di Khan Younis”, per la sua particolare ferocia nell’eliminare i sospetti. Ma da quando è al potere sembra propenso a un accordo con Israele, certo attraverso mediazione. Anche Sinwar non apprezza la vicinanza all’Iran, e la tensione tra le due fazioni (quella di Gaza e quella all’estero) su questo punto si era creata già ai tempi del fondatore Sheikh Yassin. Il suo parziale pragmatismo sicuramente lo rende inviso alla fazione estera e a PIJ. La vicinanza all’Iran si è espressa anche con la partecipazione di Hanyeh al funerale di Suleimani, il capo delle forze Quds del regime iraniano eliminato in un’operazione militare americana. La condanna del mondo sunnita è stata unanime. Anche se il Qatar continua a mantenere l’impegno di finanziare Gaza, il mondo sunnita sta cambiando atteggiamento verso il movimento islamico a Gaza. L’Arabia Saudita ha settembre ha arrestato una ventina di palestinesi membri di Hamas, compreso il rappresentante del movimento islamico nel Regno saudita, Muhammed Saleh al-Khudari. L’Egitto ha incominciato la costruzione di un muro di separazione al confine con Gaza, oltre la barriera già esistente. A maggio dell’anno scorso un numero di giornalisti della stampa araba (compreso un libanese, un kuwaitiano, e un iracheno) aveva condannato il lancio di missili verso Israele, non tanto per difendere lo Stato ebraico, quanto invece per accusare l’organizzazione palestinese di esser soggetta all’Iran. Per Israele Sinwar rimane ancora la migliore opzione a Gaza. Il suo pragmatismo è ripagato da notevoli concessioni da parte di Israele, che sono anche oggetto di critica perché non hanno portato per ora a una vera e propria tregua. Israele ha l’interesse a che Sinwar rimanga al potere come pragmatico, apprendendo anche le lezioni del passato, come l’eliminazione di Sheikh Yassin, che ha portato al rafforzamento dell’ala pro-iraniana di Hamas. Negli ultimi dieci anni, Israele ha fermato i tentativi di Hamas di aumentare la propria forza militare attraverso una rete di scienziati e finanziatori residenti all’estero, era ora il Movimento di Resistenza Islamica si trova di fronte al mondo arabo indifferente e in alcuni casi ostile, a Israele disposto a un’intesa, e con gli unici amici in Turchia e in Iran.

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Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.

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