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Giovanni Quer
Medio Oriente politica e società
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Netanyahu parla in arabo, la Lista Araba Unita parla in yiddish: come cambia la politica israeliana 25/02/2020
Netanyahu parla in arabo, la Lista Araba Unita parla in yiddish: come cambia la politica israeliana
Analisi di Giovanni Quer

A destra: Benjamin Netanyahu con un gruppo di cittadini arabi israeliani

La crisi politica israeliana porta a risultati inattesi: il Likud si rivolge all’elettorato arabo, e la Lista Unita si rivolge a ortodossi, russi ed etiopi. Netanyahu e Gantz non sono riusciti a trovare un accordo ed è difficile pensare che dopo le prossime elezioni qualcosa cambierà. La sinistra è divisa e senza leadership. La destra religiosa ha tentato di rivolgersi all’elettorato laico, ma senza successo. Ogni crisi politica porta anche a nuove opportunità. Così la destra si rivolge all’elettorato arabo, disincantato dai rappresentanti che si occupano perlopiù del conflitto e meno delle questioni sociali-economiche che toccano tutti i cittadini arabi. Allo stesso modo, il partito arabo si rivolge all’elettorato ortodosso, etiope e russo, gruppi che per diverse ragioni si trovano emarginati. La settimana scorsa Netanyahu ha rilasciato un’intervista al canale Hala, pubblicata anche al giornale online PaNet. Basem Jaber, commentatore e proprietario del gruppo di telecomunicazioni Panorama, ha condotto l’intervista nella sede del Likud ed è oggetto di non poche critiche che lo accusano di essersi venduto, di “aver un interesse economico nell’intervista” e di aver dato a Netanyahu una piattaforma di propaganda per il pubblico arabo. Durante l’intervista Netanyahu ha detto che non ci sarà un trasferimento di popolazione o di sovranità, cioè l’opzione prevista dal piano di pace di Trump, promettendo anche di sviluppare voli diretti con l’Arabia Saudita per i cittadini musulmani di Israele che vogliono andare alla Mecca in pellegrinaggio. Ora i pellegrinaggi sono gestiti da una cooperazione istituzionale tra Giordania e società private. Difficile credere che sia un obiettivo realizzabile, anche alla luce dell’avvicinamento tra Israele e alcuni dei Paesi arabi. Netanyahu coglie l’occasione anche per attaccare la Lista Unita, l’unione dei vari partiti arabi: “cos’hanno fatto per voi?“ si chiede Netanyahu e risponde in arabo ”wa-la shi” (proprio niente). Negli ultimi giorni, la Lista Unita ha iniziato una campagna in russo, etiope e in yiddish, intitolata “Yallah meshutefet” (che è poi il nome della lista “haReshima haMeshutefet). Nella città ortodossa di Bne Brak ha distribuito cartelloni recenti la scritta (in yiddish) “deyn shtime kegen gzirat giyus” [il tuo voto contro l’obbligo del sevizio militare], un punto sul quale i partiti arabi e quelli ebraico-ortodossi avevano già avuto modo di collaborare. Nel cartellone il nome della lista compare in arabo, ebraico e yiddish (faraynikte reshimah). In un’altra città israeliana cartellini in amharico invitano i potenziali elettori etiopi a votare per la lista. In russo il partito arabo comunica che insieme russi e arabi posso lottare per una vera eguaglianza (“la lista unita è la tua voce per l’eguaglianza e la giustizia sociale), con tanto di traduzione in russo del nome della lista (objedinjonnyi spisok). Mentre Netanyahu si rivolge agli interessi economici e sociali del pubblico arabo, la Lista Araba fa del razzismo il proprio cavallo di battaglia. Il razzismo sul quel insiste la Lista Unita è quello reale o percepito dalle minoranze dello Stato-nazione. Il razzismo che la Lista Unita vuole combattere è la marginalizzazione delle minoranze nello Stato ebraico, la cui esistenza sarebbe, secondo questa visione politica, la causa di ogni male. Non molto si parla del razzismo contro gli arabi di colore all’interno della società araba, dei sentimenti anti-cristiani, dell’ostilità misogina e omofoba. Iniziative contro queste forme di odio sono individuali, dei singoli membri, e non ancora posizioni di partito. La Lista Unita attrae anche l’elettorato post-sionista che si identificava con patiti come Meretz o Hadash, ora indeboliti, puntando a 16 seggi. Il Likud attrae parte della società araba che vuole integrazione, sviluppo sociale ed economico. Non è ancora un fenomeno così diffuso da poter esser definito “elettorato incrociato”, cioè il voto per un partito che non rispecchia l’identità di un gruppo elettorale, ma è un segnale della ridefinizione degli interessi di gruppo che superano la divisione “ebrei-arabi”, mai adatta a spiegare la complessità della società israeliana.

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Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.

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