Una giornata di terrore, missili da Gaza, ma non è intifada 09/02/2020
Una giornata di terrore, missili da Gaza, ma non è intifada Analisi di Giovanni Quer
A destra: terroristi di Hamas a Gaza
Dopo i tre attentati tra giovedì e venerdì, in risposta alla proposta di pace americana, è continuata la tensione in Giudea e Samaria e anche a Gaza. Il poliziotto palestinese ucciso in circostanze ancora da chiarire ha portato centinaia di persone per strada nel villaggio di Azzun, dov’è avvenuto il funerale, tra cui anche chi cantava “martiri a milioni”, lo slogan di liberazione della Palestina. Un altro ragazzo morto negli scontri con le forze israeliane durante la demolizione della casa di un terrorista a Jenin, e altri feriti negli scontri con le forze dell’ordine sono il risultato di tre giornate di terrorismo e tensione in Giudea e Samaria. Le reazioni popolari e le dichiarazioni di Abu Mazen contro la proposta americana puntano nella direzione di una terza intifada. Ma ci sono altri segnali in direzione opposta. Anzitutto Gerusalemme: il Monte del Tempio/Spianata delle Moschee non è stato teatro di scontri con l’esercito, il che fa pensare che la situazione sia ancora contenibile. Ciò che succede a Gerusalemme è il termometro delle relazioni arabo-israeliane. In secondo luogo, le relazioni di sicurezza tra l’Autorità Palestinese e Israele continuano, il che significa che Abu Mazen non ha ancora intenzione di “rompere” con gli israeliani, la vera minaccia che incombe sulla crisi attuale. Le relazioni tra gli apparati di sicurezza hanno il mutuo beneficio di limitare l’influenza e le operazioni di Hamas in Giudea e Samaria, che né Ramallah né Gerusalemme vogliono. Per ora i terroristi sono stati mossi da scelte individuali, non come parte di una politica di violenza pianificata. Se però dovesse continuare la tensione, l’effetto domino e di imitazione potrebbero esser peggiori che nelle ondate precedenti (come nel 2014 e nel 2015). Hamas invece continua a lanciare missili, da ormai quasi tre settimane, avendo iniziato prima della pubblicazione del piano pace. All’iniziativa americana su aggiunge la solita tattica di Hamas di aumentare la tensione per aver i finanziamenti dal Qatar e migliori condizioni in un futuro accordo di tregua. Il capo di Hamas sembra esser pragmatico e aver chiaro in mente che una prossima tregua può comportare migliori condizioni per la popolazione di Gaza. I potenziali terroristi imitatori e i finanziamenti a Gaza sono i due pericoli che Israele deve ora affrontare per evitare una rapida escalation. Nel lungo termine, è da vedere come Abu Mazen reagirà al crescente malcontento della popolazione e il crescente consenso a Hamas.
Giovanni Quer (1983), direttore del Centro Kantor per lo studio dell'Ebraismo Europeo Contemporaneo e dell'antisemitismo, Università di Tel Aviv.