La rabbia degli etiopi
Commento di Giovanni Quer

Gerusalemme, 30 aprile 2015: la protesta degli ebrei etiopi
Israele non è abituata a scontri violenti in piazza. Può sembrare strano, perché la guerra qui è di casa, come sono comuni le manifestazioni e le dimostrazioni. La polizia è sempre presente, ma solitamente non violenta, come non lo è la folla. A Tel Aviv la protesta degli etiopi ha contato scontri, gas lacrimogeni, vetrine spaccate. Quanto siano ingenti i danni ancora non si sa, e l'effetto della sproporzione mediatica può solo peggiorare.
Gli etiopi avevano già manifestato giovedì a Gerusalemme, bloccando le strade. La rabbia etiope è contro lo stato, la polizia e la società: dei 120.000-140.000 etiopi israeliani, solo alcune centinaia arrivano all'università e hanno impieghi di medio livello. La maggior parte sono poveri, vivono in quartieri disagiati o in paesi di periferia dove sono stati mandati dopo la loro aliya. Anche chi è venuto in Israele negli anni '80 si trova di fronte a ingiustizie sociali. Una pedagoga etiope di quarant'anni che vive in Israele da quand'è bambina si è unita alle manifestazioni perché è stanca che a lei vengano dati solo studenti etiopi "posso insegnare a tutti i bambini con difficoltà d'apprendimento non solo a quelli etiopi".
Ma la relazione più difficile è con la polizia, che spesso manifesta pregiudizi nei loro confronti. Non sono gli unici a esserne vittime. Nel 2000 la Commissione Or aveva condotto un'inchiesta sugli scontri tra manifestanti arabi e poliziotti, evidenziando una tendenza di più facile violenza dell polizia verso gli arabi. Anche i manifestanti haredim (gli ultra ortodossi) sono violenti: bruciano cassonetti della spazzatura, lanciano pietre e attaccano la polizia, ma con loro si usa un guanto di velluto e non di ferro. Di questo gli etiopi si lamentano.

Bambina ebrea israeliana di origine etiope
La loro rabbia prende spunto dai neri d'America e dalla pantere nere in Israele (il movimento dei mizrahim, degli ebrei orientali). Eppure ci sono altri gruppi che sono vittime di pregiudizi. Per esempio, gli etiopi condividono con i russi molte cose. Le donne russe sono delle poco di buono; i russi non sono tutti ebrei e non parlano ebraico. Lo stesso per esempio non lo si dice degli americani, che pur fanno difficoltà ad apprendere la lingua. Ma i russi sono venuti in Israele con lauree e professioni, mentre gli etiopi no. Gli etiopi hanno fatto un salto nel tempo, si sono dovuti inserire in una società moderna. Anche la loro relazione con l'ambiente urbano è diversa.
Non che le loro argomentazioni non siano giuste, anche Netanyahu è pronto ad ascoltarli, ma spesso la rabbia di un gruppo sociale viene manipolata. L'integrazione degli etiopi è sempre considerata un insuccesso. Ma non è così: nemmeno è passata una generazione e i giovani già si sono integrati, sono all'università, fanno carriera nell'esercito, alcuni sono in politica, nell'hi-tech.
Naguse, parlamentare del Likud e Shlomo Molla, di Kadima, Pnina Tamano Shata, avvocatessa e parlamentare per Yesh Atid. Hadas Malada, luogotenente e medichessa nell'esercito. la cantante Hagit Yaso che gira il mondo con Idan Raichel. Le bellissime Esti Mamo e Titi Ayenau, che ha fatto aliya solo dieci anni fa, è diventata modella ed è stata reginetta di bellezza. La scrittrice Dalia Bitaulin e lo scrittore e giornalista Tsega Melaku. E mille altri ancora. La rabbia degli etiopi grida una semplice frustrazione: in pochi anni sono riusciti a fare degli enormi progressi e a integrarsi, contribuendo come gli altri e forse di più alla società israeliana. Ora vogliono le stesse opportunità per tutti i membri della comunità.
Alcune organizzazioni prendono spunto dal lavoro del sindaco di New York Giuliani: pulire le strade, abbellire i quartieri, sistemare i giardini ha reso molte parti di New York non solo "abitabili" ma ha anche ridotto la delinquenza - la c.d. "beautification". Altri si occupano delle figure che nella società etiope hanno perso il loro ruolo: come i genitori e in particolare i padri, quando sono di solito le donne e i figli a essersi integrati meglio, come i liqa, i rabbini etiopi, che in Israele non sono stati riconosciuti poiché la loro appartenenza al popolo ebraico è dubbia da un punto di vista religioso. Ma altre associazioni preferiscono usare le frustrazioni per lottare contro l'ordine costituito.
Il dolore causato dallo stigma sociale è ancora più profondo per il colore della pelle, che si voglia o no conta. Ma, da israeliani, sono scesi in piazza, a urlare quello che non gli sta bene e a pretendere di essere ascoltati per poter cambiare le cose.

Giovanni Quer