B'Tselem e il ricercatore palestinese che nega la Shoah
Commento di Giovanni Quer

La ONG israeliana B'Tselem

Yad VaShem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme
Dopo che Tuvia Tenenbom ha dato alla stampa un video in cui un ricercatore arabo di B'Tselem negava che la Shoah fosse avvenuta, è iniziata una una lotta sul web: B'Tselem chiedeva ulteriori prove, dicendo che Tuvia era un mezzo impostore perché ha nascosto la sua vera identità; altri chiedevano a B'Tselem di fare pubbliche scuse e licenziare il "ricercatore".
Giorni fa è stato rilasciato un video più lungo, che conferma il negazionismo del ricercatore di B'Tselem. Lo stesso ricercatore aveva guidato un gruppo di giovani italiani nel viaggio in Israele e "Palestina" organizzato dalla ONG italiana "Casa per la Pace", con sede a Milano. In Israele avevano incontrato Itamar Shapira, che dentro lo Yad Vashem invitava i giovani italiani a guardare oltre la "narrativa ebraica" per capire le radici del conflitto - che ovviamente hanno origine nella natura sanguinaria degli ebrei.
In Facebook la portavoce di B'Tselem all'inizio negava l'evidenza. Ieri invece, solo in ebraico e solo su Facebook, B'Tselem ha pubblicato un messaggio in cui si scusa per le vedute ripugnanti e disgustose del proprio "ricercatore", che ovviamente non condivide. Le ONG israeliane si appoggiano a ricercatori locali per raccogliere informazioni e notizie dai territori, che poi vengono elaborate in report che finiscono sui tavoli dei diplomatici europei per poi definire le politiche, posizioni o azioni comuni di governi, ministeri e organizzazioni internazionali. Ma chi controlla i ricercatori locali? Chi verifica le loro credenziali?
Il fatto che "un ricercatore" sia stato trovato a negare la Shoah di fronte a quello che credeva essere un giornalista tedesco, dopo aver indottrinato un gruppo di ragazzi italiani è molto più grave di "un semplice ricercatore" per due motivi. Anzitutto non è un mistero che nel mondo arabo il negazionismo e l'antisemitismo europeo siano letture molto diffuse, quindi è presumibile che tutti i "ricercatori" delle ONG siano stati esposti alla propaganda anti-giudaica. In secondo luogo, è anche difficile trovare un locale nel mondo arabo che non abbia un'agenda politica di qualche sorta. Dunque è difficile pensare che sia veramente un fenomeno limitato e isolato. O forse può essere che lo sia, ma non sarebbe il caso allora di fare delle indagini?
Non è il caso di chiedere a "Casa per la Pace" - Milano, come sceglie le proprie "guide" in Israele e Palestina? Non è questione di maccartismo, come incominceranno di certo a urlare gli attivisti, ma di buon senso. E' questo che manca nelle ONG.

Giovanni Quer