Un singhiozzo di paura, un singhiozzo di felicità 19/07/2014
Un singhiozzo di paura, un singhiozzo di felicità. di Giovanni Quer
Al suono della sirena di allarme in Israele
Viaggi per strada attento a spostarti di corsia, perché le auto attraversano a destra e a sinistra, e poi arriva. Non capisci subito, intento nella guida, con la voce della radio, col caffè nel bicchiere di carta e l'auto davanti che viaggia lenta. Freni di colpo per non andare addosso a nessuno. Perché sono tutti fermi ai lati. Non può essere un'ambulanza che passa in una superstrada. E' la sirena. Telefono, caffè, scendi e ti accovacci. "Pronto? Allora ce l'hai fatta ad arrivare stamattina?", chiama un amico che ti aveva promesso un passaggio al lavoro cancellato all'ultimo e costringendoti ad arrivare in ritardo. "Senti, ti richiamo dopo, siamo fermi per strada con l'az'aka e voglio fare un video".
Attorno anche sono tutti accovacciati. Chi scrive messaggi; chi chiama; chi fa un video registrando la voce; chi si fa una mezza battuta. E sempre quello che non rispetta le abitudini e sta in piedi. "Stia giù, è pericoloso!" si preoccupa un signore. "Ma a lei cosa gliene frega?" - "Lo dico per lei", mentre incomincia a bisticciare con la moglie che lo invita a non curarsi della bella ragazza che con un tocco di arroganza guarda tutti seduti a terra. "Bambini, no preocupacevi, siamo sicuro", dice una signora che ancora non riesce a distinguere bene le vocal ai figli, - "mamma si dice al sicuro", risponde il bambino che ride del suo accento - "sì, honey, guarda guarda bimbi, lo prende" - "è la kipat barzel - cupola di ferro?", risponde il bambino guardando nel cielo la scia serpentina che rincorre un'altro solco bianco, e poi "buum!". Un tonfo. "Ecco ecco, l'ha intercettato". Riprendono le discussioni se ritornare in strada o aspettare. "E se cadono i resti?", "ma figurati", no, "bisogna aspettare 10 minuti", "no non serve", "beh io vado", "beh io resto". Ma cosa sarà?
La radio racconta dell'ennesimo missile, della tregua non rispettata, degli avvisi ai palestinesi di lasciare le loro case, degli attacchi per aria ecc. E le macchine riprendono il loro cammino, tra il caldo clemente verso il fine settimana sulla costa. Pieno di desideri, aspettative, opportunità.
Il shuq, il mercato, alla sera è un luogo indefinito. I mercanti già aspettano di chiudere, dopo una giornata lunga e prima delle pulizie che renderanno le strade impraticabili, una melma di verdura e frutta marcia e scatoloni rotti. La gente si ritrova ai baracchini a mangiare un panino con un succo e c'è chi fa gli ultimi acquisti della giornata. "Mi pesa le carote". E tra il chiasso sommesso della musica e delle voci che accolgono la fine della settimana, di nuovo la sirena che serpeggia tra i viozzoli del shuq. Schiena al muro, ad aspettare. E' lunga questa volta. Poi smette, ti riavvicini al banco, ma ne riprende un'altra. Tre tonfi, poi un quarto. "not go near", avvisano i locali a un gruppetto di polacchi impauriti e sorridenti che filmano il pezzo di cielo con i solchi dei missili. "Tieni la tua frutta, giovinotto, e sta' in salute".
Si deve decidere cosa fare, è giovedì sera. "Che hamud (gentile-tesoro-dolce-), io invece ci litigo sempre con quello lì al banco della verdura". Una cena affrettata; hanno aperto un nuovo bar-ristorante a Giaffa, in un edificio ottomano che era un cambiavalute. "Non sarà ancora uno di quei posti da fricchettoni pacifisti, perché io le nenie orientali non le voglio sentire"; una risata mezza cinica. "No, no mi hanno detto che è un posto bello, cucinano vegetariano e che la musica è proprio bella". Convinti tutti di uscire, si pensa già al mare domani. Viene anche Yoav, che abita in un paese vicino a Gaza e gli è arrivato l'avviso di evacuare. "Come fanno a stare lì io non lo capisco, sabbia, sabbia e missili. Comunque, viene per una settimana perché non gli andava di trovarsi Hamas sotto al letto".
Due passi per la strada, che è rilassata dopo un'altra settimana di lavoro-missili-lavoro-isteria. Ed eccola di nuovo. Di notte sembra venire dal mare, come un urlo roco che irride i tuoi sogni di stabilità. Corre veloce le stradine e ti caccia via a pedate. La az'aka di nuovo. Fermi sotto un balcone si fissa il cielo scuro. "Oh, dura ancora tanto? perché allora meglio andare qua vicino", e mentre si ridacchia "guarda, guarda, guarda, oh, sono tre" - bum, bum, bum e il cielo si espande di luce che presto si spegne! "I fuochi! Erano vicini sta volta", "hai fatto il video, spediscimelo, mandamelo" e come qualche adolescente, cellulari alla mano tic-tic-tac, messaggi e video.
Le vie di Giaffa sono belle: la stessa storia di Gerusalemme, la stessa leggerezza di Tel Aviv. Arriva a tutti il messaggio. Chi legge lo schermo e gira il telefono, chi lo mette via, chi prende subito in mano le notizie. "Hai sentito? Sono entrati?", "Ma come? Adesso?", "Ma in quanti?", "Oh caspita, di sicuro allora anche mio cugino", "Ma che strano a me non mi hanno ancora richiamato".Negli altri tavoli gli sguardi si fanno più cupi. Un'altra birra, un'altra risata, un menù, una sigaretta. "Caspita sono 18,000 riservisti", "Cosa? non può essere", "vogliono distruggere i tunnel", "merda, quanto durerà?". Circola una preghiera per i soldati. Chi la legge, chi ridacchia "ma secondo te se prego lui mi ascolta anche se non mangio kasher?", "anzi dovresti dirla tu che non sei ebreo, così magari ascolta veramente". La sera è fresca, l'aria è cupa e forzatamente spensierata.
E poi attaccati alla tv, fino a tarda ora. Sono entrati, "colpiremo con forza", dice il Capo di Stato Maggiore. "Bibi deve avere la testa che gli scoppia di telefonate". Gaza è illuminata, bombardano, mentre Hamas manda messaggi confusi agli israeliani, ai nemici sionisti. "Il nemico sionista deve temerci; Allah è grande; pagherete per ogni martire palestinese; Allah è grande; non sarete sicuri né per strada, né nelle vostre case; vi distruggeremo, Allah è grande". "Certo che sono proprio dei simpaticoni. Ma senti quello che dicono? Completamente senza senso, ma ti pare?"; "peccato che non bevano perché se son così da sobri da ubriachi devono essere ancora più comici".
Attaccati alla tv ad ascoltare le analisi e guardare le immagini, 18, 25, 19, 40, 38, 22 anni, ragazzi e ragazze, figli, amici, padri, mariti, findanzati, vicini di casa, colleghi, che potevano esser seduti a prendere una birra e invece sono entrati a Gaza. E poi il pensiero, se ne rapiscono ancora uno cosa succederà? E se diventa un altro Libano? E di nuovo il ragazzo magro e sudato che si aggiusta lo zaino prima di partire, un altro che segna qualcosa su un taccuino, altri che si coprono il viso di colore. E' di nuovo guerra, cominciata tempo fa, mai finita. I missili stipati nelle scuole gestite dall'ONU. I tunnel scavati per arrivare in Israele. I missili stipati negli ospedali. Benvenuti a Gaza. "Vinceremo, distruggeremo Israele e tutti gli ebrei", dice un bambino di Gaza mentre la folla urla "Allah è grande".
Gli ebrei ultra-ortodossi studieranno tutta la notte e pregheranno. Per quanto siano ostili all' Israele laica, "'am Israel be'metzuka", il popolo d'Israele è in pericolo, e reagiscono con la loro forza, cioè lo studio e la preghiera. C'è solo una speranza, che ritornino salvi, dicono tutti. Ancora un missile e poi un altro, e un altro ancora, nel sud. Il minareto di notte avvisa "al-salatu khayrun minan al-naum" (la preghiera è più sacra del riposo). Dei ragazzi arabi sono seduti a fumare il narghile' e anche loro parlano di Gaza e dei "jarin", dei vicini, gli israeliani. Le notizie continuano ad arrivare dalle voci concitate dei telecronisti. E' l'alba e poche ore fa ci si augurava "layla shaket", notte tranquilla.