Arriva sempre da vicino. E' un suono basso, alle volte stridulo, alle volte roco. Entra in casa e riempie tempo, spazio e pensieri. Pervade tutto. Sembra esca da sotto il tavolo, o forse cali dal soffitto, o meglio esca dalle pareti. Un solco secco nell'etere. Sembra l'urlo di mille spiriti, che ti prendono e ti accompagnano al primo rifugio. In molti ce l'hanno in casa, una stanza con le pareti spesse; altri ce l'hanno in cantina, tra le bici e gli scatoloni che negli anni l'hanno riempito. Altri ancora camminano svelti verso la casa dei vicini, perché dove abitano o lavorano ancora il miklat (rifugio) non l'hanno fatto.
Dov'è il caricatore del telefonino? La batteria è quasi finita e continuano i messaggi sulle sirene. Di sottofondo la radio, che trasmette musica tranquilla, di amore. "Una sirena a Ashqelon", dice la voce alla radio, e poi riprende Sam Cooke; poi c'è Arik Enstein, morto da poco, "Yonathan sa' habaita", Yonathan vai a casa. "Un missile è caduto vicino a Rishon, ma la sirena non è suonata a Tel Aviv", ancora la musica, per poco "sirena a Ashqelon, Sderot, Netivot, Yad Mordechai"; due parole di musica, "sirena a Holon, Rishon le-Tziyon, Tel Aviv", si sente un tonfo, "un missile intercettato". Come quando la radio non prende, si sente la musica a singhiozzi, e la sirena suona lontana.
"Ti va di venire a cena da me?", ti chiede un'amica. "E' normale che con tutto quello che sta succedendo pensi solo a cosa mangiare?". E la vita va avanti a singhiozzi. Poi un'altra telefonata, "Ciao, senti, domani non posso venire alla riunione, ho appena ricevuto il tzav 8", il richiamo all'esercito. "Anzi sai se qualcuno mi può portare a Bet Shemesh? Non ho idea di come arrivare, e non mi va di farmi rapire" dice mezzo scherzando un altro amico che la settimana prossima sarebbe dovuto andare in Georgia. "Eze bassa" - "che sfiga".
Il mattino i missili cadevano lontano, nel sud, dove sono abituati, dicono tutti. I giornali discorrevano dei campi estivi per i ragazzi di Sderot e Netivot, mentre l'esercito mandava ordini di richiamo.
Un rapido ragguaglio in ufficio: "se c'è una sirena il rifugio è frontestrada", e nessuno ci credeva che anche a Gerusalemme potesse succedere, eppure tra le belle case è suonata anche a Gerusalemme. Si lavora, si ride, si scherza, si pianificano i corsi per il prossimo anno accademico mentre il vento del tardo pomeriggio rinfresca l'università al Monte Scopus, quando nel mezzo di una discussione su come trovare borse di studio per studenti dall'Europa suona il telefono e la faccia della professoressa si fa cupa "Ad Ashdod? non so ancora niente. Sono in riunione, ti chiamo dopo", hanno richiamato anche la figlia, ufficiale della marina. "Hanno cambiato tutte le direzioni del traffico verso il sud, non sa come arrivare". Poi la discussione riprende e i corsi per l'anno prossimo sono definiti.
Un passaggio in macchina verso casa, Tel Aviv. Scendendo le montagne tra i perenni lavori per la strada, non ci si rende conto che assieme a altre mille macchine siamo diretti verso il mare, verso le sirene. Le mille macchine si fermano a fare benzina e a prendere un caffè. Non si riesce a non pensare alla ragazza dagli occhi dolci che ti serve il caffè ed è velata, o al ragazzo che ti ha fatto il pieno pur gentile - saranno in cuor loro felici dei missili o sperano che l'esercito faccia piazza pulita?
"Az'aka - sirena - a..." e una sfilza di paesi dove in pochi mettono piede, dei cui abitanti si scherza sempre perché un po' scuri, perché un po' marocchini, perché poco colti. "Sono dei postacci, che ci vuoi andare a fare lì? A mangiare le moffette (fritelle marocchine); non c'è nemmeno un bar, ci sono solo shawarme" ti dicono i telaviviani urbani e un po' snobboni. Si riprende la strada.
Nel pomeriggio con un missile a Tel Aviv la gente si è fermata e accovacciata tra l'asfalto e la carreggiata, dietro le fermate degli autobous, vicino ai cassonetti. Dai finestrini entra calda l'umidità del mare, "my heart is beating like a jungle drum - il mi cuore batte come un tamburo della giungla", una musica di festa, e si pensa al fine settimana - "Az'aka, sirena... si sconsiglia di avvicinarsi a Ashqelon, Ashdod ecc. ecc.". E il telefono impazza di notifiche. "I belong to you, you belong to me", un'altra canzone leggera e felice. "un missile colpisce uno spazio disabitato; lo spazio aereo è chiuso". Elvis rincuora con le dolci parole "I can't help falling in love with you", ma pronta interviene la voce del pericolo "az'aka-sirena a Kissufim". Sono arrivati fino a Benyamina, ben a nord di Tel Aviv.
"Ma ihiye? - Cosa sarà?". E' quel che e': due vite integrate e parallele. I missili e la cena, la sirena e il pensiero di domani al lavoro, i missili e la vacanza, la sirena e il finesettimana. I missili e la famiglia, la sirena e gli amici. "Guarda che se continua così vengo a dormire a casa tua, almeno hai il miklat" e intanto si pensa al viaggio dell'estate, due ragazzi attraversano la strada "ti va di andare in spiaggia?".
Tzuk eytan - scoglio solido, si chiama l'operazione di Tzahal. E la sirena suona ancora, stavolta per strada, e l'angoscia monta, qualcuno si nasconde, altri fissano il cielo: parte una luce che scivola in alto nell'oscurità, un urlo, e lo scontro: il missile è stato intercettato, un altro urlo, applausi, la sirena si quieta, si riprende a camminare, mille post su youtube, le notifiche al telefonino, una telefonata, un altro tonfo, lontano stavolta, in attesa di un'altra sirena. Ma c'è la partita da vedere, e il bar sotto casa ha il maxi schermo. "Somewhere over the rainbow" di Israel Kamakawiwo'le, si sente per la seconda volta, la melodia malinconica e gentile, piena della nostalgia di ciò che non si è ancora vissuto. Gli schiamazzi dei goal, e la voce della radio che dice siamo con voi, con gli abitanti del sud e di tutta Israele.

Giovanni Quer