‘Mamma, ritorneremo? Il mio normalissimo Israele' di Myriam Di Marco
Recensione di Deborah Fait
 La copertina (San Paolo ed.)
La copertina (San Paolo ed.)
Questo  racconto che parla del soggiorno in Israele dell'autrice bisognerebbe  farlo leggere a tutti coloro che accusano questo paese di apartheid.   Myriam Di Marco ha scelto di testimoniare  il suo periodo di vita in  Israele come ricercatrice all'università di Haifa presso la School of  Political Sciences. Myriam racconta il suo anno vissuto nel Paese, in  compagnia della sua bambina Bianca, descrive in modo magistrale il  carattere degli israeliani che un popolo composto da ebrei, arabi,  drusi, cristiani e musulmani, un popolo "immenso", così lei lo  definisce, che vive ogni giorno con intensità, come fosse l'ultimo. Il  suo è un formidabile racconto su Israele che descrive come una famiglia  dove spesso si litiga ma alla fine ci si riunisce e si va avanti nella  vita, in una coesistenza piena di  problemi da sopportare ogni giorno  che qui sono il pericolo della guerra e del terrorismo ma anche con la  gioia di vivere in un paese meraviglioso trasformato da deserto pietroso  in giardino. Vivendo nel quartiere arabo cristiano di Haifa, città  multiculturale per antonomasia, Myriam ha avuto il privilegio di  conoscere a fondo quella realtà, naturalmente anche quella degli arabi  israeliani di fede musulmana, i primi più aperti, i secondi più chiusi  in una società patriarcale, ognuno con le proprie peculiarità.  Nell'ambiente universitario frequenta colleghi ebrei, arabi, drusi. In  nessun paese al mondo si potrebbe vivere un'esperienza così interessante  di un'umanità assolutamente eterogenea che convive in una realtà  pittoresca quanto difficile. Ogni gruppo etnico vive in una sua zona  della città ma durante il giorno sono tutti insieme, meravigliosamente  mescolati, all'università, nei luoghi di lavoro, negli ospedali, alle  feste. Ripeto, chi parla, improvvidamente, di apartheid legga questo  libro e venga in Israele e capirà quanto l'accusa sia infondata e  ridicola. Naturalmente lo consiglio a tutti coloro cui può interessare  un quadro realistico e commovente di un popolo tanto maltrattato da  media e dalla pubblica opinione eppure tanto meraviglioso. Nel momento  del suo ritorno a casa nel Ticinese, gli amici le dissero "Vai e  testimonia che il popolo israeliano esiste" "Vai e racconta che qui si  vive".  Le ultime parole del libro mi hanno stretto il cuore per  l'emozione "Tutti si uniranno per difendere il proprio Stato. Tutti si  uniranno per la loro grande famiglia. La grande famiglia che è il popolo  israeliano." 

Deborah Fait
"Gerusalemme, capitale unica e indivisibile dello Stato di Israele"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Riporto qui parte dell'interessante intervista a Myriam Di Marco al Corriere del Ticino: 
Una mamma e una bimba ticinesi e il loro «normalissimo» Israele 
di Carlo Silini 
Sembra  quasi impossibile parlare di Israele in termini che non siano quelli  dell’analisi politica e/o bellica. La crisi coi palestinesi si è  riaccesa violentemente nelle scorse settimane e la stabilità di governo è  una scommessa tutta da giocare. Eppure, per la ticinese Myriam di Marco  Israele è qualcosa di intimo e vicino, come attesta il suo libro Mamma  ritorneremo? Il mio normalissimo Israele, edizioni San Paolo. L’abbiamo intervistata. «Ho studiato filosofia alla Facoltà di teologia di Lugano, ci spiega  Myriam Lucia Di Marco. Come lingua classica ho scelto ebraico biblico.  Da lì è partita la passione verso il popolo ebraico. Delineandomi nel  corso degli studi sulla filosofia politica contemporanea è stato quasi  scontato analizzare e studiare il sistema politico israeliano e, accanto  a questo, i sistemi iraniano, saudita e turco. Argomenti che ho  trattato nel dottorato a Roma». 
In Israele  Myriam Di Marco ci è arrivata per il post-dottorato. «Non potevo  continuare a studiare quel Paese senza andarci. Ho mandato delle  candidature e sono stata presa dall’università statale di Haifa. Ne ero  felice perché lì ci sono le montagne e il mare. Essendo cresciuta a  Lugano mi sono un po’ ritrovata. Col consenso di mio marito, mi sono  spostata lì con la bambina, Bianca, che allora aveva tre anni, e ci ho  vissuto tra il 2016 e il 2017». 
Letteratura  di viaggio E il suo libro? «È un reportage, letteratura di viaggio. Una raccolta di  episodi realmente accaduti che mi hanno consentito di raccontare  Israele e i suoi abitanti. Cerco di mostrare e comprendere ad esempio la  reazione degli israeliani (drusi, ebrei, cristiani) a quello che  sopportano ogni giorno, la costante minaccia di guerra, con dolci sempre  a portata di mano e grandi parchi giochi per i bimbi. Oppure la grande  preoccupazione di madri e padri per i figli mandati in guerra. Dalla mia  camera da letto vedevo le coste del Libano, e i caccia che si  dirigevano verso la Siria. Quelli vanno a bombardare, pensavo, non a  fare esercitazioni tra le montagne come in Svizzera». 
Il  libro, quindi, è una lettura di Israele con gli occhi di una ticinese.  «Esatto, una lettura sotto diversi punti di vista. Dal punto di vista  sociale, ad esempio, mi ha colpito il grande aiuto che ho avuto da  subito e la grande attenzione verso i bambini. Non potevo sgridare  Bianca per strada, per esempio. Perché si fermavano e a loro volta  sgridavano me». 
Sembra una conferma  all’idea delle ebree come mamme-chiocce… «Assolutamente. Ma sono così  non solo le donne. Tutti proteggono i bambini, li fanno crescere direi  in una sorta di mondo dei balocchi. Ancora adesso, a quattro anni di  distanza, mia figlia mi chiede quando riandremo in quei grandi e  meravigliosi parco giochi. È molto frequente che regalino caramelle ai  bambini in pullman o nei negozi. Non potevo avvicinarmi al bus col  passeggino che qualcuno subito mi aiutava. Tutti: i sefarditi, gli  askenaziti, gli europei, gli ebrei cristiani, gli arabi, i drusi…» 
E  le donne? Cosa prevale in Israele: l’emancipazione o la relegazione in  casa? «Il mondo ebraico (e parlo solo del mondo ebraico) – spiega la  nostra interlocutrice - è molto variegato. Ci sono le donne ortodosse,  quelle conservative, le donne riformate, le donne laiche e secolari come  noi. Le donne ortodosse le riconosci perché vestono di nero e portano  la parrucca. Quelle conservative e riformate sono come noi, ma hanno una  particolare attenzione rispetto alle regole alimentari, per esempio. E  ci sono quelle occidentalizzate in tutto e per tutto pur restando ebree.  In città come Tel Aviv, ci sono le più occidentalizzate. Le cristiane e  musulmane invece si differenziano rispettivamente per i loro caratteri  occidentalizzanti o arabi». 
La libertà  delle donne Come donna, Myriam Di Marco, si sente abbastanza libera in Israele.  «Anche se dipende dalle zone. Ci sono le grandi città, come Haifa, che  sono multiculturali e ci trovi il banchiere ebreo che porta i suoi  fidati clienti al miglior caffè arabo della zona. Idem Tel Aviv. Mentre a  Gerusalemme si respira maggiormente la tensione religiosa ed etnica. Ci  sono alcuni quartieri nei quali una donna è meglio ci vada accompagnata  da un uomo, oppure all’interno di un gruppo di turisti. In Israele vi è  di tutto, è importante dunque tenere in considerazione diverse  sensibilità religiose e le rispettive regole: ci sono quartieri ebraici  ultraortodossi che è meglio evitare, per non prendersi qualche insulto;  oppure quartieri totalmente musulmani che non sono sicuri per una donna  giovane da sola». 
Per esempio,  immaginiamo, non è il caso di ignorare che esistano molte e diverse  comunità. E la cronaca delle scorse settimane dimostra quanto sia  difficile per loro la convivenza. «Israele è un insieme di tutto, e  nessuno vuole rinunciare alla propria casa e terra. La convivenza è  d’obbligo a questo punto. Ma preferisco parlare di coesistenza a questo  livello, non di convivenza. La convivenza presuppone il «vivere»  insieme, la coesistenza invece l’ «esistere» insieme…. Le cose cambiano 
Mentre l’ascoltiamo non  riusciamo a trattenere un’espressione incredula. «Ma è così. Sempre più  arabi, negli ultimi anni, si stanno per esempio arruolando nell’esercito  israeliano. Stanno cambiano mentalità, la maggior parte di loro non ha  più un atteggiamento di rivalsa nazionalistica derivante dalle  generazioni precedenti. I giovani capiscono che così non si arriva da  nessuna parte. Sempre di più nei giovani arabi si comincia a capire che è  meglio difendere la propria casa, la propria famiglia ed ecco perché  vanno nell’esercito. Idem per i drusi, minoranza musulmana, riconoscenti  nei confronti di Israele che in cambio di lealtà allo Stato promette  protezione. Protezione che non avrebbero negli stati arabi limitrofi, ma  anzi solo persecuzione. Siamo insomma a forme di sopravvivenza, di  coesistenza. Alla convivenza ci si arriverà con le nuove generazioni. I  giovani sono stufi». 
Per decenni ci siamo  abituati, qui in Europa a sentir parlare di Israele in termini di una  perenne intifada da una parte e di una perenne repressione dall’altra.  Un’immagine rafforzata dagli scontri delle scorse settimane…