L’Iran intende modificare la propria politica mediorientale? 
Analisi di Antonio Donno

Fuad Hussein 
Fuad  Hussein, viceprimoministro e ministro degli Esteri di Baghdad, ha  mediato l’incontro riservato tra l’Iran e l’Arabia Saudita e ne ha  riferito nei suoi incontri in Italia. I contenuti di questi incontri non  sono noti, come anche quelli tra Teheran e Riad. Né, tantomeno, se  dietro i contatti tra l’Iran e i sauditi vi sia anche la mano di  Washington. Possono essere avanzate alcune ipotesi. 
      È probabile che gli Accordi di Abramo, ai quali l’Arabia Saudita  non ha ancora ufficialmente aderito, ma che ha approvato nei suoi  contenuti, abbiano agito da propulsore per un riavvicinamento tra l’Iran  e gli Stati Uniti. Benché sia certo che i contatti tra i due paesi  siano ricominciati a basso, ma comunque significativo livello, il ruolo  di Riad è giudicato da Washington assai utile per costruire un  itinerario negoziale indiretto, ma significativo per produrre l’avvio di  un processo di stabilizzazione nella regione mediorientale. È noto che  l’ideologia sciita iraniana si impernia sull’eliminazione del suo  principale nemico storico e culturale sunnita, l’Arabia Saudita. Ora gli  incontri tra le due parti potrebbero avere un valore assai rilevante.  Per quanto Teheran giudichi gli attuali rapporti con gli Stati Uniti  favorevoli alla propria causa, dopo l’uscita di scena di Trump, non si  può negare che la situazione economica interna sia gravissima. Lo  sviluppo del nucleare non può, a lungo termine, rappresentare un punto  di forza negoziale con gli Stati Uniti senza che il regime metta mano ad  una ripresa sostanziale del livello di vita della popolazione. La  prospettiva di porsi come una potenza nucleare nell’arena internazionale  non può escludere, in fin dei conti, un contemporaneo rafforzamento  della struttura economica interna, al di là della produzione di  petrolio, insufficiente, di per sé, a garantire un decoroso livello di  vita per il popolo iraniano. 
Joe Biden 
 
Per  questo motivo, gli incontri tra i rappresentanti diplomatici di Arabia  Saudita e Iran, con la mediazione dell’Iraq, è indicativo del fatto che  Teheran ha intenzione di aprire le proprie porte negoziali non solo con  il disastrato Iraq, metà sciita metà sunnita, che in sé non è in grado  di rappresentare un valido compartecipe economico, ma con un’area  regionale ben più vasta. Questo vorrà dire che l’Iran sciita intende  raggiungere una posizione di potenza regionale, e in prospettiva  internazionale, rinunciando silenziosamente al suo storico progetto di  conquistare e distruggere il mondo sunnita mediorientale? E che questo  silenzioso itinerario ideologico è stato il risultato degli incontri con  la diplomazia americana, elaborato poi all’interno dei vertici  religiosi del regime? Oppure, che l’ideologia anti-sunnita è proiettata  opportunisticamente sullo sfondo, facendo prevalere un progetto di  rafforzamento dell’economia del paese mediante accordi economici di  grande pragmatismo, anche con il mondo sunnita? 
Insomma,  la durissima lezione impartita dalle sanzioni di Trump potrebbe aver  indotto il regime di Teheran a modificare il suo approccio ideologico  all’attuale situazione politica mediorientale, proprio per le finalità  egemoniche coltivate dall’Iran sciita, da raggiungere non con la  violenza, ma attraverso gli accordi economici. Saranno le elezioni di  giugno a determinare il nuovo corso della politica di Teheran. Se  vinceranno gli oltranzisti, questo eventuale progetto si dissolverà, a  meno che anche gli oltranzisti non abbiano capito l’antifona e abbiano  compreso che un Iran potente non potrà fare leva solo sulla forza  nucleare, ma anche sul miglioramento sostanziale delle condizioni  economiche degli iraniani. 
Gli Stati Uniti  di Biden hanno un ruolo cruciale in questo nuovo indirizzo della  politica di Teheran, sia che a giugno vincano i “moderati”, sia che  prevalgano gli oltranzisti. Se il governo democratico non sarà in grado  di sollecitare il regime iraniano a intraprendere questa nuova via, la  situazione della regione è destinata ad aggravarsi, con le prevedibili  conseguenze per tutti gli attori regionali.

Antonio Donno