A tre giorni dalla strage norvegese, tutti i giornali dedicano pagine sul killer, le motivazioni, la vita, l'ideologia. Tralasciamo le cronache, riportate ampiamente anche in tutti i TG, per riprendere quei commenti che ci paiono più interessanti, usciti oggi, 25/07/2011, sul GIORNALE, con Vittorio Feltri, sull'UNITA', con Walter Veltroni, Armando Torno e Davide Frattini sul CORRIERE della SERA, e una breve ma gustosa polemica con Pigi Battista sul GIORNALE, il suo pezzo era già stato commentato ieri da IC.
I nostri commenti prima degli articoli:
Il Giornale-Vittorio Feltri: " Quei giovani incapaci di reagire "
Il commento di Feltri richiama il nostro di ieri:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=40707
nel quale, partendo dalla stessa domanda, abbiamo cercato di capirne la varie ragioni.

Vittorio Feltri
Tutto quello che sappiamo della mattanza sull’isola di Utoya, in Norvegia, compiuta da Anders Behring Breivik, 32 anni, il cervello fulminato dall’esaltazione ultranazionalista, lo abbiamo letto increduli sui giornali. Abbiamo compulsato decine di articoli nella speranza di capire non tanto il movente, impossibile da cogliere per chi non abbia nozioni approfondite di psichiatria, quanto il fatto che il pazzo sia riuscito a uccidere una novantina di ragazzi in mezz’ora senza incontrare la benché minima resistenza. Sidirà che c’è poco da resistere in certe situazioni: se un uomo è armato fino ai denti, e le sue vittime, invece, non dispongono nemmeno di una fionda, la carneficina è scontata. Giusto. Ma in questo caso, stando alle notizie in nostro possesso, sull’isola (un chilometro quadrato, quindi piccola) si trovavano circa 500 partecipanti a un meeting annuale di laburisti. Un numero considerevole. Quando Breivik ha dato fuori da matto e ha cominciato a sparare, immagino che lo stupore e il terrore si siano impadroniti del gruppo intero. E si sa che lo sconcerto (accresciuto in questa circostanza dal particolare che il folle era vestito da poliziotto) e la paura possono azzerare la lucidità necessaria per organizzare qualsiasi difesa che non sia la fuga precipitosa e disordinata, contro un pericolo di morte.
Ciononostante, poiché la strage si è consumata in 30 minuti, c’è da chiedersi comunque perché il pluriomicida non sia stato minimamente contrastato dal gruppo destinato allo sterminio. Ragioniamo. Cinque, sei, sette, dieci, quindici persone, e tutte disarmate, non sono in grado di annientare un nemico, per quanto agisca da solo, se questo impugna armi da fuoco. Ma 50 - e sull’isola ce n’erano dieci volte tante-se si lanciano insieme su di lui, alcune di sicuro vengono abbattute, ma solo alcune, e quelle che, viceversa, rimangono illese (mettiamo 30 o 40) hanno la possibilità di farlo a pezzi con le nude mani.
Ci rendiamo conto. Cose così sono facili da scrivere, standosene qui seduti alla scrivania, e molto più difficili da praticare sul campo mentre echeggiano gli spari e decine di corpi cadono a terra senza vita. Ma è incredibile come, in determinate circostanze, ciascuno pensi soltanto a salvare se stesso, illudendosi di spuntarla, anziché adottare la teoria più vecchia (ed efficace)del mondo:l’unione fa la forza.
Varie specie di animali quando attaccano lo fanno in massa e nello stesso modo si comportano quando si difendono. Attenzione però: gli animali istintivamente antepongono l’interesse del branco a quello del singolo. Uno per tutti, tutti per uno. Evidentemente l’uomo non ha, o forse ha perso nei secoli, l’abitudine e l’attitudine a combattere in favore della comunità della quale pure fa parte. In lui prevalgono l’egoismo e l’egotismo. Non è più capace di identificarsi con gli altri e di sacrificarsi per loro, probabilmente convinto che loro non si sacrificherebbero per lui.
L'Unità- Walter Veltroni: " La forza dei ragazzi "
Il commento di veltroni si distingue per il conformismo, il quaquaraquà tipico del politico incapace di andare a fondo di un problema, essendogli sufficienti i richiami all'amore universale, per finire con un peana al multiculturalismo, indicandolo come la soluzione invece della causa. Insomma, il puro stile Veltroni, che lui spalma come un unguento guaritore sui problemi del mondo.

é un islamista, e allora?
chi siamo noi per giudicare ?
è da arroganti pensare che la nostra cultura sia superiore, vero ?
è da bigotti criticare la sua religione, giusto ?
non fissarlo, potresti offenderlo !

Walter Veltroni
Quelle immagini non ci lasceranno mai. Quello che è avvenuto nelle strade di Oslo, sulle rive dell’isola Utoya ci interroga Pretende da noi una risposta: l’odio ha preso le forme più brutali, quelle della strage, della caccia contro ragazzi indifesi. Credo che sia nostro dovere dare una risposta immediata, forte e capace di interpretare l’animo degli europei davanti a questa tragedia. Per questo rivolgo un appello ai giovani democratici perché siano promotori di una grande iniziativa di tutti i ragazzi europei proprio sull’isola dove è stata seminata morte. Certo, ora qualcuno parlerà di follia, di crimine isolato. In realtà, in questa terribile tragedia c’è il compendio di tutti i mali di questa epoca: nazionalismo estremista, xenofobia, fondamentalismo. Breivik è mosso da quel sangue cattivo che emerge qua e la in tutta Europa. Non sopporta gli altri, odia i giovani laburisti perché agiscono con generosità e si dedicano ad una umanità che lui avverte diversa. La parola che aborre è multiculturalismo. Una parola che è, invece, la stella polare di chi vuole un continente aperto al dialogo, capace di far interagire le diverse culture. Per questo i giovani democratici italiani possono essere il motore di una iniziativa che riguardi il mondo dei progressisti europei. Per una risposta di solidarietà ai tanti ragazzi uccisi e per chiudere la porta ai sentimenti peggiori alimentati da una destra incivile che in tutta Europa accende i fuochi della paura e dell’odio per le sue piccole politiche di potere.
Corriere della Sera-Armando Torno: " Kafka, Orwell, James, le citazioni (abusive) dell'assassino "


Franz Kafka Geirge Orwell
Tra le definizioni che Anders Breivik si è dato c’è quella di «cristiano culturale» . Non è facile decifrare la locuzione, ma se si mettono a confronto film, letture e autori graditi, da lui rivelati su Facebook, ci si accorge che egli ha esasperato sino all’assurdo una tendenza, unendo situazioni distanti e chiamando a testimoniare figure opposte. Così come in Quentin Tarantino si assiste a una scena in cui si cita il profeta Ezechiele prima di uccidere, allo stesso modo si potrebbe considerare la violenza scatenata nel film Il gladiatore una apologia della guerra, anziché la disperata difesa dei confini dell’impero al tempo di Marco Aurelio. Non è corretto attribuire al mondo dei Social Network delle colpe specifiche, ma non va dimenticato che grazie ad essi la comunicazione umana osserva regole diverse da quelle a cui l’aveva abituata la tradizione. Breivik più che riferirsi a Kafka o Orwell, a Machiavelli o William James, li amalgama utilizzando i loro nomi per avallare idee nate altrove. D’altra parte, se si leggono i giudizi su Facebook dedicati a una domanda come «Riconosciamo la violenza?» , ci si rende conto che lo scambio di opinioni, pur condannandola, ne liberalizza le interpretazioni. Una considerazione che riportiamo: «La violenza della violenza è sempre violenza» . Non fa dunque meraviglia che Breivik mescoli i Templari con Churchill, la massoneria all’odio per l’Islam, giacché le sue scelte di violenza sono pre-logiche e non frutto di studi. Per esempio, su Machiavelli— c’è una pagina sociale sul segretario fiorentino in Facebook — si registrano emozioni oltre che giudizi, confidenze più che analisi: egli diventa uno strumento per comunicare, non l’oggetto della comunicazione. E così va detto di Nietzsche e di quella sua frase, tolta da L’anticristo: «I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro amore per gli uomini» . Non l’ha scritta per siti deliranti ma per contrastare la morale cristiana e San Paolo in particolare. Certo, è inaccettabile, pur con tutte le chiose. Per fortuna Breivik non la conosceva.
Corriere della Sera-Davide Frattini: " Uno choc peggiore dello tsunami "

Sigmund Freud, visto da Ben Shahn
DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME — Se lo tsunami avesse sommerso l’isola di Utoya, il senso di lutto patito dai sopravvissuti — dai genitori, dagli amici, da un’intera nazione — sarebbe stato diverso. Spiega lo psicanalista Carlo Strenger: «La morte con il tempo viene accettata, quasi tutti capiamo che è parte dell’esistenza, anche una tragedia causata da una catastrofe naturale fuori dal nostro controllo. Ma l’attentatore norvegese non ha solo distrutto le vite di quei giovani, ha falcidiato una visione del mondo. Affrontare la perdita è ancora più difficile, perché la gente sente minacciati i valori in cui crede» . Strenger, docente all’università di Tel Aviv, analizza la psiche israeliana per il quotidiano Haaretz, ne fa emergere i traumi rimossi e i tic politici. «La seconda Intifada palestinese è stata un attacco dall’esterno che ha spazzato via la visione del mondo della sinistra, di chi credeva in una soluzione pacifica. La destra ha ripetuto "visto, degli arabi non ci si può fidare"e si è ancora di più richiusa nelle sue convinzioni. I liberali si sono detti "ci siamo sbagliati"e sono spariti. Tutt’e due i movimenti sono affetti da disordine post-traumatico» . In Norvegia l’aggressione si è scatenata dall’interno. «Il Paese, si capisce dalle parole del premier Jens Stoltenberg, vuole rispondere rafforzando il sistema di valori liberali: più democrazia e società aperta. Sono proprio gli ideali che il killer avrebbe voluto distruggere. È anche una terapia del lutto per i genitori che hanno perduto un ragazzo sull’isola: come reagisco? Come provo a dare un significato? Come posso evitare che mio figlio sia morto per niente? Investirò parte della mia vita a educare, a fare in modo che la Norvegia resti come l’assassino non la voleva» . Simon Shimshon Rubin dirige il centro dell’università di Haifa che studia come donne e uomini attraversano la perdita. «L’aggressione da dentro— dice— è più scioccante. Non c’è un gruppo da odiare, come sarebbe successo se fosse stato opera degli estremisti islamici, non emerge un nemico esterno su cui indirizzare la rabbia. È paragonabile a quello che è successo in Israele con l’omicidio di Yitzhak Rabin. La comunità ha una reazione quasi autoimmune e i politici devono diffondere un messaggio di solidarietà. In un Paese nordico, sarà anche necessario aiutare le persone a tirar fuori le ferite, a esprimere il dolore» . L’attentatore ha scelto di colpire i simboli del governo— gli uffici del premier— e i giovani. «È un attacco alla speranza e alla parte più vulnerabile del Paese. Ogni norvegese, anche se non è stato coinvolto direttamente, lo percepisce come un assalto personale. E il processo di superamento del lutto non potrà che essere collettivo» . Migliaia di opinionisti in tempo reale hanno esaltato la frase del primo ministro Stoltenberg («La nostra rappresaglia sarà ancora più democrazia» ) e ricordato la minaccia di George W. Bush dopo l’ 11 settembre: «Daremo la caccia e puniremo i responsabili» . «Non è paragonabile— riprende Strenger— perché gli Stati Uniti sono stati attaccati dall’esterno. Con le Torri Gemelle di New York è crollata la convinzione che aveva sempre sostenuto gli americani: essere invulnerabili. La reazione— secondo me a tratti irrazionale — non è stata solo per difendere i valori della democrazia, come proclamava Bush. L’obiettivo era dimostrare di essere invincibili»
Il Giornale- " I riflessi condizionati del Corriere della Sera "

Pierluigi Battista
Pierluigi Battista ha ragione. Sulla tragedia accaduta in Norvegia è sbagliato cedere a smanie frettolose e abbandonarsi alla ricerca di un Nemico che possa fornire spiegazioni immediate e rassicuranti. Certo, si può ipotizzare che la molla di quanto accaduto a Oslo sia il delirio paranoico di un singolo.E in ogni caso difronte all’emozione bisogna sempre evitare di perdere la testa, cercare di ragionare, cogliere le differenze e le sfumature.Non c’è dubbio: Battista ha ragione.
Per questo farebbe bene a spiegarlo al «Corriere delle Sera». Che di fianco al suo articolo, sotto il titolo «Schegge della galassia neonazi » piazza le foto di un paio di leader europei come l’olandese Geert Wilders o la danese Pia Kjaersgaard. Nel testo le differenze tra questi ultimi e la vera galassia neonazi vengono correttamente citate. Ma nella pagina l’impressione è un’altra: quello di un mondo di destra omogeneo e indifferenziato, in cui chi pone democraticamente in discussione temi delicati e controversi come il multiculturalismo viene confuso con i nostalgici di Hitler.
Un bell’esempio della bolla di riflessi condizionati in cu itutti noi ci muoviamo.
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