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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
26.11.2010 Turchia democratica, un pallido ricordo
L'analisi corretta del Foglio, il commento ambiguo di Dacia Maraini

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Dacia Maraini - La redazione del Foglio
Titolo: «Scrittori a Istanbul, lezioni di resistenza contro tutte le armi - Il Nobel Naipaul bandito in Turchia»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/11/2010, a pag. 23, l'articolo di Dacia Maraini dal titolo " Scrittori a Istanbul, lezioni di resistenza contro tutte le armi ", preceduto dal nostro commento. Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Il Nobel Naipaul bandito in Turchia ".
Nell'immagine a destra Mustafa Kemal Atatürk. La sua Turchia laica, ormai, non esiste più
 

CORRIERE della SERA- Dacia Maraini : " Scrittori a Istanbul, lezioni di resistenza contro tutte le armi "


Dacia Maraini

L'articolo di Maraini colpisce per la sua ambiguità. La Turchia viene descritta come un luogo aperto alla cultura, non si fa cenno alla svolta islamista intrapresa da Erdogan, nè a quanto è appena successo allo scrittore Naipaul, contestato e costretto a non mettere piede sul suolo turco perchè si è dimostrato critico con l'islam. Il fatto stesso che in Turchia sia un reato contestare l'islam e che diversi scrittori abbiano subito dei processi per aver scritto alcune frasi considerate insultanti nei loro libri, annulla la descrizione rosea di Dacia Maraini.
In Turchia non esistono libertà d'espressione e d'opinione. La cultura non è libera di circolare a meno che non sia approvata dalla censura del governo.
Da laica e moderna la Turchia è diventata uno Stato islamico a tutti gli effetti e, in quanto tale, l'idea stessa di definirlo 'democratico' è impossibile.
Consigliamo a Dacia Maraini di leggere l'articolo del Foglio pubblicato in questa pagina della rassegna e quello di Giovanni Sartori ripreso qualche giorno fa da IC (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999930&sez=120&id=37394), le saranno d'aiuto per comprendere la situazione.
Ecco l'articolo di Dacia Maraini:

La letteratura insegna a rispettare i diritti

Si può parlare di letteratura in tempo di bombe? Mentre un ragazzino imbottito di tritolo salta per aria a cinquecento metri dal tuo albergo, mentre le ambulanze corrono urlando, e vedi le macchie di sangue sull’asfalto? Mentre si contesta la presenza del premio Nobel V.S.Naipaul a una conferenza del Parlamento Europeo degli Scrittori per le sue posizioni anti islamiche? A Istanbul, la risposta viene dagli stessi scrittori e dal pubblico che, nonostante la città sia in allarme, accorrono ad ascoltare le parole dei romanzieri e dei poeti. Il caso Naipaul, politicizzato dai giornali turchi, riaccende una discussione in corso da mesi. Non si può fare a meno di raccontare", dice Buket Uzuner una donna piccola e vulcanica che in Turchia ha avuto un grande successo con libri di mirabile forza emotiva come «Mediterrenean waltz» e «Istanbullu». Piu volte ripete che si sente soprattutto «istanbuliana», il che vuol dire qualcosa di unico al mondo, come di qualcuno che possiede ataviche capacità di mescolare memorie culturali di origine diversa, che è padrone di un grande passato, alle volte ingombrante e ha davanti un futuro tutto da inventare. «II racconto è la sola cosa che ci distingua dagli animali. Senza racconti la vita sarebbe insopportabile. E' meglio scoprire un personaggio che scoprire una stella», cita gioiosamente, sporgendosi verso una platea attentissima e devota.

All’Istituto Italiano di cultura si tengono incontri organizzati della direttrice Gabriella Fortunato, da Stefano Giovanardi e Maria Perosino. Si svolgono nell'ampio teatro dell'Istituto di cultura di Istanbul. I temi cambiano di giorno in giorno, si parla di famiglia, di rapporti fra politica e letteratura, di scrittura di genere, di viaggi, e portano titoli suggestivi come «Lontano da dove?» oppure «Scienza e coscienza della letteratura», e anche «La responsabilità della scrittura». L'iniziativa è stata chiamata «Dialoghi con l'Italia». Ma i soldi, uno si chiede dove li trovano in un momento in cui la cultura viene tagliata selvaggiamente? Le spese in questo caso vengono pagate quasi totalmente dai tanti turchi (sono 4.000 quest'anno) che studiano l'italiano nelle scuole dell'Istituto e nelle università. Se non fosse per le scuole, i nostri Istituti potrebbero chiudere. Eppure la cultura è la nostra più vistosa e suggestiva carta da visita. E' su quella che dovremmo concentrarci e investire.

«Quello che sta succedendo a Istanbul — dice Zülfü Livaneli che oltre a scrivere romanzi (il più conosciuto si chiama «Felicità» ed è stato pubblicato da Gremese) compone musica, canta e fa il regista di cinema — è che la campagna si urbanizza e la città si prende carico dei problemi contadini». Per campagna capisco che intende l'attaccamento alle tradizioni, un senso più patriarcale e profondo della famiglia. Per città invece allude all'uomo moderno, inquieto, senza tante protezioni familiari, l'uomo che conosce la solitudine, gli amori incerti, le paure di perdersi, gli incontri inaspettati, la voglia di viaggiare e di essere altro da sé. «Ora queste distinzioni stanno scomparendo. Le nuove generazioni si trovano in una situazione paradossale, in bilico fra una corda e l'altra, come un acrobata che ha lasciato l'aggancio e, sospeso per aria, deve agguantarne un altro, ma non è sicuro di riuscirci. Potrebbe cadere e rompersi l'osso del collo, oppure potrebbe lanciarsi in un meraviglioso volo». Si guarda intorno perplesso. «Voi spesso ci vedete chiusi dentro stereotipi banali. Ma cos'è oggi un turco? Noi ci sentiamo occidentali, anche se una parte del cuore è impegnata verso oriente. Non possiamo evitare il conflitto fra modernità e tradizione. Siamo lacerati. Mi chiedo se la storia stia diventando un peso. Nel 1923 siamo rinati come se fossimo venuti dallo spazio. In un solo giorno abbiamo cambiato alfabeto, abbiamo dato il voto alle donne, ma il passato ha continuato a pesare».

«Cinquecento anni fa gli ebrei sono stati cacciati dalla Spagna e si sono sparsi per il mondo — racconta a sua volta Mario Levi che, nonostante il nome, non è uno scrittore italiano —. Alcuni sono venuti qui e ci sono rimasti. Io sono cresciuto familiarizzando con 4 lingue: l'ebraico, il francese che per me era la lingua della civiltà, lo spagnolo antico e il turco che era la lingua della quotidianità. Io sono vissuto come ebreo in una città musulmana ma mi sento profondamente istanbuliota». Lo dice con lo stesso orgoglio di Buket Uzuner. Come se questa città così bella, che si affaccia sulle acque placide percorse in lungo e in largo da imbarcazioni che lasciano scie rosate su un'acqua dalle scaglie d'oro, fosse il centro del mondo. «Ci vedono come turchi col copricapo a cilindro rosso e il pon-pon nero, quasi delle caricature, "fuma come un turco", dite voi. Ma noi ci sentiamo altro, un poco romani, bizantini, ottomani, greci. Portiamo in noi radici lontane e diversissime. E la nostra lingua non ha niente a che vedere con l'arabo».

Confrontandosi con scrittori di lingue minoritarie ci si rende conto di quando siamo sedotti e conquistati dalle letterature potenti: i bestseller americani e inglesi, qualche grande autore latino americano e poco più. Conosciamo veramente poco di un Paese immenso e dinamico che da anni aspetta di entrare nell’Unione Europea. Un Paese che viene visto con sospetto e apprensione, quasi che il suo ingresso nell’Unione potesse costituire una consegna immediata alla violenza del fondamentalismo. Anche se Bin Laden si è fatto sentire con una parola di sangue, si capisce che qui prevale il gusto per le conquiste (libertà, individualità, laicità) dell'Occidente democratico. Basta guardare a quello che appare sulle sue televisioni, dove si sente discutere giorno e notte. Una televisione prevalentemente laica, vogliosa di capire e ragionare. Da notare: la totale assenza di donne nude e seminude in atteggiamenti seduttivi. Ma anche l'assenza di donne velate e il cipiglio degli estremisti. Certo il Paese è pieno di contraddizioni e soffre delle pressioni dei fondamentalisti che spingono per invadere la testa e i cuori della popolazione, per poi potere imporre regole medioevali, assolutismo e intransigenza moralistica. Ma, da quanto raccontano gli scrittori più popolari, si direbbe che le ragioni dei diritti civili hanno ancora un ampio ascolto, nonostante le strettoie di una censura che finge di non esserci.

«Sono nato a Teheran — dice Hamid Ziarati — in mezzo ad arabi, turchi, curdi, pakistani. Sono cresciuto fra tante lingue. Sono emigrato in Italia a 15 anni e oggi, dopo avere fatto il liceo e l'università a Torino, mi viene naturale scrivere in italiano. Eppure per molti italiani rimango iraniano e per molti iraniani sono italiano. Sembra che la storia di tanti scrittori in bilico fra due lingue non abbia insegnato niente». Stile è «una verticalità carnale», come dice Roland Barthes. Ma esistono dei fatti storici che creano una ottica diversa. Esistono degli incarichi psicologici e sociali che diventano a lungo andare parte di un destino e vengono introiettati dalle donne, anche quando scrivono. Possiamo solo parlare di un punto di vista, di una soggettività storica, che in quanto tale può mutare. E come rispondono le istituzioni letterarie? Non sempre bene. Il mercato è aperto alla scrittura delle donne, fra l'altro i lettori sono in maggioranza lettrici, ma le istituzioni letterarie a volte sono sorde e discriminano senza neanche accorgersene. Non è la libertà di scrivere che manca alle donne, come succedeva alle loro nonne, ma è il prestigio della professione.

Eppure quel ragazzo che si è immolato con una cintura di esplosivo poteva essere una ragazza. Se ne sono viste molte. E' lì che finisce la discriminazione? O è forse proprio lì che comincia. «I corpi di questi ragazzi sono trattati come strumenti, anche se strumenti di cambiamento fideistico, ma di un cambiamento legato alla guerra e al potere. Dietro di loro c'è sempre una organizzazione, una strategia». Fra l'altro organizzare un attentato costa. E non è mai il solitario che si infila la cintura, per quanto disperato e innamorato della morte, sua e degli altri. Chi organizza manda mai i propri figli al sacrificio? Non risulta.

Nonostante il sentimento di allarme per la deriva di violenza che sta attraversando il mondo intero (i giornali sono pieni di minacce fondamentaliste), tutti gli scrittori qui si trovano d'accordo che una grande forma di resistenza al silenzio delle armi e della morte è proprio la scrittura. Scrittura che indaga, che analizza, impigliata in un doloroso processo di conoscenza. Una scrittura che non toglie la mano dal foglio, nemmeno quando quella mano rischia di essere tagliata.

Il FOGLIO - " Il Nobel Naipaul bandito in Turchia "


Vidia Naipaul

Roma. Alla fine Vidia Naipaul ha rinunciato. Il Nobel anglo-indiano ha deciso di non presentarsi a Istanbul dove era atteso per il fine settimana come ospite d’onore al “Parlamento degli scrittori europei”, creato da Orhan Pamuk e José Saramago e che quest’anno si sarebbe svolto proprio nella città turca “capitale europea della cultura”. Si è scoperto che gli organizzatori dell’evento avevano già in mente di capitolare alle proteste islamiche, senza far conoscere a Naipaul neppure le reazioni alla sua presenza. Un rapporto del giornale Hurryet rivela che l’incontro sarebbe stato annullato anche se il Nobel per la Letteratura avesse insistito a partecipare. Una resa totale all’islamismo. Alcuni importanti autori turchi avevano minacciato di boicottare l’evento, definendo la presenza di Naipaul “un insulto per i musulmani”. Il poeta e filosofo Hilmi Havuz è stato il capofila di questo boicottaggio. “La tolleranza è per gli accenti critici, non per gli insulti”, aveva spiegato al quotidiano Hurriyet. Un’altra scrittrice, Cihan Aktas, aveva detto: “Il disgusto sui musulmani che traspare dai suoi libri è evidente”. Quest’esplosione di oscurantismo letterario si spiega con la grave affermazione fatta in Siria dal primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, secondo cui l’islamofobia è un “crimine contro l’umanità”. E’ dall’11 settembre 2001, quando Naipaul ha iniziato a martellare sul fondamentalismo islamico, che il mondo delle lettere lo accusa di razzismo, bigotteria, intolleranza. A settembre Naipaul aveva abbandonato l’incontro al Festivaletteratura di Mantova, indispettito dalle domande di Caterina Soffici. Aveva minacciato il poeta Havuz: “Naipaul avrà anche ricevuto il Nobel, ma non gli dà il diritto di insultare il mondo islamico”. Contro l’invito a Naipaul si era schierato anche il cognato del famoso poeta Hikmet, il giornalista Refik Erduran. Poche le mosche bianche in difesa del Nobel. Una di queste, Ragip Zarakolu, fondatore della Turkish Human Rights Association, ha protestato così: “Bandiremo anche Dostoevskij, dicendo che è nemico della Turchia?”. “La guerra religiosa è alla base dell’islam”, aveva scritto Naipaul dopo l’attentato alle Twin Towers. “Quella è gente che non legge molto, è contro la civiltà. Vogliono portare ovunque il silenzio del deserto. In Afghanistan hanno distrutto i vecchi monumenti, hanno fatto tabula rasa della loro storia. Nei paesi dove fanno regnare la loro fede sono riusciti a far regnare quel silenzio”. Abbastanza per bandire da Londra e da Istanbul il “flagello dei liberal”, come ebbe a definire Naipaul il quotidiano Independent. Jason Cowley dell’Observer ha scritto che “Naipaul è un distruttore degli irrazionali, sentimentali e indolenti pregiudizi liberal”. Per il Daily Mail, Naipaul “è al centro della più vischiosa guerra letteraria del decennio”. Il caso Naipaul non è isolato in Turchia. La caccia alle streghe islamista aveva persino pensato di mettere al bando Guillaume Apollinaire. Troppo sensuale, troppo erotico e occidentalizzante. Si è processato Nedim Gursel, professore di Letteratura alla Sorbona di Parigi, a causa del suo romanzo “Le figlie di Allah”. Il solo titolo ha fatto gridare allo scandalo, perché nel monoteismo islamico il solo concetto di “figlio di Dio” è rifiutato come blasfemia della peggior specie. L’accusa di cui ha dovuto rispondere Gursel è stata di “oltraggio all’islam e incitazione all’odio”. L’anziana archeologa Muazzez Ilmiye Çig è stata perseguita con l’accusa di aver “insultato l’islam” sostenendo che l’uso del velo da parte delle donne è tradizione antecedente a Maometto. Cig ha pubblicato un libro in cui afferma che in Mesopotamia, tremila anni prima della nascita di Cristo, il velo era portato dalle sacerdotesse preposte a iniziare i giovani sumeri all’esperienza sessuale. Viaggia sotto scorta il direttore del quotidiano liberale Radical, Ismet Berkan. Come lui tanti altri giornalisti. Adesso è toccato a Naipaul.

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