sabato 05 ottobre 2024
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Storia
Parla il carceriere israeliano di Adolf Eichmann

Israel Magazine, una rivista di informazioni culturali, politiche, economiche e sociali sul Medio Oriente che esce in Israele in lingua francese, pubblica nel mese di ottobre a pagina 24 un interessante articolo di Grégory Weitz intitolato “Parla il carceriere israeliano di Adolf Eichmann” .

Benché non ami questo appellativo, Michel Goldman-Gilad è un superstite della Shoah. Nato nel 1925 in Polonia, Goldman-Gilad è stato costretto a fuggire dalla sua città natale per sfuggire ai nazisti poi, dopo aver trascorso un certo periodo nel campo di Szbenie, è arrivato ad Auschwitz.. Scampato alla marcia della morte, si arruola nell’armata sovietica dove rimane ferito in battaglia. Nel 1947 sale sulla nave Hatikva che tenta di raggiungere Israele. Fermato e deportato a Cipro, vi rimarrà detenuto per un anno e mezzo. Una volta dichiarata l’indipendenza di Israele, va a vivere a Tel Aviv e si arruola nella polizia. Quando nel 1960 Eichmann viene arrestato, il capo delle indagini della polizia israeliana, Avraham Zelinger, un immigrato tedesco, decide di creare il Dipartimento 06. “Si trattava di un’operazione segreta. Più della metà degli ufficiali di questo dipartimento erano sopravvissuti alla Shoah. Il dipartimento era stato diviso secondo delle zone geografiche. Io ero responsabile della zona che comprendeva, fra le altre, la Polonia e i Paesi baltici”. Nel corso dei nove mesi successivi, Golman-Gilad e i suoi quaranta colleghi del dipartimento 06 hanno lavorato giorno e notte al fine di raccogliere il massimo d’informazioni sulla responsabilità di Eichmann e il “modus operandi” del regime nazista. Gli inquirenti non avevano il diritto di rivelare il luogo dove si tenevano i preparativi del processo ed erano autorizzati a ritornare a casa esclusivamente durante i weekend. Al di là della difficoltà fisica che richiedeva il lavoro, la maggior parte di questi uomini e queste donne dovevano ogni giorno, esaminando le migliaia di testimonianze e di documenti raccolti, rivivere il periodo più atroce della loro vita. “L’interrogatorio di Eichmann era realizzato da un ufficiale di nome Less, berlinese di nascita. Parlava un tedesco di alto livello, di qualità senz’altro migliore di quella del mostro nazista. Le direttive erano chiare: comportarsi con pazienza ed educazione verso Eichmann affinché non potesse dire che le sue dichiarazioni gli erano state estorte con la forza. Le domande erano trasmesse a Less che le poneva in seguito a Eichmann. La sua testimonianza era registrata poi sottoposta a dei dattilografi che la ritrascrivevano. Eichmann rivedeva allora le sue dichiarazioni, cambiava ciò che non gli conveniva e metteva un segno in fondo alla pagina”. Ogni sera gli inquirenti organizzavano una riunione e riascoltavano le dichiarazioni di Eichmann al fine di redigere delle nuove domande destinate a chiarire delle zone ancora troppo oscure. “La prima volta che ho sentito Less porre una domanda a Eichmann il suo linguaggio mi ha colpito. Lo chiamava “Signore”. Colui che ci trattava peggio dei cani non aveva il diritto al titolo di Signore!” Capitava perfino che Goldman-Gilad avesse bisogno di ottenere risposte più precise concernenti la sua inchiesta e dopo aver ricevuto l’autorizzazione del suo superiore, si recava da Eichmann. “Eichmann era un piccolo uomo, banale. Senza la sua uniforme, senza il suo potere di decidere della vita e della morte degli ebrei, era inconcepibile pensare che era stato uno degli architetti della messa in atto della soluzione finale. Quando ero giovane, non osavamo neppure alzare gli occhi verso i messaggeri di morte e poi improvvisamente mi trovo di fronte a lui. Era un padre di famiglia, con quattro bambini, che durante la giornata inviava centinaia di migliaia di ebrei alla morte e la sera abbracciava i suoi figli prima di metterli a letto”.

Il processo a Eichman era un processo con numerosi obiettivi. Che si dovesse fare giustizia era evidente ma c’era anche la questione di “liberare” i sopravvissuti della Shoah, di farli uscire dal loro mutismo. Gli israeliani del periodo prima dell’Indipendenza non volevano credere che gli ebrei non si fossero ribellati di fronte ai nazisti. La società israeliana era divisa e i nuovi ebrei che volevano creare le istituzioni sioniste non potevano accettare dei “deboli” fra loro. Eichmann, senza saperlo, è colui che ha consentito all’”ascesso di scoppiare” e ha permesso a tutti i superstiti di non vergognarsi a testimoniare e quindi riconciliarli con gli israeliani “di nascita”. Quando Goldman-Gilad era un bambino nel ghetto faceva parte di un’unità che si occupava di svuotare gli appartamenti dai loro mobili. Un giorno evacuando una delle camere di una famiglia ebrea che si era appena lasciata assassinare a sangue freddo da una SS, scoprì un libro sui treni. Nascondendolo sperava, a modo suo di resistere ai nazisti. Sfortunatamente per lui si fece scoprire e la punizione, 80 colpi di frusta, restò impressa per sempre nella sua memoria. “Il dottor Bushinski era chiamato a testimoniare all’epoca del processo. Un giorno, in occasione di una delle udienze, mi si è accostato chiedendomi dove era l’ufficio del procuratore generale Hausner. In quanto assistente gli ho domandato naturalmente quale fosse la ragione della sua visita e dopo una breve discussione, si è accertato che il dottor Bushinski risiedeva nel ghetto dove anch’io mi trovavo e mi conosceva come “l’adolescente che aveva ricevuto 80 colpi di frusta”. Il dottor Bushinski in seguito è entrato nell’ufficio del procuratore e ha dovuto parlargli del nostro incontro. In occasione del suo interrogatorio in tribunale, Hausner chiese a Bushinski di descrivere uno dei modi di punizione in vigore nel ghetto e quest’ultimo mi indicò col dito quando il procuratore gli chiese se riconosceva una delle vittime di questa punizione”. “Il giorno della conferma della pena di morte per Eichmann, una richiesta di amnistia era già stata redatta dall’avvocato del criminale nazista, al Presidente dello Stato, Ben-Zvi. Quest’ultimo l’aveva rifiutata e per timore di vederne arrivare altre, aveva deciso di dare esecuzione al verdetto immediatamente. Il mio comandante d’allora mi ha quindi contattato per anticiparmi che sarei stato uno dei due testimoni presenti al momento dell’impiccagione. Una volta giunto alla prigione di Ramla, ho atteso la mezzanotte accompagnato da altre nove persone presenti quel giorno. Eichman non ha voluto che gli si coprisse la testa. Prima di morire ha gridato: Viva la Germania, viva l’Argentina e viva l’Austria, questi sono i paesi ai quali sono debitore. L’ordine era stato dato e i due rappresentanti del servizio penitenziario premettero contemporaneamente su due bottoni differenti, affinché nessuno di loro sappesse qual era il bottone che aveva veramente attivato il meccanismo. Eichmann era stato impiccato”.

Il dipartimento 06 è stato in seguito smantellato in quanto era stato creato unicamente per questa missione. Nel corso dei numerosi anni l’identità dei membri del dipartimento era stata tenuta segreta per paura di rappresaglie. In occasione dell’ultima commemorazione della Shoah, è stato conferito un premio ai tredici membri ancora in vita oggi per il lavoro enorme che era stato realizzato….nell’ombra.

Traduzione di Giorgia Greco


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