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Newsletter di Giulio Meotti Rassegna Stampa
28.09.2024 C’era una volta un paese libero: il Libano
Commento di Giulio Meotti

Testata:Newsletter di Giulio Meotti
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «C'era una volta un magnifico paese libero, ricco e cristiano»

Riprendiamo il commento di Giulio Meotti, estratto da un articolo della sua newsletter dal titolo:"C'era una volta un magnifico paese libero, ricco e cristiano“.


Giulio Meotti

Il Libano è l’unico paese del Medio Oriente, a parte Israele, ad avere una tradizione democratica. L’identità cristiana è il fondamento del Libano poiché è attorno alla comunità maronita che la Francia, da potenza coloniale, ha voluto, nella prima metà del XX secolo, creare uno Stato. Alla fine della Seconda guerra mondiale si era soliti descrivere il Libano come la “Svizzera del Medio Oriente”. Era un paese ricco grazie alle sue banche e al suo commercio. Ed era una nazione pacifica e multireligiosa sotto la guida dei cristiani (fino al 1967 aveva anche una grande e antichissima comunità ebraica, come tutti i paesi arabi).

L’equilibrio confessionale era garantito dalla Costituzione. Ai cristiani maroniti, allora maggioranza, la presidenza della Repubblica. La vicepresidenza agli ortodossi. Ai musulmani sunniti la carica di primo ministro. Agli sciiti quella di presidente dell'Assemblea nazionale. La società andava avanti in questo modo con un potere di veto reciproco delle diverse comunità, costringendole a discutere e a concordarsi preventivamente prima di qualsiasi decisione importante. Una specie di utopia, ma funzionava.

 

 

I palestinesi di Arafat trasformano Beirut in una roccaforte militare

Diciassette comunità religiose convivevano sotto la bandiera col cedro fino al giorno in cui il paese offrì asilo a 300.000 palestinesi, che non tardarono a venire egemonizzati dall’Olp di quel delinquente corrotto e sanguinario di Yasser Arafat, che trasformò il campo profughi di Tall-Zaatar in una fortezza armata fino ai denti dove si addestravano anche le Brigate Rosse.

Domenica 13 aprile 1975 a Beirut si svolse una sfilata di terroristi palestinesi per festeggiare la strage effettuata nel villaggio israeliano di Kiryat Shmona (oggi sotto i missili di Hezbollah). Da un auto in corsa partirono dei colpi contro i cristiani che entravano in chiesa per la messa. Quattro morti. Due ore dopo venne attaccato un autobus pieno di fedayn. E fu la guerra civile. E l’inizio della fine dell’ultimo rifugio dei cristiani in Medio Oriente. I fedayn palestinesi era finanziariamente ben dotati dai paesi arabi ansiosi di mantenere il Libano nella sua debolezza e di non lasciare che facesse la pace con Israele nel crepuscolo della Guerra Fredda.

Prima fu la Siria a invadere il Libano col pretesto di “pacificare” il paese. Nel 1982 furono gli israeliani a intervenire militarmente con l’operazione “Pace in Galilea”, per mettere fine ad anni di attacchi terroristici palestinesi.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu impose una forza multinazionale di pace, che scappò letteralmente via dopo i primi morti francesi e americani da parte degli Hezbollah iraniani.

La guerra civile libanese (1975-1990), persa dai cristiani, avrebbe portato intanto a un riequilibrio a favore dei sunniti attraverso l’accordo di Taif sponsorizzato dall’Arabia Saudita. Oggi sono gli sciiti, guidati da Hezbollah rafforzati dalla guerra del 2006 contro Israele e dall’occupazione siriana del paese, a dominare il paese.

 

 

Come ha scritto l’esule libanese Brigitte Gabriel,

“quando i musulmani libanesi e i palestinesi dichiararono la jihad contro i cristiani nel 1975, non sapevamo nemmeno cosa significasse quella parola. Avevamo accolto i palestinesi, dando loro rifugio nel nostro paese, permettendo loro di studiare fianco a fianco con noi nelle nostre scuole e università. Abbiamo dato loro un lavoro e condiviso il nostro stile di vita con loro. Ciò che era iniziato come una guerra politica si è trasformato molto rapidamente in una guerra religiosa tra musulmani e cristiani, con i musulmani libanesi che si univano all'OLP per combattere i cristiani. Non ci rendevamo conto della profondità del loro odio e risentimento nei nostri confronti come infedeli. Più i cristiani si rifiutavano di essere coinvolti nel conflitto palestinese-israeliano e di consentire ai palestinesi di usare il Libano come rampa di lancio per attaccare Israele, più i palestinesi ci consideravano il nemico. I musulmani hanno iniziato a fare affermazioni come ‘Prima arriva il sabato, poi arriva la domenica’, ovvero prima combattiamo gli ebrei, poi veniamo per i cristiani. La presenza, l'influenza e la democrazia cristiana sono diventate un ostacolo nella lotta dei palestinesi contro Israele. Avremmo dovuto vedere la tensione latente tra musulmani e cristiani iniziare a esplodere, ma ci siamo rifiutati di credere che esistessero un tale odio e una tale animosità”.

Il Libano è stato per secoli un paese a maggioranza cristiana. Ma oggi lo è solo al 38,22 per cento, contro il 61,62 per cento musulmano. L'aumento proporzionale della comunità musulmana è stato del 785,1 per cento.

I dati demografici sono questi:

“L'ultimo censimento ufficiale del Libano risale al 1932 e indica che la popolazione ammontava a 875.252 persone, di cui circa il 53 per cento cristiani. Da allora non è stato più effettuato alcun censimento perché si tratta di un argomento molto delicato a causa delle divisioni confessionali all'interno del Paese e del sistema di condivisione del potere. D'altro canto sono state effettuate valutazioni non ufficiali. Quella del 1956 stima il numero degli abitanti in 1.411.416, di cui circa il 54 per cento cristiani e il 44 per cento musulmani. Oggi possiamo stimare il numero degli abitanti in 3.334.691 di cui il 38,22 per cento cristiani e il 61,62 musulmani. Tra il 1975 e il 1984, 506.416 libanesi fuggirono dal paese, di cui il 78 per cento cristiani e il 22 musulmani”.

Il ministro degli Affari sociali Hector Hajjar ha di recente chiesto la partenza dei profughi siriani dal Libano, parlando di “una sostituzione demografica della popolazione”. Hajjar è cristiano e sa di cosa parla. La presenza di oltre 1,5 milioni di “sfollati” siriani sta sconvolgendo ulteriormente l’equilibrio demografico e minacciando l’identità del paese.

Il Libano oggi accoglie più di due milioni di siriani e centinaia di migliaia di palestinesi, che rappresentano più di un quarto di tutti gli abitanti del paese e fino al 52 per cento della popolazione nel 2038, secondo lo studio preparato da Charbel Nahas, noto economista ed ex ministro della Telecomunicazioni.

I cristiani libanesi stanno fuggendo verso cieli più accoglienti, in America Latina, in Quebec e in Oceania. Due miei cari amici sono libanesi: un maronita, la cui famiglia è andata a vivere in Canada; e un ebreo, un Sayed, riparato in Messico e che oggi riposa nel cimitero ebraico a Gerusalemme.

Le suddivisioni territoriali fanno ormai riferimento all'antico califfato. Il Libano è diviso in nove mohafazat (governatorati) composti da 25 caïdat che riuniscono baladias e medinas (distretti e città)... E sono strettamente controllati da Hezbollah. La corruzione non è più un fenomeno individuale ma istituzionale a vantaggio dei mullah e dei loro signori della guerra. E il paese, da ricco, ora è in ginocchio.

In una vana speranza di pace, le milizie cristiane si sono sciolte più di trent'anni fa. Hezbollah, che detiene tutta la forza militare, armato da un potente alleato come l’Iran, ha solo vassalli e dhimmi e pochissimi avversari. Nessuno è in grado di opporsi. C’è sempre paura di una nuova guerra civile. Per svolgere un ruolo, anche minimo, un sunnita o un cristiano deve allearsi con Hezbollah, che di libanese non ha nulla, essendo stato fondato nel 1983 dall'Ayatollah Khomeini, a sua volta coccolato in Francia.

Benedetto XVI, nel suo viaggio in Libano del 2012, mise in guarda contro un Medio Oriente “monocromo” (verde islamico).




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