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Huffington Post Rassegna Stampa
29.08.2020 Erdogan alla conquista dell'Egeo
Analisi di Gianni Vernetti

Testata:Huffington Post
Autore: Gianni Vernetti
Titolo: «Il disegno neo-ottomano di Erdogan incendia il Mar Egeo»
Riprendiamo da HUFFINGTON POST l'articolo di Gianni Vernetti dal titolo "Il disegno neo-ottomano di Erdogan incendia il Mar Egeo".

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Gianni Vernetti


Erdogan avverte la Grecia:
Recep T. Erdogan

La storia si è rimessa in moto lungo percorsi difficilmente prevedibili e le acque placide del Mediterraneo, attraversate dai venti di guerra fra Turchia e Grecia, ne sono la prova più evidente. Il Governo turco ha annunciato di voler tenere il prossimo 1 e il 2 settembre delle esercitazioni militari navali nel mare antistante la Repubblica Turca di Cipro del Nord, l’unica parte dell’Unione Europea occupata militarmente da una potenza straniera che da oltre 20 anni ha insediato un “paese fantasma”, al di fuori della legalità internazionale e non riconosciuto da nessun paese membro delle Nazioni Unite. Le esercitazioni militari turche seguono le esercitazioni navali congiunte “Eunomia” delle Marine di Grecia, Italia, Francia e Cipro iniziate il 24 agosto e nate in risposta alle ripetute minacce turche con le esplorazioni illegali di idrocarburi da parte della nave di ricerca “Orç Reis”, scortata da otto fregate, droni e caccia F-16 di Ankara. L’oggetto del contendere è lo sfruttamento dei grandi giacimenti di gas naturale scoperti in questi anni nel Mediterraneo orientale e meridionale da Egitto e Israele che hanno ridestato l’attenzione turca sull’area. Ma la Turchia è soprattutto preoccupata dalle implicazioni geo-politiche del Gasdotto “EastMed”, la grande opera, fortemente voluta dall’Unione Europea, che rappresenta la dorsale infrastrutturale di tale strategia: un progetto da 6 miliardi di euro e 2.000 km di rete, che unirà Israele, Cipro e Grecia con la nostra penisola per permettere al gas dei giacimenti da poco scoperti di raggiungere l’Italia e l’Europa. Il gasdotto East-Med è strategico per l’Italia e per tutta l’Europa perché permetterà di aumentare la diversificazione delle nostre fonti di approvvigionamento energetico, riducendo la dipendenza dal gas Russo e soprattutto creando un’alternativa più sicura al passaggio di molti oleodotti e gasdotti dalla Turchia di Erdogan, sempre più instabile, islamista, autoritaria e distante dall’Occidente. Un ulteriore tassello di questa strategia è stato poi aggiunto lo scorso gennaio al Cairo su iniziativa di Egitto, Italia, Cipro, Grecia, Giordania, Israele e Autorità Palestinese, con la nascita dell’East Med Gas Forum, che potrà garantire la governance della gestione energetica del Mediterraneo Orientale. La reazione di Ankara al protagonismo occidentale nel Mediterraneo non si è fatta attendere e i toni di questi ultimi giorni sono durissimi. La svolta autoritaria e islamista di Erdogan, compie dunque oggi un ennesimo passo verso posizioni ultranazionaliste che rischiano di mettere a dura prova la stabilità del Mediterraneo. “La Turchia si prenderà ciò che le spetta nel mar Egeo, nel Mar Nero e nel Mediterraneo”, e “se la Grecia vuole pagare un prezzo, che venga ad affrontarci…. o si tolga di mezzo”. Queste le minacce pronunciate dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Grecia, che rischiano di produrre un escalation incontrollabile. La Grecia ha ottenuto l’immediata solidarietà europea, l’impegno militare di Macron, le esercitazioni congiunte con Italia e Cipro e sempre ieri sono giunti nella base di Souta a Creta quattro F-16 degli Emirati Arabi Uniti per partecipare a esercitazioni militari congiunte con le Forze Aeree Elleniche. Già un anno fa l’aviazione di Abu Dhabi aveva promosso un’intensa cooperazione con le forze aree di Atene e Tel Aviv nel Mediterraneo orientale e la nuova assertività turca è anche il motivo che ha portato il governo Tsipras e quello di Netanyahu a siglare nel 2015 un patto di militare di difesa e coordinamento molto ampio fra i due eserciti. Ma per comprendere appieno le motivazioni della contrapposizione sempre più radicale nel Mediterraneo ed in Medio Oriente fra la Turchia di Erdogan, la Grecia e in generale l’Occidente, occorre analizzare la svolta autoritaria ed islamista del regime di Ankara che in dieci anni ha mutato radicalmente visione, collocamento geopolitico e alleanze strategiche del paese. La svolta “neo-ottomana” di Recep Tayyip Erdogan ha già cambiato drasticamente l’intero Medio Oriente, ed oggi la Turchia è sempre più distante dall’ancoraggio atlantico, perseguendo un progetto autonomo di proiezione internazionale con alleanze spregiudicate fra Mosca, Teheran, Damasco e Tripoli. Il presidente turco è sempre più debole in patria, dopo le due clamorose sconfitte elettorali a Istanbul, quando il candidato dell’opposizione laica e secolare, Ekrem Imamoglu, sconfisse, il partito di maggioranza governativa, nonostante l’annullamento del voto messo in atto da una magistratura compiacente con il regime. E non sono bastati neanche due anni di purghe a più ondate nell’esercito, nelle scuole e nella magistratura, dopo il tentato golpe del 2016, per sottomettere completamente la Turchia al volere del partito di Verità e Giustizia al potere da 17 anni. Indebolito in patria, Erdogan ha puntato tutte le sue carte su un’opzione ultranazionalista e neo-ottomana. Prima l’acquisto dei sistemi di difesa S-300 dalla Russia, poi l’invasione in Siria del Cantone di Afrin l’enclave controllata dalla Syrian Democratic Force, il migliore, ed unico alleato dell’occidente nel teatro siriano; infine la pulizia etnica messa in atto dall’esercito turco e dalle milizie jihadiste, formate da molti fuoriusciti di Al Qaeda, con la seconda invasione nel nord della Siria nell’autunno del 2019; poi ancora le spregiudicate alleanze in Libia, tutte sempre in funzione anti-occidentale, e infine la demolizione di uno degli ultimi simboli della laicità e della Turchia multiconfessionale: la trasformazione in moschea del mausoleo di Santa Sofia. La demolizione progressiva dello stato di diritto, la repressione durissima di ogni forma di dissenso, l’esilio per i giornalisti e le voci libere, l’arresto arbitrario di Selahattin Demirtas, il leader curdo che ottenne oltre il 13% alle elezioni politiche generali, la morte nelle prigioni del regime di avvocati e difensori dei diritti umani (ieri è morta dopo 238 giorni di sciopero della fame per la richiesta di un processo equo, l’avvocato Ebru Timtik), rendono la Turchia di Erdogan oggettivamente incompatibile con i valori fondanti dell’Alleanza Atlantica. Ma la recente ed ulteriore radicalizzazione di Erdogan è anche connessa al suo progressivo indebolimento nella corsa per la leadership del mondo arabo sunnita. La recente scelta di Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il principe ereditario di Abu Dhabi, di condurre gli Emirati Arabi Uniti ad una piena normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele e contemporaneamente di riaprire, con una vera “mossa del cavallo”, il dialogo per la soluzione della questione palestinese, ha indebolito fortemente la leadership di Erdogan, del Qatar e dei Fratelli Musulmani in un mondo sunnita stanco del conflitto e desideroso di cambiamenti radicali. La scelta degli Emirati, che sarà a breve seguita da Bahrein, Oman e da altri paesi arabi, rappresenta un oggettivo indebolimento dei disegni neo-ottomani di Erdogan. La mancanza di strategie innovative da parte di Europa, Nato e Occidente o peggio ancora la semplice inazione, non solo rischia di non risolvere il potenziale conflitto con la Turchia, ma persino di esacerbarlo, esponendo di volta in volta le istituzioni europee ed occidentali al ricatto di Erdogan sui milioni di rifugiati siriani o alle provocazioni muscolari nelle isole greche. Le soluzioni non sono semplici e neppure scontate ma occorre mettere a punto una strategia di lungo periodo in grado persino di riaprire il processo di integrazione europea della Turchia direttamente legato però ad un cambio di regime. Occorre esprimere posizioni molto più ferme sui diritti umani e sulla demolizione delle garanzie democratiche in Turchia, accompagnando anche la denuncia con un sistema articolato di sanzioni. Dobbiamo scommettere sulla componente laica e secolare della società turca che potrebbe presto risollevare la testa e riprendere un cammino europeo. L’ambizione di poter integrare nelle istituzioni europee un grande paese laico e musulmano dovrebbe essere nuovamente coltivata. Dopo quasi vent’anni di regime di Erdogan e nonostante la sua svolta autoritaria ed islamista, la Turchia ha dimostrato di avere ancora molta vitalità democratica. La doppia vittoria nella città di Istanbul grazie all’alleanza fra tutte le forze democratiche e secolari ha dimostrato che arginare gli islamisti è una concreta possibilità.



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