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Informazione Corretta - La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
23.10.2012 Elezioni Usa, commenti al terzo dibattito Romney/Obama
di Piera Prister, Maurizio Molinari, Matteo Matzuzzi

Testata:Informazione Corretta - La Stampa - Il Foglio
Autore: Piera Prister - Maurizio Molinari - Matteo Matzuzzi
Titolo: «Ultimo dibattito Romney/Obama, in attesa del 6 novembre-Obama si impone sulla politica estera, ma Romney lo sorprende sull'economia - L’analista del governo cinese ci dice: 'Per noi è meglio Romney'»

Da fonte bene informata IC è in grado di rivelare che sarà Dan Senor, il co-autore con Saul Singer del best seller internazionale " Laboratorio Israele" (uscito in italiano da Mondadori), ad essere nominato da Mitt Romney, in caso di vittoria, consulente alla Casa Bianca per il Medio Oriente. Un motivo in più per tifare Romney.

Pubblichiamo il commento di Piera Prister dal titolo " Ultimo dibattito Romney/Obama, in attesa del 6 novembre ". Dal sito internet della STAMPA l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama si impone sulla politica estera, ma Romney lo sorprende sull'economia" . Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Matteo Matzuzzi dal titolo " L’analista del governo cinese ci dice: “Per noi è meglio Romney” ", preceduto dal nostro commento.

A destra, Mitt Romney con Barack Obama a Boca Raton per l'ultimo dibattito elettorale
Ecco i pezzi:

INFORMAZIONE CORRETTA - Piera Prister : " Ultimo dibattito Romney/Obama, in attesa del 6 novembre"


Piera Prister

Questa sera del 22 ottobre 2012, a due settimane dalle elezioni, a Lynn University di Boca Raton in Florida, si e’ svolto intorno ad un tavolo, l’ultimo dibattito fra due contendenti. Moderatore Bob Schieffer, conduttore della trasmissione “Face the Nation” su CBS, all’ordine del giorno i temi di politica estera come Afghanistan, Siria, Bengasi, Israele, e Iran; ma anche temi di politica interna, disoccupazione, deficit, debito estero con la Cina e recessione. Il dibattito e’ stato calmo e rassicurante da entrambe le parti, tutto centrato sulla ripetizione dei precedenti. I piu’ pensavano che ci sarebbe stato uno scontro all’ultimo sangue, “Dead Heat for Romney, Obama” cosi’ come titola, oggi 22/10/2012 il WSJ in prima pagina, invece e’ stata una ricapitolazione melliflua delle precedenti posizioni di entrambi. Pero’ ci sono due differenze sostanziali da mettere bene in evidenza, Obama vuole ripetere in politica estera e interna quello che ha gia fatto nei suoi quattro anni di presidenza senza buoni risultati, comportamento che qui in America definiscono come “insanity”, mentre Romney vuole fare uscire il paese fuori dalla recessione e far ritornare gli Stati Uniti al ruolo di guida ormai perso nel mondo, per correggere gli errori sostanziali fatti da Obama che ha affossato l’economia e s’e’ mostrato debole nel suo Apology Tour, offrendo scuse non dovute ne’ richieste ai dittatori islamici.
Anzi, ha sottolineato Romney, il presidente ha permesso al regime iraniano e ai guardiani della rivoluzione di reprimere nel sangue la rivolta pacifica della Green Revolution, e andare avanti per altri quattro anni senza grandi ostacoli nel loro piano di arricchimento dell’uranio, che e’ la piu’ grande minaccia per Israele e per l’Occidente.
Anzi ha dichiarato che se eletto subito deferira’ Ahmadinejad alla GENOCIDE CONVENTION per aver incitato le masse ripetutamente alla distruzione di Israele e a commettere genocidio contro i suoi abitanti. Romney voleva mostrare agli elettori di non essere bellicoso e l’ha fatto con successo e rassicurazione. Mentre Obama e’ stato molto abile nell’umanizzare la guerra mostrando compassione per le donne, i bambini e i veterani. Il presidente s’e’ avvicinato verbalmente alle posizioni di Romney verso Israele che difenderebbero entrambi in caso di attacco, e in molti altri temi Obama ha riconfermato la sua vocazione a fare l’eterno Pinocchio.
Mitt Romney ha detto con incisivita’che “Influence of The US around the world is receding” l’influenza degli Stati Uniti nel mondo sta diminuendo e che bisogna fare un cambiamento di rotta nella politica estera se si vuole prevenire un piu’ largo conflitto mondiale. “America must be strong to lead the world and promote principles, human dignity and human rights…” Per questo l’ex governatore ha promesso di rafforzare l’immagine degli Stati Uniti sia come potenza economica e sia come potenza militare nel mondo, contro la minaccia del terrorismo islamico e dei signori del petrolio che lo finanziano, da cui l’Occidente e’ ricattato, mentre ha fatto notare che Obama ha apportato tagli alla Difesa indebolendo di molto l’immagine del paese. Ha proposto un’America forte ed indipendente dal petrolio arabo capace di ristabilire il ruolo che ha avuto in passato contro il Nazismo e contro l’URSS, ora che il mondo e’ minacciato dal Terrorismo Islamico.

E all’asserzione di Obama che Al-Qaeda e’ stata decimata, Mitt Romney ha obiettato che Bin Laden e’ si’morto ma non e’ morta Al-Qaeda che e’ del tutto viva e vegeta, anzi e’ sempre piu’ forte e minacciosa per l’Occidente e per Israele, in tutti quei paesi del Medio Oriente in fiamme percorsi dalla cosiddetta primavera araba, che era stata erroneamente salutata da Obama e dalla Mrs. Clinton come un’ondata democratica e riformatrice.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama si impone sulla politica estera, ma Romney lo sorprende sull'economia "


Maurizio Molinari

Barack Obama vince sulla politica estera ma Mitt Romney riesce nel finale ad essere più efficace facendo leva sui temi economici ed entrambi i portavoce parlano così di vittoria. Il terzo e ultimo dibattito fra il presidente democratico e lo sfidante repubblicano si chiude in un clima da ring di pugilato, lanciando entrambi verso le ultime due settimane di una sfida mozzafiato, descritta da sondaggi che li danno testa a testa in una dozzina di Stati.  

Quando il moderatore Bob Schieffer della Cbs dà inizio al dibattito ponendo la prima domanda sulla Libia, Romney risponde mettendo subito le mani avanti: “Mi congratulo con il presidente per l’eliminazione di Osama bin Laden”. E’ un tentativo di liberare il campo dal maggiore successo del rivale ma anche l’ammissione di un dibattito in salita perché la politica estera è il cavallo di battaglia del presidente. Obama si sente più forte, lo mostra per piglio, linguaggio e determinazione. Appena prende la parola ridicolizza Romney: “Pochi mesi fa diceva che il nostro nemico più pericoloso è la Russia, meno male che ora riconosce che invece è Al Qaeda”. Il repubblicano non reagisce e Obama affonda i colpi: una valanga di citazioni su errori di giudizio, gaffes e sbagli strategici di Romney. “Sono citazioni errate, attaccarmi non è un’agenda di politica estera” riesce appena a dire Romney. Siamo al 16° minuti e se il match finisse qui, Obama vincerebbe per ko. Romney riesce a riprendere fiato, e trovare spazio, sull’Iraq, contestando a Obama di non essere riuscito a lasciare basi nè truppe dopo otto anni di guerra e sacrifici. E’ il primo battibecco, continua per una manciata di secondi e Obama è abile a interromperlo con la prima citazione di Israele. “Il nostro alleato più importante in Medio Oriente”.   

Se Romney puntava su questo cavallo, ora Obama glielo sfila. Schieffer introduce il tema della sanguinosa guerra civile in Siria: “Davvero non si può fare di più?”. Risponde Obama: “I giorni di Assad al potere sono contati”. Romney questa volta riesce a fare un passo in più: “La Siria è un disastro umanitario, rimuovere Assad è prioritario per noi”. Non invoca l’intervento militare, si dice contrario anche alla no fly zone, ma invoca a chiare lettere più aiuti per i ribelli. Obama tiene gli occhi puntati sul rivale e i tratti del volto tradiscono nervosismo quando Romney lo accusa di “carenza di leadership”. E’ una linea d’attacco efficace. Il repubblicano ripete a più riprese “l’America non ha leadership in questa crisi” e per la prima volta Obama mostra qualche esitazione, limitandosi ha rispondere: “Stiamo dimostrando di avere leadership sulla Siria”.   

Entrambi i candidati hanno appuntate spillette a forma di bandiera americana sulla giacca, ed entrambi hanno a disposizione due bicchieri d’acqua che non toccano mai. La tensione fra loro è di gran lunga maggiore rispetto ai precedenti due duelli perché questo è l’ultimo e ogni parola può essere decisiva. Ecco perché, quando si supera la boa dei trenta minuti Romney gioca la mossa preparata a tavolino: “E’ la nostra economia debole che ci impedisce di essere forti in politica estera”. L’intento è di far entrare nel dibattito i temi economici. Romney segue un copione mandato a memoria ed accelera. Accusa Obama di voler tagliare il bilancio militare, riducendo il bilancio del Pentagono di mille milioni di dollari e poiché il presidente tarda a rispondere, tira gli altri siluri: “Le tensioni bilaterali con Israele sono state negative, nel 2009 è stato un errore tacere sulla rivolta iraniana”. Romney tiene l’offensiva, ingaggia un vivace duello su Israele e Iran, e affonda anche sul commercio: “Si parla sempre degli scambi con la Cina, bisognerebbe parlare di più di America Latina”.  

E’ un altro tema economico, consente a Romney di restare in sella. Obama gli risponde sull’educazione ma è un errore perchè Schieffer lo blocca: “Torniamo a parlare di politica estera”. Pochi attimi dopo ripete la frase a Romney, che però continua a cercare scorciatoie per allontanarsi da diplomazia e strategia. Accusa Obama di “voler riportare la Marina ai livelli del 1917” a causa della riduzione di unità ma la replica è sferzante: “Una volta avevamo anche più baionette e cavalleria, con il passare del tempo cambia anche la strategia, oggi dobbiamo tener presente spazio e cyberspazio”. Romney incassa e non risponde. Schieffer chiede ai due di pronunciarsi sul principio che “un attacco a Israele equivale ad un attacco all’America”. Nessuno dei due lo fa proprio ma Obama assicura che “se Israele sarà attaccata saremo al suo fianco” vantando “lo svolgimento questa settimana delle esercitazioni più grandi di sempre mai svolte” con l’esercito dello Stato Ebraico. E sull’Iran assicura: “Fino a quando sarò presidente, non avrà l’atomica”.  

Romney sull’alleanza con Israele usa un linguaggio ancora più esplicito: “Con me presidente, l’America sarà sempre alle spalle di Israele”. E sull’Iran attacca: “Servono sanzioni più dure, l’isolamento diplomatico e l’incriminazione di Ahmadinejad”. Il repubblicano è su un terreno più sicuro, si spinge fino a contestare a Obama il “tour di scuse” fatto in Medio oriente subito dopo l’insediamento “senza fare tappa in Israele”. “Se vogliamo parlare dei nostri viaggi all’estero per me va benissimo” ribatte Obama, sollevano risate fra i giornalisti americani in sala stampa per il riferimento alle gaffes di Romney nel recente viaggio in Europa e Israele. Ma Romney resta all’offensiva: “La verità è che da quando Obama è diventato presidente il numero delle centrifughe iraniane è aumentato”. Barack tenta di frenarlo con un colpo basso: “Romney investe in aziende cinesi con interessi in Iran”. Ma il dibattito ora appare più bilanciato. Romney è efficace quando dice “la Jihad avanza in Medio Oriente, la Cina avanza nel commercio” e ciò dimostra la debolezza dell’America. Con un altro colpo basso Obama rimprovera a Romney di “essere andatoin Israele a raccogliere fondi mentre io nel 2008 andai a rebdere omaggio allo Yad Va-Shem - il museo della Shoà - ed alla città di Sderot bersagliata dai razzi di Hamas”. Romney è pronto a ribattere: “Presidente, ben 38 senatori democratici le hanno chiesto di riparare le relazioni con Israele...”.   

Obama si accorge di aver perso il dominio del dibattito e gioca ancora più pesante: “Romney disse che bisognava chiedere permesso al Pakistan per un eventuale blitz contro Bin Laden”. Il repubblicano non smentisce e difende “l’importanza dei rapporti con il Pakistan, una nazione che ha 100 bombe atomiche”. A 15 minuti dalla fine Schieffer introduce il tema della Cina e Romney ha gioco facile a trascinare lo scontro lì dove ha voluto sin dall’inizio: sull’economia. “Abbiamo un deficit commerciale enorme non si può più andare avanti, rubano i nostri posti di lavoro, manipolano la concorrenza”. Il repubblicano è un fiume in piena, Obama tenta senza successo di frenarlo. Gioca contro di lui la carta dell’auto, rimproverandogli di “aver voluto far fallire Chrysler e Gm che noi abbiamo salvato” e negli ultimi sei minuti il dibattito diventa un match, la scrivania un ring e Romney riesce nell’intento di avere tempo e spazio per l’arringa finale sull’”America impoverita, i dissocupati aumentati e 47 milioni di cittadini che vivono con i buoni pasti”. Se Obama è stato più efficace sulla politica estera, la tattica di Romney si dimostra vincente. Nelle dichiarazioni finale Obama accusa lo sfidante di “voler riportare al passato” e promette di “continuare a battermi per le vostre famiglie” ma Romney è più efficace: “Sono ottimista sul futuro, Obama ci porta al declino, io creerò milioni di posti di lavoro, sono come far ripartire l’America e vi guiderò in maniera onesta”. Nella “spin room” i portavoce di entrambi i campi parlano di successio e i sondaggi delle tv premiano Obama ma Romney è riuscito a non soccombere nel dibattito più difficile.

Il FOGLIO - Matteo Matzuzzi : " L’analista del governo cinese ci dice: “Per noi è meglio Romney” "


Matteo Matzuzzi, Dingli Shen

Curiosa l'interpretazione di Dingli Shen, direttore del Centro per gli studi americani alla Fudan University di Shanghai, secondo il quale ritiene che la Cina auspicherebbe la vittoria alle elezioni di Mitt Romney.
Romney non ha lasciato intendere di essere intenzionato a stringere rapporti con la Cina, non si capisce da dove provenga, perciò, un simile interesse per una sua ipotetica vittoria. Dingli Shen ha seguito i dibattiti elettorali americani ? Semmai è la posizione di Romney ad essere critica verso la Cina.
Il Foglio, di solito, è un quotidiano ben informato. Per quale motivo ha deciso di dare spazio a un'analisi tanto surreale ?
Ecco il pezzo:

Roma. La Cina si augura che Mitt Romney diventi presidente degli Stati Uniti, che il 6 novembre sconfigga Barack Obama e che decida subito di cambiare rotta nei rapporti con Pechino. E’ l’auspicio di cui si fa portavoce Dingli Shen, direttore del Centro per gli studi americani alla Fudan University di Shanghai e studioso dei rapporti bilaterali tra i due paesi. La scorsa settimana, in un saggio pubblicato su Foreign Policy, scriveva che “un presidente repubblicano a Washington sarebbe la scelta migliore per la Cina”. Interpellato dal Foglio, spiega il perché: “Obama ha sbagliato tutto, sia sul piano delle relazioni economiche sia su quello della sicurezza globale”. La colpa grave del presidente democratico è “non aver capito che Pechino per Washington può essere un’opportunità più che un ostacolo e un concorrente”. Il suo mandato – aggiunge Shen – è stato contraddistinto dalle continue provocazioni: “Ha schierato batterie di missili a Taiwan, ha incontrato per ben due volte il Dalai Lama e ha insistito in modo aggressivo sul tema del cambiamento climatico quando bastava affrontare la questione con pazienza e meno frenesia”. Sono due, però, le mosse che più hanno indispettito il governo cinese: il ritorno prepotente degli Stati Uniti in Asia e lo sviluppo di una rete di rapporti sempre più fitti con i paesi del sud-est asiatico – Vietnam e Filippine su tutti –, storicamente e strategicamente concorrenti della Cina. “Pensando di bilanciare nel mar Cinese meridionale la crescente potenza di Pechino (che ha ripetuto più volte di non avere alcuna intenzione di inglobare l’intera area entro i propri confini), Obama ha deciso che il Pacifico sarà il nuovo teatro primario per la strategia americana. Se vincerà le elezioni, nulla fa pensare che le cose cambieranno. La tensione nella regione aumenterà ancora”, dice il direttore del Centro per gli studi americani della Fudan University di Shanghai. Mitt Romney, invece, nonostante più volte nella campagna elettorale abbia accusato la Cina di manipolare da anni l’andamento della sua valuta e di violare le regole sul commercio mondiale, è l’uomo giusto per riallacciare i rapporti logorati dopo un quadriennio di incomprensioni: “Tutto quello che il candidato repubblicano ha detto in questi mesi sulla politica commerciale di Pechino ha lasciato del tutto indifferente il governo cinese”, spiega al Foglio Dingli Shen: “Usare toni forti fa parte della retorica da campagna elettorale”. Con Romney alla Casa Bianca c’è la possibilità di avviare un reset completo delle relazioni, di avviare un dialogo franco e di cooperare ovunque sarà possibile”. L’importante è che gli Stati Uniti lascino da parte le minacce ed evitino lo scontro: “Vista la situazione economica in cui versa l’America, forse converrebbe lavorare insieme per trovare una soluzione”. Pechino da sempre – fino dal 1979, anno in cui furono stabilite ufficialmente le relazioni diplomatiche con Washington – preferisce avere a che fare con Amministrazioni repubblicane, “perché come la Cina sono a favore del libero commercio, di poche regolamentazioni negli scambi e della libertà di impresa”. Tutti princìpi che si ritrovano nella “filosofia dello sviluppo” che Pechino sta portando avanti, dice Shen. E poi con Romney alla Casa Bianca ci sarebbero “meno fraintendimenti e più chiarezza. Lui usa parole forti, ha un programma che potrebbe anche essere più duro di quello dei democratici. Ma almeno è diretto e quindi non c’è il rischio di crearsi false illusioni” come accaduto nel 2008, quando Barack Obama sembrava prossimo a inaugurare una nuova èra anche nei rapporti con la Cina, salvo poi “vendere armi a Taiwan”.

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