Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/05/2011, a pag. 15, l'articolo di Elie Wiesel dal titolo " Osama era il male. Banale o no andava eliminato ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Il testamento di Bin Laden: Mai l’America sarà sicura ". Ecco i due pezzi, preceduti dal commento di Mordechai Kedar:
INFORMAZIONE CORRETTA - Mordechai Kedar : " Giustiziato in Pakistan, vivo nel Londonistan "
(Traduzione di Laura Camis de Fonseca)

Mordechai Kedar
Insegna l’autore dei proverbi: ‘ se il tuo nemico cade, non esultare; se inciampa, non permettere al tuo cuore di gioire’. È una prescrizione difficile da capire, che sembra inumana nei casi in cui la propria sopravvivenza dipende dal fallimento del nemico e dalla caduta di un Assassino determinato. Si tratta di un discorso di particolare interesse dopo l’esecuzione del Nemico Numero Uno della civiltà occidentale, che aveva dedicato la sua (considerevole) ricchezza e la sua (non meno considerevole) energia al Jihad globale per mettere in ginocchio la civiltà occidentale e imporre l’Islam all’umanità intera con la forza della spada.
Si tratta certamente di un grande successo degli americani, sia per le varie agenzie di intelligence che per i Navy Seals che hanno portato a termine la missione soltanto con intoppi minimi: può darsi che lo scopo della missione fosse la cattura di Bin Laden vivo, se non altro per aver più informazioni sull’organizzazione, e non ci voleva la perdita di un elicottero durante l’operazione. Ma è rimarchevole il fatto che non ci siano state perdite di americani in una operazione complessa, dai tempi molto veloci, contro un obbiettivo fortificato e protetto.
E’ importante sottolineare la segretezza che ha circondato tutta l’operazione. I servizi di intelligence americani hanno iniziato i preparativi lo scorso agosto, più di nove mesi fa, utilizzando vari metodi per raccogliere informazioni: fotografie aeree via satellite, droni, foto scattate da persone a terra a distanza ravvicinata e per periodi lunghi, sorveglianza degli ingressi, intercettazioni di messaggi con strumenti non convenzionali, perché le persone in quella casa non usavano telefoni né computer per comunicare. Tutti questi metodi di raccolta di informazioni sono stati usati per lunghi periodi senza destare sospetti né nel gruppo attorno a Bin Laden né nelle forze di sicurezza o nelle forze militari pachistane sospettate di collaborare con al-Qaeda. Questa è già impresa degna di lode in se stessa.
Gli americani sostengono che Bin Laden è stato ucciso e sepolto in mare, ma al momento in cui scrivo il governo americano non ha fornito immagini di conferma, e nel mondo islamico molti sono scettici. Il motivo di questa ‘sepoltura’ è evitare che la sua tomba diventi luogo di pellegrinaggio dei sostenitori, il che è logico. Ma da lungo tempo ‘Bin Laden’ non indica più una persona, un essere umano, un corpo; l’importanza della sua esecuzione non sta nel fatto che ora sia morto anziché vivo. Dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre Bin Laden è diventato un simbolo, un’idea, un faro. La sua organizzazione, al Qaeda, che fino alla fine del 2001 era una grande organizzazione gerarchica, ha cessato di esserlo dopo la caduta dell’Afghanistan, l’eradicazione del regime dei Talebani e delle strutture terroristiche create da Bin Laden e dal suo vice Ayman al-Zawahiri sotto l’egida dell’allora governatore dell’Afghanistan , il Mullah Omar.
Il concetto di Jihad globale è diventato idea diffusa fra gli Islamici ed ha messo radici nel cuore di molti, troppi musulmani in tutto il mondo. Costoro usano i mezzi di comunicazione moderni per diffondere l’idea del Jihad, che ha come scopo dichiarato il ritorno dell’umanità al settimo secolo, ai tempi di “al-Salaf al-Salih” – “gli antenati giusti”- e della prima conquista islamica, quando le tribù beduine lasciarono il deserto arabico per sottomettere le grandi civiltà dell’epoca: l’impero persiano e quello bizantino. Costoro predicano l’idea del Jihad perenne contro la civiltà occidentale basata sull’edonismo, sulla permissività, sull’individualismo e sulla soddisfazione terrena.
Viene spontaneo chiedersi come reagiranno questi jihadisti alla scomparsa del loro leader, simbolo e profeta. Per avere la risposta ascoltiamo la reazione dei loro portavoce in interviste radiofoniche pubbliche, subito dopo la morte di Bin Laden. Uno di costoro è un certo dottor Hani al-Siba’i, avvocato e direttore del Centro di Studi Storici Almaqreezi, che abita a Londra come ‘rifugiato politico’. Questo ‘rifugiato politico’ è uno dei capi dell’organizzazione per il Jihad in Egitto, condannato in contumacia a un lungo periodo di prigione. Ha approvato gli attacchi terroristici del 7 luglio 2005 a Londra, in cui l’Islam è riuscito ‘a strofinare nella polvere il naso della cultura occidentale’. Lo scorso lunedì mattina, un’ora dopo che fu annunciata l’uccisione di Bin Laden, la radio in arabo della BBC intervistò al-Siba’i, che in diretta e senza esitazioni disse (fra parentesi le mie aggiunte):
“ Mi congratulo con la nazione (islamica) perché un Leone dell’Islam è diventato Shahid (martire). Questo avvera le speranze dello Sheikh al-Mujahids’ (capo dei combattenti del Jihad), nate nel ventre del Jihad afgano, e oggi elevate in cielo, adorne dello sposalizio di un Leone dell’ Islam (con le bellezze celesti). Sì, lo Sceicco Abu Abdallah (altro appellativo di Bin Laden) attendeva questo momento ed è rimasto fedele al suo compito. Lui si erse in azione mentre gli altri se ne stavano comodi, predicò l’Islam quando i suoi figli l’avevano abbandonato. Divenne un simbolo per l’umanità intera, in Afghanistan, Indonesia, Iraq, Somalia e Nord Africa (regioni in cui le organizzazioni jihadiste sono attive). Visse una vita degna di lode e morì da martire… La gioia di chi oggi è vincente è un’illusione e presto la situazione sarà chiara. Si è trattato di tradimento: i nemici dell’Islam vengono sempre dal suo interno… Il mondo dice che questa non è una guerra contro l’Islam, ma non si sa più chi è islamico oggi, dato che (i nemici dell’Islam pensano che) si deve essere musulmani secondo i parametri americani: negare il Corano, abbandonare la tradizione del Profeta e adottare la religione dell’America per soddisfare l’America. I musulmani pensano che Bin Laden è un Martire ( che sta in paradiso e gode delle sue ricompense) e inneggiano a lui con gioia…. ( poi al Siba’i cita un poema di Albukhturi:) Non ci si stupisca se i leoni cadono sotto i denti dei cani vicini e lontani, dopo che la spada del barbaro ha ucciso (persino) Hamza e ‘Ali (eroi dell’Islam delle origini). ‘
Così parla in diretta un uomo cui l’Inghilterra – bastione della cultura occidentale - ha concesso asilo politico. Quando i musulmani ascoltano inni di lode a Bin Laden nello stile classico, glorioso, floreale e raffinato del dottor al-Siba’i, sanno che l’eliminazione di Bin Laden è soltanto una pietra miliare in un percorso lungo e difficile, ma che ha una direzione precisa. Lo scopo è chiaro e la vittoria arriderà al momento giusto.
Lo strano è che Londra, bastione della democrazia e del liberalismo, sia diventata luogo di accoglienza per i teorici del Jihad globale che aspira con tutte le sue forze alla distruzione degli Stati Uniti, alla sconfitta della civiltà occidentale, e ad imporre la cultura del deserto del settimo secolo usando sangue e fuoco, spada e kalashnikov. Gli inglesi, se ancora ci sono veri inglesi, forse sapranno perché.
Poiché dobbiamo prendere sul serio le parole del dottor al - Siba’i, dobbiamo prepararci a una nuova ondata di terrorismo, motivata dal desiderio di perpetuare il ricordo e le azioni del Martire Bin Laden. Il suo nome adornerà i futuri attacchi, e non mi stupirebbe che avvenissero in serie.
Gli Stati Uniti non sono l’unico obiettivo: sono nel mirino tutti i paesi, le organizzazioni e le istituzioni dell’Occidente e della sua cultura. Il luogo più a rischio nell’immediato è il Pachistan. Molti jihadisti pensano che il suo governo abbia collaborato con gli Stati Uniti in questa operazione, così come nella guerra contro al Qaeda ed i Talebani in Afghanistan, e non credono alle smentite che arrivano da entrambe le parti.
Non dobbiamo chiederci se ci sarà un grosso attacco in risposta, ma quando avverrà, dove avverrà, con che metodo e quante persone verranno sacrificate non soltanto nel primo ma anche in negli attacchi successivi. Non dobbiamo illuderci: anche se passa una settimana, un mese, o persino un anno senza una reazione su vasta scala, paragonabile all’11 settembre, l’Occidente deve sapere che da qualche parte - a Kandahar o a Londra, a Islamabad o a New York – qualcuno pianifica la prossima tragedia nei minimi dettagli, prepara tutto il necessario perché le uccisioni abbiano importanza pari all’esecuzione del Capo dei Mujahidin Osama Bin Laden.
Dobbiamo far attenzione soprattutto alle armi non convenzionali fatte in casa, agli esplosivi e ai veleni fabbricati con facilità usando prodotti liberamente in vendita come i pesticidi, i fertilizzanti e alcune medicine. Dobbiamo avere controlli di sicurezza sui siti rischiosi, come i depositi di sostanze tossiche, perché un attacco a tali siti può disseminare queste sostanze nei centri abitati circostanti.
I servizi di sicurezza in occidente debbono vigilare di più su quanto si dice e si fa nelle moschee, perché l’esperienza ci dice che più di una organizzazione jihadista è stata formata da fedeli venuti per pregare, che hanno poi perseguito il cammino del Jihad. Coloro che viaggiano regolarmente fra l’Europa e il Pachistan, o passano lunghi periodo nel luogo d’origine in Pachistan, è facile che tornino in Inghilterra o in Occidente con idee pericolose, e con le conoscenze e la preparazione per attuarle.
Ma soprattutto occorre porre fine allo strano fenomeno per cui i jihadisti trovano rifugio sicuro proprio nei paesi che vogliono distruggere e nelle società di cui vogliono cambiare il carattere. In Inghilterra cresce d’intensità la discussione sulle leggi della sharia, man mano che quegli Inglesi che temono la rovina dell’immagine della società inglese, già offuscata dalla politica del multiculturalismo, scoprono che un gruppo di immigrati domina l’arena politica. Il colonialismo post-moderno agisce in direzione opposta: non è più l’Inghilterra a governare il Pachistan, ma il Pachistan a controllare l’Inghilterra.
L’Egira - l’ emigrazione – fu il sistema usato da Maometto, Profeta dell’Islam, per portare l’idea dell’Islam nella città di Medina, ed i suoi contemporanei usarono lo stesso metodo migrando in altri paesi: non ci fu soltanto conquista territoriale con la spada, ma infiltrazione mirata ad ottenere il controllo della cultura, dell’economia, della legge, del governo e della vita pubblica.
Dobbiamo fare attenzione a un’altra persona: allo Sceicco Anjem Choudary, predicatore a Londra, che vuol fare dell’Inghilterra un Califfato Islamico e considera la democrazia, i diritti e le libertà idoli da distruggere. Bin Laden con i suoi metodi, Hani al-Siba’i con le sue parole e Sheikh Anjem Choudary con le sue prediche sono facce diverse della stessa medaglia jihadista.
L’eliminazione di Bin Laden non ha eliminato le idee diffuse da al-Siba’i, Choudary e simili in troppe città d’ Europa e degli Stati Uniti. Al contrario ha dato loro più forza ed ha dato ai jihadisti più determinazione. Finchè persone come Hani al-Siba’i e Sheikh Anjem Choudary saranno attivi in occidente, lo spirito del Jihad globale sarà vivo e vegeto nella società occidentale. Bin Laden è riuscito ad esportare il jihad, e lo spirito del jihad prospera dove la cultura occidentale dorme anziché vigilare. Le idee di Choudary e al-Siba’i non sono meno pericolose degli aeroplani che si schiantano contro le torri di uffici.
Se il tuo nemico cade, non esultare, ma accertati che non viva ancora nelle parole e nei sermoni dei suoi seguaci.
Mordechai Kedar fa parte del Centro Studi sul Medio Oriente e sull’Islam della Università Bar Ilan, Israele. Collabora a Informazione Corretta
CORRIERE della SERA - Elie Wiesel : " Osama era il male. Banale o no andava eliminato "

Elie Wiesel
Quando si è diffusa la notizia dell’uccisione di Osama Bin Laden, il mondo intero ha applaudito gli eroici soldati americani e di colpo la gente si è sentita più sicura. In molte città statunitensi, folle festanti sono scese a ballare nelle strade. La stragrande maggioranza della popolazione ha esultato, al punto che alcuni hanno sollevato l’interrogativo se fosse stato corretto trasmettere alcune scene del raid su tutte le reti televisive. Amio avviso, le reazioni di giubilo sono comprensibili. Dopo tutto, Osama Bin Laden si è reso responsabile di un gran numero di orrendi attentati terroristici in tante città del mondo. Che fosse diventato l’incarnazione, come alcuni opinionisti hanno suggerito, della banalità del male? La frase era stata coniata da Hannah Arendt per descrivere Adolf Eichmann. Dobbiamo desumere che Bin Laden sia stato suo emulo e discepolo? A un certo livello, forse. Dopo tutto, non vi è nulla di più banale dell’omicidio. In ogni democrazia, è facile — sin troppo facile— per chiunque voglia attentare alla vita altrui raggiungere il suo scopo. Non occorre altro che pazienza, armi e complici. Non c’è stato bisogno di nessun genio per addestrare gli attentatori suicidi della strage dell’ 11 settembre. L’orrore di quella tragedia ha dimostrato che il mondo è costantemente in pericolo e quanto poco si possa fare per fermare coloro che non intendono semplicemente morire, quanto soprattutto uccidere. E per ingigantire le dimensioni della strage, costoro scelgono di morire assieme alle loro vittime. Per questo ci si è convinti che sia impossibile fermare gli attentatori suicidi e che i loro massacri dovrebbero essere bollati come «crimini contro l’umanità» . Era giusto eliminare Bin Laden? Per principio sono contrario alla pena capitale, ma non nel caso di Bin Laden. Ed è qui che occorre richiamarsi al caso Eichmann. Proprio come Israele seppe adottare quell’unica volta la decisione di giustiziare Eichmann per il ruolo svolto nello sterminio di milioni di ebrei europei, la morte di Bin Laden deve anch’essa essere considerata come un’eccezione alla regola. Non saprei dire se il suo comportamento sia stato banale, a meno che non si voglia affermare, a prescindere dalle conseguenze, che il male è sempre banale. Ma che egli fosse un uomo malefico, sono certo che nessuno potrebbe esprimere alcun dubbio a riguardo.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Il testamento di Bin Laden: Mai l’America sarà sicura "

Maurizio Molinari
L’ ultima minaccia da Osama Bin Laden arriva con un audio che Al Qaeda diffonde ad una settimana dalla sua morte al fine di recapitare un messaggio di morte all’America di Barack Obama. «Voi americani non sarete mai in grado di sognare di vivere in sicurezza fino a quando noi non vivremo in sicurezza in Palestina», afferma Bin Laden, sostenendo che «è ingiusto che voi possiate vivere in pace mentre i nostri fratelli a Gaza non hanno sicurezza». Da qui la minaccia: «Per volere di Allah, i nostri attacchi contro di voi continueranno fino a quando sosterrete Israele». Non è chiaro quando Bin Laden abbia registrato il messaggio ma i riferimenti a Gaza lasciano supporre che possa essere legato al recente rafforzamento nella Striscia delle attività dei gruppi jihadisti seguaci di Al Qaeda avversari della leadership di Hamas. Ciò che conta per Al Qaeda, è che l’audio è «indirizzato al presidente Barack Obama» e dunque deve essere inteso come un testamento di guerra di Bin Laden ai seguaci per incitarli a continuare la Jihad contro «ebrei e crociati» proclamata nel 1998.
Quella dichiarazione di «guerra santa» venne redatta assieme ad Ayman al Zawahiri, l’ideologo della Jihad egiziana divenuto suo numero due che adesso gli Stati Uniti considerano il probabile erede ai vertici di Al Qaeda. «Al Zawahiri sarà il prossimo numero uno dei terroristi e gli stiamo dando la caccia nel mondo - ha dichiarato il consigliere per la sicurezza Tom Donilon intervenendo ai talk show tv - anche grazie alle informazioni trovate nella residenza di Bin Laden, si tratta della maggior quantità di intelligence sui terroristi mai rinvenuta in una singola località». Dagli esami condotti «siamo arrivati alla conclusione che la villa di Abbottabad era il quartier generale di Al Qaeda» e dunque Pentagono e intelligence intendono «sfruttare tali informazioni per continuare a perseguire l’obiettivo di distruggere, smantellare e sconfiggere Al Qaeda». John Kerry, presidente della commissione Esteri del Senato, si spinge fino a prevedere che «grazie alle informazioni trovate ad Abbottabad possiamo arrivare a schiacciare Al Qaeda».
Barack Obama invece nell’intervista che 60 Minutes della Cbs ha mandato in onda in tarda serata solleva la questione dei rapporti con il Pakistan. «Riteniamo che Bin Laden abbia goduto di un network di sostegno in Pakistan», afferma Obama, facendo proprie le valutazioni della Cia, precisando però che «non sappiamo chi e cosa compone questo network, e se include persone dentro o fuori il governo» ma si tratta di una questione sulla «quale dobbiamo indagare e ancora più importante è che il Pakistan indaghi» perché «è sorprendente che sia stato lì per almeno 5 anni». È la prima volta in sette giorni che Obama chiama in causa l’alleato di Islamabad, al quale dà atto di «dimostrato interesse a scoprire il network di Bin Laden», senza premere sui tempi: «Non sono domande alle quale si può rispondere in 3 o 4 giorni, avremo bisogno di tempo per sfruttare le informazioni che abbiamo raccolto in luogo». In concreto ciò significa che Washington ha chiesto a Islamabad di lavorare assieme sull’analisi del materiale trovato ad Abbottabad, al fine di gestire un’inchiesta congiunta per identificare l’identikit della rete di sostegno grazie alla quale Bin Laden è riuscito a vivere indisturbato per molti anni. Nell’intervista concessa dopo il blitz di Abbottabad, Obama ammette che è «stata una decisione difficile» ordinare l’operazione perché «non avevamo la certezza assoluta sul fatto che Bin Laden fosse lì» ma rivendica la scelta compiuta perché «era importante fare giustizia» e ha segnato «uno dei momenti di maggior soddisfazione della mia presidenza». «Uno dei motivi del successo - ha aggiunto - è che siamo riusciti a tenere il segreto» neanche Michelle ha saputo cosa stava per avvenire.
Ad aumentare le pressioni Usa sul Pakistan è arrivata la richiesta del Pentagono di poter interrogare le tre mogli di Bin Laden che al momento di trovano in un carcere di Rawalpindi. Ma l’ex ministro della Difesa Donald Rumsfeld suggerisce prudenza: «I pakistani in questi anni hanno fatto molto, a volte cooperando apertamente altre in silenzio, sono una nazione musulmana, hanno le atomiche, hanno problemi con l’India e dobbiamo riconoscere la complessità delle nostre relazioni».
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