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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Informazione Corretta - Libero - Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
31.10.2010 E' al Awlaki il mittente dei pacchi bomba contro le sinagoghe di Chicago
Cronache e commenti di Piera Prister, Carlo Panella, Guido Olimpio, Massimo Gaggi, Francesco Semprini

Testata:Informazione Corretta - Libero - Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Piera Prister - Carlo Panella - Guido Olimpio - Massimo Gaggi - Francesco Semprini
Titolo: «Al Awlaki e’ il mittente dei pacchi-bomba spediti a due sinagoghe di Chicago - Gli 007 fanno miracoli, ma i kamikaze colpiranno presto - Arrestata una ragazza yemenita: Ha spedito lei i pacchi bomba - Barack nella sua Chicago ora bersaglio di Al Qaeda»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 31/10/2010, a pag. 16, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Arrestata una ragazza yemenita: Ha spedito lei i pacchi bomba ", a pag. 17, l'articolo di Massimo Gaggi dal titolo " Barack nella sua Chicago ora bersaglio di Al Qaeda ". Da LIBERO, a pag. 19, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Gli 007 fanno miracoli, ma i kamikaze colpiranno presto ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo "  Al-Awlaki, l’imam del terrore che recluta jihadisti su Facebook ". Pubblichiamo il commento di Piera Prister dal titolo " Al Awlaki e’ il mittente dei pacchi-bomba spediti a due sinagoghe di Chicago ".
Ecco i pezzi:

INFORMAZIONE CORRETTA - Piera Prister : " Al Awlaki e’ il mittente dei pacchi-bomba spediti a due sinagoghe di Chicago "


Piera Prister

Per tutta la giornata del 29 ottobre, anche se era una giornata lavorativa, gli Americani non si sono allontanati  dalle  televisioni e dalle radio che trasmettevano per ore ed ore, in diretta,  la storia dei pacchi postali sospetti, lasciati li’ sulle piste degli aeroporti nazionali e internazionali. Erano diversi pacchi, ma solo due, contenevano esplosivo che, partiti dallo Yemen, avevano come destinatarie, due sinagoghe di Chicago. Piccoli pacchi che sembravano innocenti ma che hanno allertato gli operatori  di Homeland Security Department, poliziotti e artificieri,  giornalisti ed esperti di terrorismo. Si parlava solo di esplosivo ma si intuiva la possibilita’ che quei pacchetti contenessero armi batteriologiche o chimiche quando  abbiamo visto gli esperti, avvolti in tuta di amianto con sensori  in mano che  li esaminavano attentamente.  Non tutti gli spettatori erano pero’convinti della gravita’ degli eventi,  pensavano piuttosto ad una montatura dovuta alla propaganda elettorale.  Poi, alla fine della giornata, abbiamo ascoltato il discorso alla nazione del presidente Barack Obama, che ha confermato che quei pacchi contenevano bombe ed erano diretti a due sinagoghe di Chicago.

Strano che i terroristi yemeniti abbiano scelto questa data, la vigilia delle elezioni di mid-term per il rinnovo del Congresso Americano. Perche’? Dietro c’e’ la master-mind  di Anwar al-Awlaki, un terrorista ricercato dall'amministrazione americana e incluso nella lista nera di persone da eliminare.  Era un imam di una moschea, a San Diego in  California, nato negli Stati Uniti nel 1971 da genitori yemeniti, colti e benestanti, suo padre e’ stato ministro dell’Agricoltura in Yemen e ha lavorato qui, negli Stati Uniti negli anni settanta. Lo stesso Awlaki e’ stato alfabetizzato bene al computer dal padre, ha due cittadinanze, parla perfettamente Arabo e Inglese, e’ ben istruito, ed e’ un abile e pericoloso reclutatore di aspiranti terroristi persino su Internet, fra quanti nutrono odio verso l’America e Israele.

 Non solo, ma e’ egli stesso che mesi fa ha emesso su Internet una fatwa, ossia l’ordine di assassinare  la vignettista Molly Norris del Seattle Magazine perche’ aveva avuto l’idea di mettere su Facebook , “Everybody draw Mohammed”, un appello a disegnare il profeta. Molly nel frattempo su consiglio dell’FBI, si e’ dileguata come un fantasma –she went ghost- la sua vita e’ stata sconvolta, solo perche’ pensava che la solidarieta’ del “disegnamolo tutti, cosi’ non potranno colpirci” fosse un’arma vincente.  Ma la cosa non e’ andata cosi’.

  Anwar al-Malaki era stato arrestato subito dopo l’11 settembre e rilasciato inspiegabilmente, anche se avesse avuto pendenti, diversi capi di imputazione, ma una volta a piede libero, era ritornato in Yemen e da li’ s’era messo in contatto con tre terroristi: il maggiore Nidal Hasan, lo psichiatra “folle” che   sparo’ all’impazzata e uccise 13 commilitoni a Fort Hood in Texas;  il bombarolo dalle mutande fumanti bloccato dal personale di volo, sull’aereo di Natale diretto a Detroit; e il terrorista che aveva imbottito di tritolo un’auto parcheggiata in Time Square a New York. In tutti e tre i casi gli attentatori erano in collegamento con il terrorista americano di origini yemenite.

Anwar al-Hawlaki e’ una grande minaccia come lo e’ stato Bin-Laden, anzi a tutti gli effetti si presenta come il suo erede, tanto che su ordine del governo americano pende sulla sua testa una taglia, una condanna a morte, chiamiamola una fatwa come l’ha definita Daniel Pipes che e’ stato tra i giornalisti americani famosi, l’unico che ha scritto  un brillante articolo su Molly, pubblicato il 4 ottobre sul Washington Times e intitolato, “Dueling  Fatwas”, mentre la vignettista e’ stata ignorata da tutti e da nessuno difesa. In 250 anni questa e’ la prima volta che gli Stati Uniti hanno emesso una condanna a morte contro un cittadino senza regolare processo.

 Ne e’ sorto un contenzioso legale in atto in cui sono coinvolti studiosi di diritto, giudici e scholars in quanto il padre di Malaki si’ e’ costituito parte civile in un processo contro il governo americano che a norma della legge Miranda –Miranda Law- a difesa dell’imputato, non puo’condannare a morte un cittadino  prima di un regolare iter giudiziario. Ma e’ venuto fuori che il governo americano vuole modificare tale legge, come si legge su Washington Post, 10 maggio 2010 in un articolo di Anne E. Komblut, “Obama administration looks into modifying Miranda Law in the age of terrorism”.

Ma Obama non ha mai pronunciato  la parola “terrorismo”.

LIBERO - Carlo Panella : " Gli 007 fanno miracoli, ma i kamikaze colpiranno presto "


Carlo Panella

Ancora un attentato, anzi, molti attentati, sventati all’ultimo momento. Ancora lo stesso esplosivo sintetico - la pentrite - che nascosto nelle mutande di Farouk Abdulmutallab (figlio di un miliardario nigeriano) doveva fare esplodere il Natale scorso l’aereo della linea Amsterdam- Chicago. Ancora una nuova, insidiosa, tecnica d’attacco: decine di bombe di fattura più che sofisticata, spedite per posta via cargo, il trasporto aereo di merci mai ancora sottoposto e controlli e peraltro difficilissimo da controllare per via del contenuto metallico ed elettrico di infinite merci contenute nelle migliaia di tonnellate che ogni giorno viaggiano nei container (un comunicato della polizia di Dubai chiarisce che il dispositivo esplosivo intercettato “era preparato in modo professionale, con un circuito elettrico collegato alla Sim di un cellulare nascosta nella stampante”). Ancora per obbiettivo gli ebrei - non gli israeliani, gli ebrei - perché due dei pacchi esplosivi intercettati a Londra e negli Usa erano stati spediti a due sinagoghe di Chicago (la città di Obama) e sarebbero esplosi con effetti disastrosi non appena aperti. Infine, ancora Anwar al Awlaki, nato negli Usa, capo delle cellule di “al Qaida della penisola arabica”. La serie degli attentati evitati all’ultimo momento negli ultimi mesi è impressionante e - si badi bene - non risparmia nessuno, perché uno dei più gravi, fallito solo per caso, ha colpito Milano, col tentativo di Mohammed Game (frequentatore della moschea di viale Jenner) di fare saltare in aria la caserma Santa Barbara. L’unica notizia buona della frenetica notte tra venerdì e sabato è che gli attentati sono stati sventati grazie ad una soffiata arrivata ai servizi segreti con ogni probabilità grazie ad un infiltrato in al Qaida. Ieri Obama ha telefonato a Cameron per complimentarsi per l’azione perfetta dei servizi inglesi nello sventare il complotto terroristico che è stato smantellato ieri a partire dall’aeroporto East Midlands di Dubai (dove pare siano stati intercettati ben 26 plichi esplosivi spediti attraverso la compagnia FedEx). Eccellente conferma che il network internazionale messo in campo contro il terrorismo questa volta ha funzionato e soprattutto che anche i paesi arabi (pare che l’allarme originale sia venuto dal Mukabarat, il servizio segreto saudita) sono allertati e efficienti. Ma così non era stato nelle altre occasioni recenti, in cui il disastro è stato evitato solo grazie al puro caso, incluso l’attacco devastante a Times Square. Ieri anche la Francia, dopo gli Usa e la Gran Bretagna, ha completamente sospeso il traffico merci con lo Yemen, ma è solo una misura temporanea. Il New York Times ieri rilevava come il 100% dei controlli sia unicamente riservato al traffico aereo passeggeri, per contrastare l’arma dei kamikaze. Ma è chiaro che ora si deve voltare pagina e anche che al Qaida ha trovato il modo di creare un immenso danno. Approntare un servizio capillare di controllo sul trasporto aereo di merci è impresa ciclopica, lenta e costosissima. Ai limiti dell’impossibile se di dovesse - e si dovrà - estendere il controllo al traffico di container per nave. Infine - ma non per ultimo - va rilevata purtroppo la eccellente intelligenza politica dei terroristi islamici. Fare strage in due sinagoghe ebraiche della città natale di Obama i giorni precedenti le elezioni di Mid Term, avrebbe significato portare a segno un colpo più che umiliante per il presidente degli Stati Uniti. Per ora il piano è fallito. Ma solo per ora.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Arrestata una ragazza yemenita: Ha spedito lei i pacchi bomba "

Pacchi bomba, una donna arrestataLondra: 'L'ordigno poteva esplodere'
Uno degli ordigni camuffato da cartuccia per stampanti

WASHINGTON — Più veloci della luce, gli yemeniti hanno annunciato una svolta nell’inchiesta sui pacchi bomba. La polizia ha arrestato una donna che avrebbe spedito le cartucce di toner che nascondevano gli ordigni. È stata tradita dal numero di telefono lasciato su una ricevuta. Sequestrati, in una distinta operazione, 26 colli sospetti — notizia poi smentita — e sotto torchio alcune persone. Gli Usa sono alla caccia di 13 pacchi che forse nascondono bombe simili a quelle già intercettate in Gran Bretagna e negli Emirati.

Con l’arresto lo Yemen ha voluto dimostrare di non aver bisogno dell’aiuto Usa e ha risposto a un’offerta americana con un «non vogliamo interferenze». Il fermo della presunta terrorista — 20 anni, studentessa di medicina, viveva in un quartiere popolare ed è stata portata in caserma insieme alla madre — è stato accompagnato da uno show di forza. Bisognerà capire la fondatezza delle accuse, anche se i qaedisti yemeniti sono noti per usare le donne anche sul piano operativo. Wafa Al Shihri, moglie di uno dei capi, ha partecipato all’organizzazione dell’attentato contro il principe saudita Nayef. Inoltre è diventata una testimonial sul web. Hayla Al Qasir, catturata dalla polizia, ha invece svolto un ruolo nella raccolta di denaro.

Gli investigatori negli Emirati e quelli britannici hanno confermato che i pacchi inviati tramite Ups e FedEx potevano creare danni seri. «Riteniamo che dovessero esplodere sull’aereo — ha confermato il premier inglese Cameron — Ma non sappiamo dove e quando». Un’indicazione che sembra superare la teoria che le cartucce fossero solo una prova. Gli ordigni — definiti «sofisticati» — erano composti da Petn (pentrite), circuiti elettrici e un orologio a fare da timer. Interessanti anche i percorsi dei pacchi. Il primo: Sanaa (Yemen), Doha (Qatar) su un jet della compagnia locale, Dubai. Il secondo: Sana’a, Colonia, East Midlands (Gran Bretagna) su un jet Ups. Il transito a Colonia ha attirato l’attenzione degli inquirenti. Era diretto nella città tedesca anche il jumbo Ups precipitato a Dubai il 3 settembre. Un incidente causato, in apparenza, da un incendio a bordo. I primi accertamenti hanno ipotizzato che il fuoco sia scoppiato nelle stive in una partita di batterie al litio. Ora si esplora anche la pista terroristica.

C’è preoccupazione per la sicurezza degli aerei cargo perché non sono abbastanza protetti. Esistono delle regole che tuttavia non sono adottate in modo stringente. Le verifiche variano a seconda dei Paesi. Senza dimenticare le dimensioni del traffico: solo Ups e FedEx muovono ogni giorno qualcosa come 20 milioni di «pezzi». Aggi ungere ulterior i misure può significare altri costi. Nell’emergenza ci si arrangia. Francia e Gran Bretagna hanno bloccato il traffico di merci per via aerea in provenienza dallo Yemen. L’Italia sta per farlo. Washington intensifica le consultazioni per rispondere a quella che ritiene una minaccia su vasta scala progettata da Al Qaeda. Per questo Obama ha ringraziato i sauditi che hanno fornito le informazioni per individuare gli ordigni. Vigilanza attorno alle sinagoghe di Chicago dove erano indirizzati i pacchi. Una delle responsabili ha raccontato di aver avuto qualche sospetto dopo che il sito del tempio è stato «visitato» 83 volte dall’Egitto.

CORRIERE della SERA - Massimo Gaggi : " Barack nella sua Chicago ora bersaglio di Al Qaeda "


Chicago, l'interno della sinagoga Anshe Emet

CHICAGO (Illinois) — Soffia un vento teso sulla sinagoga Anshe Emet (obiettivo di una delle bombe confezionate in Yemen), sui ragazzi mascherati che invadono la città per festeggiare con un giorno d’anticipo la «notte dei morti viventi» e anche su Barack Obama, tornato a parlare in pubblico nella sua città per la prima volta dopo due anni. Lo accoglie una folla affettuosa ma più ridotta e meno entusiasta rispetto alle attese. Quella tiepida sera del novembre 2008 nel Millennium Park — la festa della vittoria del primo presidente nero della storia americana celebrata in uno strano clima primaverile — è, ormai, un ricordo lontano. Anche sulle rive del lago Michigan la «grande recessione» ha spazzato via l’entusiasmo. Al suo posto si respira rassegnazione, più che i sentimenti antiobamiani ormai diffusi in altre parti d’America. Spariti i venditori di «memorabilia» di Barack, che un tempo riempivano le strade, sfiancata da una campagna elettorale durissima col candidato repubblicano Mark Kirk che, stando ai sondaggi, ha ottime possibilità di soffiare al democratico Alexi Giannoulias il seggio senatoriale che fu di Obama, «Windy City» ha cercato di esorcizzare i suoi problemi: nonostante gli sforzi di «Moving America Forward» e dei nuclei democratici della University of Chicago per portare al comizio di Obama (con annesso concerto del rapper Common) qualche decina di migliaia di giovani, i ragazzi della metropoli hanno preferito in grande maggioranza allungare la volata di Halloween. Una serata trascorsa sciamando nelle strade in costume, cavalcando in carovana le loro bici, spesso con agganciati dietro piccoli rimorchi per i barilotti di birra.

Un’allegria che serve ad esorcizzare, oltre alla recessione, i brividi di paura per gli attentati sventati: in America la cultura «liberal» domina lungo il Pacifico e nel Nord Est affacciato sull’Atlantico, ma è merce rara nell’interno. L’unica, grande eccezione è proprio Chicago: metropoli progressista, cosmopolita, città della cultura, delle architetture più ardite, della trasgressione. Che ora si ritrova improvvisamente nel mirino di Al Qaeda, decisa a colpire le sue sinagoghe e che ha preso di mira soprattutto quella «riformata» che ospita gruppi ebraici di varie tendenze, compresa Or Chadash, una piccola comunità alla quale aderiscono un centinaio di gay, lesbiche, bisex e transessuali, tutti accomunati dalla fede ebraica.

«È triste pensare di essere dei bersagli e che questo possa diventare la nostra normalità», diceva ieri mattina il rabbino Michael Zedek parlando coi giornalisti, tra una lezione di Torah e una cerimonia religiosa. Con la porta dei locali di Or Chadash sprangata (non si è fatto vedere nessuno del gruppo, nonostante il giorno di «shabbat»), Zedek, gentilissimo e paziente, ci ha fatto girare ovunque in questo centro della Emanuel Congregation del North Side di Chicago, dieci miglia dal centro, affacciato sul lago: una costruzione bassa e molto vasta, circondata da un prato con la sinagoga, le sale per intrattenere i bambini, il refettorio, varie aule, la biblioteca, un grande spazio per i ricevimenti. Tutto riempito, in questa giornata di sole, dalla luce accecante che rimbalza dal lago attraverso le grandi vetrate che foderano tutto l'edificio. Attorno al quale non c'è alcun recinto: un luogo totalmente indifendibile.

Gli ebrei di questa piccola comunità di Chicago non si erano mai sentiti minacciati ma tre settimane fa era successo un fatto che aveva suscitato qualche allarme. Racconta Ricky Jacobs — una donna di mezza età vestita di nero che assiste il rabbino e gestisce il sito web della congregazione — che in poche ore il sistema aveva registrato ben 83 contatti, tutti provenienti da uno stesso indirizzo. Ricky aveva chiesto alla polizia se era possibile individuarne la provenienza. «Mi hanno detto che venivano dal Cairo, ma che non c’era da preoccuparsi perché quello, probabilmente, era solo uno snodo di transito. Adesso prendono la cosa un po' più sul serio».

Così, mentre nella sinagoga del North Side e nell’altra di Lakewood, seconda possibile destinataria dei pacchi-bomba, si comincia a discutere di come regolarsi in futuro per quanto riguarda la sicurezza, Obama è sbarcato nella sua Chicago con in tasca un discorso parzialmente diverso da quello originariamente preparato.

Un vero «ritorno a casa», quello del presidente, che ha scelto per il suo comizio un prato di Hyde Park, a due passi dalla sua abitazione al 5046 di South Greenwood Avenue. Proprio davanti alla sua dimora, tra l’altro, sorge un altro grosso centro ebraico, la KAM Isaiah Israel Congregation. Che, tiene a sottolineare l'Fbi, non figura tra i potenziali obiettivi dei terroristi che sono stati scoperti.

Obama aveva scelto questo parco del suo quartiere per chiudere idealmente la sua campagna elettorale e cercare di sostenere i candidati democratici. Venuto per scuotere una città ripiegata su sé stessa per effetto di una crisi occupazionale che sembra non avere fine, si è, insomma, trovato all’improvviso a dover anche rassicurare gente spaventata dalla nuova minaccia.

Paradossalmente, comunque, i pacchi-bomba possono essere d'aiuto alla sua campagna. Fin qui la strategia dei repubblicani è stata quella di focalizzare tutte le discussioni sullo stato dell’economia — il tema sul quale la Casa Bianca è più vulnerabile — ignorando totalmente i temi etici, quelli della sicurezza e la guerra in Afghanistan: argomenti di fatto spariti dal radar dei dibattiti elettorali e sui quali, del resto, i conservatori non hanno troppi argomenti per criticare Obama.

Con gli attentati sventati, ora il presidente rimette la sicurezza sotto i riflettori e può dimostrare che sotto la sua gestione i servizi segreti hanno ricominciato a funzionare come si deve dopo gli sbandamenti dell’era Bush-Cheney: quella dell’impreparazione davanti agli attacchi dell’11 settembre e delle informazioni fasulle sulle armi di distruzione di massa di Saddam, costate all’America una guerra, quella contro l'Iraq, sbagliata e disastrosa. Ossigeno anche per Giannoulias, fin qui schiacciato dalla pubblicità martellante dei repubblicani e delle organizzazioni fiancheggiatrici come la Crossroads di Karl Rove, lo stratega delle vittorie elettorali di Bush, che hanno bombardato l'Illinois con le loro pubblicità televisive: centinaia di «spot» nei quali si mette in dubbio l’integrità dell’ex tesoriere dell’Illinois al quale viene contrapposta la carriera di impeccabile «servitore dello Stato» di Kirk. Ma lui era alla Casa Bianca nei giorni «caldi» in cui montava il caso dell'arsenale-fantasma di Saddam. Fin qui ha sempre minimizzato, accantonando l’ argomento: «Abbiamo subito i comportamenti fuorvianti della Cia; c'è chi, come l'ex vicecapo McLaughlin, siè comportato in modo scorretto». Adesso minimizzare diventa molto più difficile.

La STAMPA - Francesco Semprini : " Al-Awlaki, l’imam del terrore che recluta jihadisti su Facebook "

Undici settembre, Fort Hood, Northwest 253, Times Square e spedizionieri esplosivi. C’è un filo conduttore che lega questi e altri episodi del terrorismo islamico, il suo nome è Anwar al-Awlaki, il cittadino yemenita-americano considerato punto di riferimento per le nuove leve dei jihadisti, la mente della nuova strategia qaedista di attacco all’America. Nato il 22 aprile 1971 a Las Cruces, in New Mexico, da genitori di origine yemenita, al-Awlaki vive i suoi primi sei anni negli Usa e nel 1978 si trasferisce a Sana’a, la capitale dello Yemen, dove il padre, brillante economista con dottorato negli States, ricopre l’incarico di ministro dell’Agricoltura e rettore della principale università pubblica. Terminato il liceo, nel 1991 Anwar torna negli Usa per frequentare la facoltà di ingegneria alla Colorado State University prima, e specializzarsi in insegnamento ed educazione nell’Ateneo di San Diego dopo.
E’ in questi anni che si avvicina al fondamentalismo islamico iniziando l’opera di proselitismo nell’ambito della Muslim Student Association. Secondo l’Fbi era proprio in questi circoli che si vantava di aver frequentato per un mese i campi di addestramento dei mujaheddin afghani diretti al fronte contro i sovietici. La formazione dottrinale di al-Awlaki, considerato un fondamentalista wahabita, si basa tuttavia su una frequentazione discontinua di circoli e ambienti religiosi, dove sviluppa sin da giovane una capacità comunicativa molto penetrante. Sono in molti a descrivere le inconfutabili qualità di leader dal piglio carismatico, con una particolare abilità nell’uso dei mezzi moderni come i social network. Grazie ai suoi forum su Facebook e ai messaggi su YouTube guadagnerà l’appellativo di Osama bin Laden del pianeta Internet.
La sua permanenza negli Usa dura sino al 2002, perché dopo un anno di indagini il suo nome viene ricollegato agli attentati dell’11 settembre 2001. Divenuto imam, al-Awlaki organizza lezioni e circoli dottrinali e alcuni dei suoi discepoli costituiranno poi il commando di dirottatori. Con due di questi, Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdar, stringe un legame particolare, è la loro guida spirituale. Alla fine del 2002 lascia gli Usa a causa del clima di «paura e intimidazione», e si trasferisce a Londra dove, di fronte a platee di almeno 200 giovani, invita a «non credere mai in chi non è musulmano perché capace di cospirare contro la religione islamica giorno e notte».
E’ costretto due anni più tardi a lasciare anche il Regno Unito e si trasferisce in Yemen dove vive nel villaggio di Shabwa con sua moglie e cinque bambini. E’ lì che inizia la sua più intensa attività di proselitismo, tanto da diventare nel giro di pochi anni un punto di riferimento importante per la galassia jihadista. Diviene un «operational recruiter», si occupa del reclutamento e della formazione spirituale e materiale di militanti. E’ talmente abile e pericoloso che Obama ad aprile di quest’anno firma il suo mandato di cattura e di eliminazione facendolo diventare il primo cittadino americano sulla lista speciale stilata dalla Cia.
A lui sono legati tutti i fatti di terrorismo che hanno riguardato gli Usa negli ultimi due anni. Nidal Malik Hasan, il militare di Fort Hood in Texas che il 5 novembre 2009 ha aperto il fuoco uccidendo 13 persone, aveva avuto un fitto scambio di email con l’imam americano-yemenita. Umar Farouk Abdulmutallab, il giovane nigeriano che nel giorno di Natale voleva far saltare in aria il volo Amsterdam-Detroit, era stato addestrato da al-Awlaki. Anche Faisal Shahzad, il terrorista del fallito attentato di Times Square, ha rivelato di essere stato ispirato da al-Awlaki, con il quale avrebbe avuto qualche sporadico contatto su Internet. Il suo nome infine è stato tra i primi a spuntare fuori dopo il ritrovamento dei pacchi esplosivi: entrambi provenienti dallo Yemen e spediti dalla stessa persona.

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