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Informazione Corretta - il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
10.08.2010 Tony Judt, biografia di un odiatore
Il commento di Angelo Pezzana smentisce la descrizione annacquata di Giuseppe Berta

Testata:Informazione Corretta - il Sole 24 Ore
Autore: Angelo Pezzana - Giuseppe Berta
Titolo: «Tony Judt, biografia di un odiatore - Judt, dalla storia la forza polemica»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 10/08/2010, a pag. 20, l'articolo di Giuseppe Berta dal titolo " Judt, dalla storia la forza polemica ".
La descrizione di Tony Judt fatta da Giuseppe Berta è edulcorata, per questo la facciamo precedere dal commento di Angelo Pezzana dal titolo " Tony Judt, biografia di un odiatore ".
Ecco i due pezzi:

INFORMAZIONE CORRETTA - Angelo Pezzana : " Tony Judt, biografia di un odiatore "


Angelo Pezzana

Più che per i suoi libri, largamente incentrati sulla storia francese, Tony Judt era conosciuto in Italia come polemista anti americano e nemico dichiarato di Israele, essendo la parola 'critico' del tutto insufficiente a definirne la virulenza priva di mezze misure. L'essere poi anche ebreo, rendeva le sue tesi ancora più discutibili. E' morto a 62 anni a New York, dove insegnava alla NY University, a causa del morbo di Gehrig. Come altri intellettuali ebrei, Judt era affetto da un altro morbo, non mortale, ma egualmente devastante, l'antisionismo, che,si sa, è parente strettissimo dell'antisemitismo, che l'aveva portato su posizioni che è corretto definire di odio estremo, non solo verso Israele ma anche nei confronti dell'ebraismo in generale. Negava allo Stato ebraico il diritto di rappresentare gli ebrei di tutto il mondo, dimenticando che la tragedia immane della Shoah è stata possibile perchè Israele non esisteva ancora come Stato, con gli ebrei d'Europa di fatto prigionieri dei paesi nei quali vivevano. Ignora che gli ebrei, nella loro storia bimillenaria, sono sempre stati un facile capro espiatorio perchè senza potere e quindi senza difesa.

Che Israele abbia cancellato questa condizione di debolezza, sembra non contare nulla per Judt, che  vede invece nel sionismo il responsabile della rinascita dell'antisemitismo.

Curioso, per un esperto come lui di storia francese, non avere capito nulla dell'affare Dreyfus, un esempio classico di come un ebreo assimilato, per di più nel paese simbolo dell'emancipazione ebraica, possa trovarsi, innocente, condannato per un reato che non ha commesso.

Le grida morte agli ebrei, che colpirono l'intelligenza e la sensibilità di Theodor Herzl, non avrebbero certo suscitato indignazione in Tony Judt, che vi avrebbe visto invece i segni di una colpevolezza connaturata all'essere ebreo di Dreyfus, se veniva condannato qualcosa doveva sicuramente aver commesso.

Non lo interessavano nemmeno le condizioni di vita delle minoranze nei paesi islamici, tutte le minoranze, non solo gli ebrei, fu cieco persino di fronte al negazionismo di Ahmadinejad, che, scrisse, andava visto in 'maniera corroborante', quindi non totalmente negativo. Una tesi che non stupisce, se paragonata a 'quando la miglior difesa di Israele è Auschwitz, allora è meglio dire che Auschwitz non è mai esistito', come ebbe a scrivere dopo le polemiche suscitate dal libro ' L'industria dell'Olocausto', di Norman Finkelstein, un altro che dell'odio contro Israele ha fatto una professione. Per Judt la nascita di Israele non ha risolto la questione ebraica, l'ha aggravata,  come sostiene anche Noam Chomsky, che condivide con lui la delegittimazione dello Stato ebraico, che entrambi definiscono nazista, o come Richard Cohen, che sul Washington Post si è chiesto 'perchè Israele debba esitere'. “

Che Israele sia rinato come Stato laico, su un progetto politico democratico, contrapposto a qualunque ideologia imperialista o fideista, come ha scritto lo storico americano Paul Berman, per questi intellettuali, tutti di provenienza marxista, vale la condanna del sionismo emessa dalla sinistra, che lo assimilava a imperialismo e razzismo. Una posizione non dissimile da quella dei gruppi ortodossi che, sul piano religioso, si erano sempre opposti al sionismo, sin dai tempi di Herzl, perchè Israele poteva essere rifondata soltanto con l'arrivo del Messia.

Karl Kraus scriveva più di 100 anni fa che ' gli ebrei devono scomparire, l'assimilazione è insufficiente', anticipando le teorie moderne espresse dagli intellettuali ebrei colpiti dal morbo dell'odio verso se stessi in quanto ebrei. Lottano contro la loro identità, e per non essere etichettati come antisemiti e rivolgono su Israele tutte le accuse che un tempo venivano attribuite agli ebrei. Israele è colpevole sempre, a prescindere, come lo erano gli ebrei, se Immanuel Kant, non ancora Hitler, scrisse 'gli ebrei non la nostra disgrazia', come si può leggere in grandi caratteri nel Museo ebraico di Berlino.

Ci sono ebrei infaticabili nel loro zelo diffamatorio, come li chiama Cynthia Ozick. Tony Judt era uno di questi.

Il SOLE 24 ORE - Giuseppe Berta : " Judt, dalla storia la forza polemica "


Tony Judt

L' immagine di Tony Judt che resterà impressa nel ricordo di molti di coloro che l'hanno conosciuto e ne hanno apprezzato l'altissima qualità di storico è probabilmente quella della sua ultima apparizione in pubblico, per una conferenza tenutasi alla New York University, dove insegnava, nell'ottobre scorso. Quell'ultima lezione, consegnata a internet, mostrava Judt ormai totalmente immobilizzato dalla malattia che ne ha causato la morte il 6 agosto, una variante della sclerosi laterale amiotrofica. Pur incapace di muovere il suo corpo e attaccato a un respiratore meccanico, la sua voce suonava ferma, in grado di catturare un uditorio di varie centinaia di persone, per esporre (per circa un'ora)una delle appassionate analisi del mondo contemporaneo che hanno fatto di Judt un osservatore – e un polemista –tra i più originali e vigorosi del nostro tempo.
Il tema scelto per l'incontro estremo col pubblico universitario e intellettuale che l'aveva seguito per anni come un punto di riferimento era fra i più cari a Judt, una difesa delle ragioni della socialdemocrazia intesa non come una corrente politica ma come un assetto di civiltà, quello che ha dato forma all'Europa dopo il1945.Ne doveva risultare il saggio poi pubblicato all'inizio di quest'anno ( Ill Fares the Land, Penguin Books), in cui Judt, col consueto acume di giudizio, ripercorreva le ragioni che militano anche oggi a difesa dei principi del Welfare State. La lucidità mentale e la forza d'argomentazione di Judt rimanevano quelli di sempre, a onta del fatto che doveva affidarsi soprattutto alla memoria e che non poteva più scrivere, ma soltanto dettare. Poco dopo avrebbe affidato alla rivista che preferiva, la «New York Review of Books», articoli che descrivevano con spietata esattezza la sua condizione di malato, dotato di perfetta consapevolezza circa il processo di degrado a cui il suo corpo era sottoposto giorno dopo giorno. Impressionante era soprattutto il racconto delle interminabili e devastanti ore notturne, che Judt non poteva contrastare altrimenti se non facendo appello a tutte le risorse della sua memoria e della sua intelligenza.
La coerenza e il rigore intellettuale con cui Judt ha attraversato tutti gli stadi della malattia che l'aveva colpito appena sessantenne sono gli stessi che si ritrovano nei suoi libri maggiori, uno su tutti, quello destinato a restare come il suo capolavoro, Dopoguerra , pubblicato nel 2005 ( e tradotto in Italia da Mondadori),un profilo dell'Europa dal 1945 al nuovo secolo di mille pagine, in cui la storia della cultura (la dimensione della ricerca storica che era più congeniale a Judt) si intreccia con quella della politica,della società e dell'economia, rivelando una straordinaria capacità sia di tratteggiare grandi quadri d'insieme sia di approfondire singole questioni. Perché proprio questa era la sua dote maggiore di storico: sapeva fare emergere una visione complessiva annodando i fili molteplici del passato.
Nel suo libro più importante si riversarono tanto i filoni principali di studio cui Judt si era applicato quanto una vicenda personale complessa. Judt era nato a Londra nel 1948 da una famiglia di ebrei (aveva dei rabbini nell'ascendenza paterna) e si era accostato giovanissimo al movimento sionista, lavorando nei kibbutz di Israele e cooperando coll'esercito di Tel Aviv durante la Guerra dei Sei Giorni. Si considerava di sinistra, ma di una sinistra atipica, diffidente delle ideologie e delle genealogie intellettuali, come traspare dai suoi primi studi dedicati al socialismo francese.
Dopo varie esperienze d'insegnamento si era radicato a New York, costituendo un centro di studi, l'Erich M. Remarque Institute, che aveva portato all'eccellenza, facendolo divenire un luogo d'incontro tra storici e ricercatori di varia formazione e provenienza, accomunati dall'esigenza di una lettura originale delle grandi tendenze del Novecento. Lì, fra gli anni Novanta e questo primo decennio del Duemila, aveva consolidato la sua fama di polemista.
Critico dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi e della politica estera Usa, non aveva esitato a confrontarsi e anche a scontrarsi con persone e ambienti con cui aveva condiviso posizioni nel passato.
La forma che prediligeva per i suoi saggi d'intervento (i migliori dei quali sono raccolti nel volume
L'età dell'oblìo , edito da Laterza nel 2009) era quella di un'ampia rassegna di problemi che traeva spunto dalla discussione di un libro. Quest'approccio consentiva a Judt di dare la miglior prova del suo valore nel mettere a fuoco le sfaccettature più diverse di una questione, di cui faceva emergere, grado a grado, tutta la complessità. Esemplari sono in questo senso gli scritti dedicati, per esempio, alla secessione strisciante del Belgio, alla politica della "guerra fredda", oltre naturalmente al tema dei palestinesi e di Israele.
La profondità analitica e la stessa qualità della scrittura di Tony Judt avevano fatto di lui una figura di primissimo piano negli studi sul mondo contemporaneo. La sua scomparsa priva oggi la culturastorica di uno dei suoi protagonisti più dotati.

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