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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
15.06.2022 A.B. Yehoshua (1936-2022)
I ricordi di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari, Elena Loewenthal

Testata:La Repubblica - Il Giornale - La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Elena Loewenthal
Titolo: «Addio Yehoshua,voce di Israele-Un cittadino del Mediterraneo con l’Italia nel cuore - L'amante della pace»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 15/06/2022,pag.23, con il titolo "Addio Yehoshua,voce di Israele" l'analisi di Fiamma Nirenstein; dalla REPUBBLICA, a pag. 1, con il titolo "Un cittadino del Mediterraneo con l’Italia nel cuore", il commento di Maurizio Molinari; dalla STAMPA, a pag. 30, con il titolo "L'amante della pace", il commento di Elena Loewenthal.
Abraham Yehoshua e il sogno di un unico Stato: israeliani e palestinesi  «sotto lo stesso tetto, sotto un unico cielo»- Corriere.it
AB Yehoshua

Ecco gli articoli:

Fiamma Nirenstein: Addio Yehoshua, voce di Israele

Aleph Beth Yehoshua, Buli per gli amici, se n'è andato davvero a 86 anni. Lo aveva annunciato a tutti quelli che lo conoscevano: lo faceva in tono di sfida, era sicuro che dopo la morte non ci fosse niente, e "menomale, almeno un po’ di riposo". La sua morte era ormai oggetto di conversazione accesa: lui stesso aveva creato una situazione in cui, pur sapendo, tutta Israele, che Buli stava male, si sperava in una conclusione procrastinabile. Non era così. Il grande scrittore, leone della letteratura mondiale, se n'è andato. Amos Oz è morto nel 2018. Nessuno dei due, e se lo meritavano, ha avuto il Premio Nobel. Ne staranno discutendo fra le nuvole estive di Israele: credevano ormai, ambedue da sinistra, in prospettive molto diverse per lo Stato d'Israele e il conflitto coi palestinesi. E litigavano, quei due caratteri speciali. Per Amos Oz permaneva l'idea tipica degli accordi di Oslo: due Stati per due popoli. Yehoshua dal tempo dell'Intifada aveva smesso di sperare in un confine concordato, e accettava l'idea di uno Stato binazionale. Yehoshua, Oz, e anche David Grossman sono nomi che il mondo venera. Buli ha scritto una trentina di romanzi oltre ai saggi politici, è stato tradotto in 28 lingue, il New York Times l'ha chiamato "il Faulkner israeliano". Il suo Molco  protagonista di "Le cinque Stagioni" che fra ebrei sefarditi e ashkenaziti a contrasto cerca moglie, rimasto vedovo, spaesato e stanco; i protagonisti di "Divorzio tardivo", con Yehuda che torna dall'America e ritrova pieno di dubbi il vecchio mondo... hanno insegnato come accanto all'Israele aguzza e sulla cresta della cronaca, ce n'è una umana, troppo umana, in cui insieme fluttuano ebrei e arabi in cerca di amore, buon senso, sopravvivenza.

Soffrendo nel corpo smagrito e martoriato, si è tuttavia portato per un estremo saluto di fronte al pubblico estatico di Gerusalemme per la fiera del libro e, straziato, è riuscito a discutere di letteratura e anima ebraica, il suo tema dominante, il suo cannocchiale, il microscopio, il bisturi puntati sulla condizione umana tutta intera. Ha imboccato da grande protagonista, da scrittore e da politico, il sentiero della morte. A me che gli ho telefonato nell'appartamento al 21esimo piano a Tel Aviv vicino ai suoi tre figli Silvan, Gideon e Nahum e ai sette nipoti ("hanno paura di me, nessuno ha osato spostarsi, poveretti quelli i cui figli stanno a Parigi o a Berlino") disse poche settimane fa: "Sento troppo dolore, ormai verrai a trovarmi al mio funerale". Aveva ragione. Buli in realtà non era lo stesso da sei anni, ovvero dalla perdita di Ika (Rivka era il vero nome), la sua adorabile moglie psicanalista; lei, che aveva 19 anni quando lui, a 23, la vide per la prima volta vestita da soldatessa, e gli tolse il sonno finchè non la sposò qualche mese dopo. Quanto lui era violentemente assertivo, lei era dolce e capace di smussare gli angoli: una volta ci bloccò col sorriso da una furiosa discussione politica all'Hotel Raphael di Roma. Buli era tormentato dall'idea che il popolo ebraico non potesse trovare la pace col mondo arabo: il mondo orientale era anche dentro di lui, e della pace, dell'umanizzazione del mondo arabo aveva fatto la sua bandiera e uno dei leitmotiv della sua letteratura. In "Di fronte ai boschi" (in "Il Poeta continua a tacere" Giuntina), lo scontro insanabile si manifesta nel fuoco appiccato da un arabo con una bambina per mano: egli appare e scompare ai margini della foresta inutilmente sorvegliata da un ragazzo ebreo stupefatto; anche "L'amante" torna sul tema con la sua narrativa ironica, a frasi brevi, un mistero dietro ogni parola. La componente orientale sefardita si presenta come parte del  conflitto da snodare, come in "Viaggio alla fine del millennio", la giocosa danza storica da Tangeri a Parigi del bigamo ebreo che va in Europa per essere accettato con le sue due mogli dai parenti ashkenaziti. Buli vive il mondo ebraico orientale con forza passionale: sono le sue origini, il padre Yaakov Yehoshua aveva scritto 12 libri in arabo nella Gerusalemme britannica, e la madre Malka era nata in Marocco. Voleva che Israele fosse un mondo perfetto, giusto; nei suoi interventi politici, tanti, biasima ora la guerra del Libano, ora la mancata realizzazione del sogno della condivisione, ora Netanyahu, di cui peraltro negli ultimi anni lodava l'intelligenza. Lamentava un eccesso di memoria sia negli ebrei che nei palestinesi, di cui sperava che avrebbero superato l'inutile preservazione delle chiavi di casa di Haifa, per esempio. Negli ebrei il rimpianto doveva lasciar posto al sionismo: per carità, andare a cercare le radici? Magari a Salonicco, in Polonia a rivangare la storia di famiglia? Ma là hanno ammazzato tutti gli ebrei, non c'è niente da cercare. Un ebreo che non vive in Israele era per lui un terzo di sè stesso. Avrebbe voluto che il mondo arabo partecipasse dell'avventura e questo non ha mai annacquato il suo sionismo. Strano: Yehoshua  è stato una bandiera di gloria culturale per Israele, e insieme tuttavia ha alimentato con le sue opinioni il biasimo che invade spesso l'opinione internazionale. Ma il suo amore totale per l'indispensabile Stato degli Ebrei è fuor di dubbio. Così come la sgargiante forza del suo narrare.

Maurizio Molinari: "Un cittadino del Mediterraneo con l’Italia nel cuore"

Con A. B. Yehoshua la letteratura israeliana perde uno dei suoi più brillanti protagonisti, l’Italia uno degli uomini di cultura che più l’hanno amata e il Mediterraneo un suo formidabile interprete contemporaneo. Ciò che distingueva “Buli”, come lo chiamavano gli amici, era infatti un’idea di convivenza fra popoli e culture basata sull’eredità, sulla Storia umana, sugli spostamenti di popoli, lingue e commerci nel Mediterraneo. Amava Haifa e la sua vita è stata in gran parte a Tel Aviv ma si sentiva a pieno titolo cittadino di Napoli come di Palermo, dell’Andalusia come della Provenza, del Peloponneso come di Istanbul, Tangeri ed Alessandria d’Egitto. Gli piaceva, con la immensamente amata moglie Ika, perdersi nei vicoli dei quartieri spagnoli come nei mercati siciliani. Ne riconosceva i volti, gli odori, i costumi, i prodotti come se fossero suoi, da sempre. Perché era profondamente convinto della capacità innata di ogni cultura mediterranea di convivere, riflettere, fondersi con le altre. Avversario determinato di ogni violenza e intolleranza, vedeva nel sionismo il movimento risorgimentale che era riuscito a riconciliare il popolo ebraico, disperso nel mondo, con le proprie radici nella Terra di Israele: dove la coesistenza con i popoli arabi, a cominciare dai palestinesi, era parte integrante di questo ritorno. Fino ad esserne il completamento. Per questo credeva fermamente nella soluzione dei “due popoli e due Stati” basata sulla formula “terra in cambio di pace”, vide negli accordi di Oslo del 1991 un sogno che diventava possibile, credette nella visione del “nuovo Medio Oriente” di Shimon Peres e visse con crescente dolore gli attacchi kamikaze della Seconda Intifada, consapevole che stavano polverizzando la possibile convivenza. Negli ultimi anni della sua formidabile vita di scrittore, narratore ed anche voce politica del “campo della pace” in Israele era arrivato ad ammettere, con grande amarezza, la difficoltà di realizzare la formula dei “due Stati per due popoli” ma senza mai rinunciare, neanche per un attimo, all’orizzonte della piena convivenza fra arabi ed ebrei in Medio Oriente, nella profonda convinzione che fosse, rimanesse, inevitabile. Ci parlavamo spesso, nelle ore più imprevedibili, ed ogni conversazione era il seguito naturale, spontaneo di quella precedente, come se il dialogo fra noi fosse sempre continuo, aperto, intenso. E ogni volta rivelava passione per l’Italia, una nazione che considerava la sua seconda patria perché vi vedeva lo specchio di un Mediterraneo che, a dispetto di tragedie e orrori di ogni epoca, era riuscito di generazione in generazione a conservare l’anima di un luogo aperto dove culture, lingue e fedi differenti riescono in ultima istanza — e nonostante tutto — a sedersi assieme, mangiare gli stessi cibi, ascoltare le stesse narrazioni, convivere. Mancherà a me, ai lettori di Repubblica ed ai tanti italiani che lo hanno incontrato e conosciuto leggendo le sue pagine intrise di passione perla vita e fiducia nel prossimo.

Elena Loewenthal: "L'amante della pace"

 Quando, quasi quarant'anni fa, arrivavano sulla scrivania delle case editrici, gli autori israeliani figuravano un po' tutti come dei marziani: redattori e direttori non sapevano letteralmente come prendere quei libri, che – come sento dire ancor oggi – si aprivano "all'incontrario", visto che l'ebraico si legge da destra a sinistra. Poi, un giorno, un misto di fiuto istintivo e lungimiranza fece aprire, in Einaudi, uno scatolone contenente le traduzioni di alcuni romanzi di A.B. Yehoshua, il nostro amato Buli, prodotte spontaneamente da un pioniere del dialogo letterario fra Italia e Israele, Gaio Sciloni, insieme ad Arno Baher. Ricordare oggi il grande scrittore scomparso, sapere di dover fare d'ora in poi i conti con tanta nostalgia e con il dolore di un'assenza inguaribile, con la consapevolezza che Buli non ci regalerà più altri splendidi libri, mi fa tornare alla mente quegli anni ormai lontani che, anche e soprattutto grazie a Yehoshua, aprirono la strada alla letteratura israeliana in Italia. Fu, per il nostro pubblico di lettori, una scoperta di grandi proporzioni, un po' come era successo negli anni precedenti con la letteratura sudamericana. I grandi autori d'Israele parlavano decisamente al mondo e all'umano in generale. Erano quanto di meno locale, particolaristico si potesse immaginare. Yehoshua, Grossman, Oz, ma anche Shabtai, Kaniuk, Shalev, Tammuz e altri, sono autori universali. E molto di questo felice incontro fra Italia e letteratura israeliana si deve a quegli scatoloni con le traduzioni di alcuni romanzi di Buli da «rivedere», sistemare, inserire in un piano editoriale. Non dimenticherò mai lo stupore, la meraviglia e l'autentica felicità che la lettura – e la revisione – di quei primi romanzi di Buli mi destò, allora, più di trent'anni fa. Fu così che nel 1990, con tredici anni di ritardo rispetto all'originale in ebraico, con L'Amante, Buli arrivò al grande pubblico italiano. È pur vero che due anni prima era già uscita per la piccola e profetica Giuntina la sua significativa raccolta di racconti intitolata E il poeta continua a tacere. Di lì in poi, è stato tutto un cammino di reciproca felicità: di Buli che ha scoperto e da allora amato tanto l'Italia, del pubblico che qui lo aspettava e l'ha sempre ricambiato con tanto slancio. Buli diceva sempre che c'è un'affinità straordinaria fra i due popoli, frutto del nostro passato ma prima ancora di quell'essere mediterranei che è stato per lui tanto una cifra esistenziale quanto un'istanza politica. Il Mediterraneo, diceva, è il cuore del nostro presente, di una comune identità e del futuro da prospettare insieme. Lui che aveva una madre nata e cresciuta in Marocco, dove gli ebrei vivevano da millenni, e un padre gerosolimitano doc, di quinta generazione: sefardita nel senso più atavico che si possa immaginare. Buli amava Gerusalemme ma amava anche il mare e quell'orizzonte aperto che trovò ad Haifa, dove ha vissuto gran parte della sua esistenza, insegnando all'università e coltivando la sua bellissima famiglia, l'amore per la moglie Ika, mancata nel 2016. Quanto piangeva Buli, nei mesi successivi: aveva quella forza d'animo grazie alla quale un uomo non si vergogna dei propri sentimenti, del proprio strazio. Lo andai a trovare qualche giorno dopo il funerale: seduti al tavolo da pranzo davanti a biscotti e fragole enormi, mi parlava di lei e ripeteva «come farò, come farò», e si asciugava gli occhi. Che forza e che tenerezza, in quel suo dolore che oggi sentiamo per lui. Buli era dotato di un talento narrativo tanto innato quanto immediato. I suoi romanzi sono sempre un ricamo perfetto di prosa e trama, il risultato di una geometria lineare capace di trasformare la complessità in una narrazione sempre lucidissima. Pensiamo a Il Signor Mani, il suo romanzo più arduo, un autentico virtuosismo creativo: una serie di dialoghi in cui manca sempre la voce di uno dei due interlocutori, ma dove trama e stile costruiscono una storia mirabile, e di mirabile immediatezza. I suoi libri spaziavano in tutto l'universo umano: dalla storia di lungo respiro, come in Viaggio alla fine del millennio, al mistero fatto di gioia e turbamento della famiglia, come in Cinque stagioni, Divorzio Tardivo e La sposa liberata. Ma anche l'enigma dei rapporti sociali e professionali, nel bellissimo Responsabile delle Risorse umane. E l'Italia, che amava tanto e cui ha dedicato quello che, oggi purtroppo sappiamo, è il suo ultimo romanzo, La figlia unica. E tanto altro. Ma sono strabilianti anche i suoi racconti, piccoli grandi romanzi, uno per uno. Ogni sua pagina ci riporta la sua magia di narratore. Perché aveva un'inesausta curiosità, Buli: ti guardava sempre cercando qualcosa, la sua anima di contastorie era sempre vigile e pronta a captare la realtà e quel che le sta dietro. Ed era un uomo dolcissimo, dietro l'apparenza un po' burbera e quella sua voce grossa, cavernosa, profonda. Ma così bella, anche la voce, e il suo ebraico limpido, scandito con una musicalità fatta di gutturali pizzicate, suoni antichi e nuovi come la sua terra, Israele. Al pari degli altri grandi classici contemporanei di questa letteratura, anche Buli non era solo uno scrittore ma anche e soprattutto un maestro, una voce da ascoltare nel panorama pubblico e politico di un paese dove non mancano mai argomenti di discussione. Buli era sempre un po' più avanti con lo sguardo, e a volte questa lungimiranza gli è costata polemiche. Qualche tempo fa, un po' come il bambino nella favola del re nudo, dichiarò che l'opzione due stati palestinesi – uno ebraico e uno arabo, come sancito vanamente il 27 novembre del 1947 -, alla luce dei decenni venuti dopo, non aveva più ragion d'essere: bisognava creare uno stato federale, dare la cittadinanza agli arabi palestinesi dei Territori, perché nessuno da nessuna delle due parti era più interessato alla soluzione di due stati. Fu un fuoco di reazioni in un tiro incrociato che Buli prese serenamente, perché se lo aspettava, ma anche seriamente, perché era abituato così: ad ascoltare sempre gli altri, a farsi raccontare, a sentire le opinioni dell'altro, chiunque fosse. Che grande scrittore è stato. Che grande regalo ha fatto a tutti noi che lo abbiamo letto e continueremo a leggerlo, a rileggerlo. Che gli abbiamo voluto bene perché a Buli non si poteva non volere tutto il bene del mondo. Ci mancherà, mi mancherà tanto.

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