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Il Giornale - Il Tempo Rassegna Stampa
24.06.2020 II dittatore non è Trump ma sta in Cina
Commenti di Valeria Robecco, Massimiliano Lenzi

Testata:Il Giornale - Il Tempo
Autore: Valeria Robecco - Massimiliano Lenzi
Titolo: «Il pugno duro di Trump contro chi assalta le statue: 'Fino a dieci anni in cella' - II dittatore non è Trump ma sta in Cina»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 24/06/2020, a pag.16, con il titolo "Il pugno duro di Trump contro chi assalta le statue: 'Fino a dieci anni in cella' " la cronaca di Valeria Robecco; dal TEMPO, a pag. 4, l'analisi di Massimiliano Lenzi dal titolo "II dittatore non è Trump ma sta in Cina".

Ecco gli articoli:

IL GIORNALE - Valeria Robecco: "Il pugno duro di Trump contro chi assalta le statue: 'Fino a dieci anni in cella' "

Immagine correlata
Valeria Robecco

Donald Trump - Wikipedia
Donald Trump

New York Fino a dieci anni di carcere per chi vandalizza le statue. Donald Trump usa il pugno duro e afferma di aver «autorizzato il governo federale ad arrestare chiunque vandalizzi o distrugga un monumento, una statua o una proprietà federale negli Stati Uniti». «Questa decisione ha effetto immediato, ma può essere anche retroattiva, non ci saranno eccezioni», ha tuonato il presidente. A scatenare l'ira del tycoon è stato l'assalto, lunedì sera, alla statua di Andrew Jackson da parte di un gruppo di manifestanti. Il monumento all'ex presidente Usa responsabile del cosiddetto «sentiero delle lacrime» (la deportazione forzata dei nativi americani dalle loro terre), idolo di Trump, si trova a Lafayette Square, nei pressi della Casa Bianca. Un gruppo di 150-200 persone ha cercato di abbatterlo scatenando attimi di caos, e per calmare gli animi la polizia ha utilizzato lo spray al peperoncino, formando un cordone per proteggere l'opera e la residenza presidenziale. La statua di Jackson è uno dei bersagli della rabbia dei manifestanti che da quasi un mese invadono le strade in seguito alla morte dell'afroamericano George Floyd a Minneapolis, ma nel mirino sono finiti molti monumenti. L'ultimo in ordine di tempo era stato quella di Teddy Roosevelt, che il Museo di Storia Naturale di New York ha deciso di rimuovere dall'ingresso davanti a Central Park. E le polemiche hanno riguardato anche le statue del generale sudista Robert Lee e di Cristoforo Colombo, considerate simboli del razzismo e del colonialismo. «Numerose persone sono state arrestate nella capitale per il vergognoso atto di vandalismo alla statua di Andrew Jackson, in aggiunta al deturpamento esterno della St. John Church dall'altra parte della strada - è tornato ad avvertire Trump - Dieci anni di prigione in base al Veteran's Memorial Preservation Act. State attenti». Il Comandante in Capo, nel frattempo, ha ripreso la campagna elettorale dall'Arizona, uno degli stati in bilico fondamentali per la vittoria il prossimo 3 novembre. Questa volta però non ha organizzato un grande comizio: dopo il passo falso di Tulsa, The Donald ha pensato per ora di rimandare i maxi-eventi. Trump si è prima recato a Yuma, lungo il confine con il Messico, per celebrare il completamento degli oltre 300 km di muro e rilanciare uno dei suoi cavalli di battaglia, la lotta ai clandestini e la sicurezza alle frontiere. Quindi è andato a Phoenix per un incontro con un gruppo di giovani sostenitori alla Dream City Church. La visita ha comunque attirato le critiche dei detrattori, visto il recente aumento dei casi di coronavirus nello stato. Per il candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden il viaggio è stato «sconsiderato, irresponsabile», e «una distrazione dalla sua fallita risposta alla diffusione della pandemia». Sempre sul fronte dell'immigrazione, invece, prima di volare in Arizona Trump ha deciso di prolungare fino alla fine dell'anno la sospensione di alcuni visti di lavoro negli Stati Uniti e di estendere le restrizioni sulle emissioni delle nuove carte verdi. Una misura, secondo il presidente, che serve a tutelare i lavoratori americani durante la ripresa economica, e che potrebbe tenere fuori dal paese per mesi fino a 525 mila stranieri. La mossa non è piaciuta ai giganti del web: Amazon ha parlato di «decisione miope», sottolineando che «prevenire gli ingressi di lavoratori altamente specializzati nel paese mette a rischio la competitività degli Usa». «L'immigrazione ha contribuito immensamente al successo economico dell'America e di Google. Delusi dalla decisione continuiamo a stare a fianco degli immigrati», è stato invece il commento del Ceo di Mountain View, Sundar Pichai. Mentre per Twitter la mossa «mina uno dei maggiori asset economici del Paese, la sua diversità».

IL TEMPO - Massimiliano Lenzi: "II dittatore non è Trump ma sta in Cina"

Este - Massimiliano Lenzi | Relatori Eventi
Massimiliano Lenzi

Vogliono fare di Donald Trump un Riccardo III da XXI secolo, da epoca dei social politicamente corretti, un'era strana, da monopattino per tutti e chissene frega se l'economia naufraga. Un'epoca senza regni da cedere per un cavallo ma semmai da perdere per un virus. In questo conformismo del pensiero che sta attanagliando, da troppo tempo ormai, le democrazie occidentali, ieri il passaggio di un articolo sul «Corriere della Sera» ha fotografato questo antiamericanismo diffuso, almeno finché Trump comanderà. Nell'editoriale pubblicato in prima pagina dal Corsera, a firma di Massimo Gaggi, tra le altre cose si leggeva: «(…) altri temono che Trump, chiuso in un angolo, dia sfogo ai suoi istinti autoritari o tenti di far saltare il voto (cosa tecnicamente impossibile in base a leggi e Costituzione)». Qualcuno dovrebbe spiegare ai politicamente corretti, ai buoni di questo mondo, che Trump è uomo di vitalismo, di gaffe, anche di bischerate, ma è un americano libero e sventolare timori autoritari pensando a lui fa solo ridere. Per non piangere. A parte che ha tutti contro, giornali, establishment, gran parte dell'economia, la vecchia Europa, gli organismi internazionali dei buoni, ma se anche fossero dalla sua parte tutti beh, non ci sarebbe pericolo. Perché il primo a non voler rinunciare alla libertà è proprio lui, Donald Trump. Anche la libertà di fare gaffe ed errori. I cercatori di autoritarismi cambiassero indirizzo e bussassero a Pechino. Se ne hanno le palle.

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