Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/03/2016, a pag. 15, con il titolo "Possiamo difenderci?", l'analisi di Davide Frattini; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Israele 1972-Bruxelles 2016".
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Possiamo difenderci?"
Complimenti a Davide Frattini per l'ottima intervista.
Davide Frattini
Ehud Barak ripete di considerarsi un professore di matematica mancato. Quando i numeri, la precisione, i calcoli gli servivano a pianificare le operazioni delle forze speciali e adesso — in pensione dal governo — che giocare con le cifre lo ha reso ricco come consulente globale. Così il soldato più decorato d’Israele ha investito un milione di dollari in un algoritmo che vuole mettere ordine dove i terroristi diffondono il caos, un software per gestire le emergenze, per aiutare la polizia e l’esercito a intervenire nel modo più efficace. L’ex premier e ministro della Difesa spiega che qualunque cittadino può scaricare Reporty sul telefonino: schiacciato un bottone, la app registra un video e in automatico lo invia ai centri di emergenza. Passanti trasformati in sentinelle. «Tenere gli occhi aperti, chiamare gli agenti a ogni sospetto, è inevitabile che gli europei dovranno sviluppare l’intuito che noi israeliani siamo stati costretti ad acuire».
Amos Yadlin
Una mattina del 2002 Amos Yadlin si è svegliato da un incubo e ha deciso di chiamare Asa Kasher. Insieme il generale e il filosofo hanno provato a stabilire le regole da applicare nella guerra al terrorismo: a un matematico hanno chiesto di creare una formula per calcolare quante perdite collaterali tra i civili fossero accettabili prima di eliminare un attentatore. «Anche l’Europa deve rivedere la sua formula — dice adesso Yadlin, l’ex capo dell’intelligence militare che dirige l’Institute for National Security Studies — tra rispetto dei diritti umani, correttezza politica, garanzie per la privacy da una parte e la protezione della vita umana dall’altra. La sicurezza è un diritto che va garantito». Ricorda che gli israeliani hanno impiegato sei anni per fermare i kamikaze palestinesi, sei anni e l’operazione «Scudo difensivo» ordinata da Ariel Sharon, in sostanza la rioccupazione militare della Cisgiordania. «Durante la seconda Intifada la nostra vita è andata avanti comunque, è l’unico modo di resistere: alla fine il terrorismo va considerato come un incidente d’auto o la criminalità, altrimenti a vincere è lo Stato islamico».
Carlo Strenger
Come fa notare Jason Burke, esperto del quotidiano britannico Guardian , la violenza islamista va a ondate: i periodi più sanguinosi precedenti a questo sono stati tra il 2001 e il 2008. Con il 2010 alla vigilia delle cosiddette «primavere arabe» sembrava che la mareggiata di terrore si stesse ritraendo. «Invece lo scontro sarà ancora lungo — commenta Carlo Strenger — e i leader politici devono avere il coraggio di proclamarlo». Il suo libro Civilized Disdain. Why We Must Take Back the Defense of Freedom from the Right vuole proporre una cura per quella che lo psicanalista e filosofo israeliano considera la «malattia autoimmune del mondo libero»: «Il politicamente corretto va respinto. È incoerente, nessun essere umano può essere obbligato a rispettare posizioni che considera irrazionali o immorali».
Editorialista per il quotidiano liberal Haaretz , è convinto che la guerra al terrorismo debba essere combattuta da una sinistra belligerante che «si riprende la difesa dei valori e della cultura occidentali data in appalto alla destra. Anche perché la risposta populista è la meno efficace, penso a Marine Le Pen che propone di reintrodurre la pena di morte, non mi sembra una gran minaccia per uno jihadista pronto a immolarsi». Da ormai sei mesi gli israeliani affrontano quelli che i servizi segreti chiamano «lupi solitari», attentatori palestinesi armati di coltello che hanno macerato il piano e l’esasperazione nel chiuso delle loro stanze: escono per uccidere sapendo che saranno uccisi. «Israele dimostra che a essere fondamentale non è tanto la risposta degli individui dopo un attacco quanto quella di tutta la società. Come reagiamo collettivamente definisce la battaglia e la possibile vittoria. I governi devono veicolare due messaggi, uno per gli estremisti (non cambierete la nostra vita) e uno per i cittadini: sarà lunga, non c’è una soluzione immediata, ce la faremo. Purtroppo siamo anche l’esempio di come un Paese per anni sotto la pressione terrorista finisca con lo spostarsi verso la destra nazionalista».
IL FOGLIO: "Israele 1972-Bruxelles 2016"
Benjamin Netanyahu
La catena di attacchi a Parigi, San Bernardino, Istanbul, Costa d’Avorio, Bruxelles e in Israele è un assalto continuo a tutti noi”, ha detto ieri il premier israeliano Netanyahu. “In tutti questi casi i terroristi non hanno lamentele risolvibili. Non possiamo offrire loro Bruxelles, Istanbul, la California, o la Cisgiordania. Cercano la nostra distruzione e il loro dominio totale. Dovremmo semplicemente scomparire. Beh, amici miei, questo non accadrà. Ecco come faremo a sconfiggere il terrorismo, con l’unità politica e la chiarezza morale”. Unità politica e chiarezza morale abbondano a Gerusalemme, ma scarseggiano a Bruxelles. Ieri, la rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, ha pianto in televisione. Il nostro mondo è migliore del loro anche perché sappiamo commuoverci di fronte a un salasso di innocenti. Ma a un leader politico, di fronte al jihad sferrato nel cuore dell’Europa, serve ben altro che le lacrime. Serve ascoltare Netanyahu. Con la sua hutzpah, la faccia tosta ebraica, Bibi ieri ha spiegato che il mondo civile non sfamerà il coccodrillo islamista con l’appeasement. La guerra santa, combattuta all’aeroporto di Zaventem come alla stazione dei bus di Gerusalemme, si fermerà soltanto con la liquidazione degli “infedeli”.
Purtroppo la recente storia politica europea è invece piena di tentativi di sfamare il coccodrillo. Cominciò Lady Ashton, che accostò la strage dei bambini ebrei a Tolosa agli attacchi israeliani a Gaza, con gran felicità postuma di Merah. Il presidente francese, François Hollande, dopo il 13 novembre ha cassato Gerusalemme dalla lista delle città colpite dal jihad. Nel 2013, la Francia è entrata in guerra in Mali: Hollande disse che “non si può avere uno stato terrorista alle porte dell’Europa”. Distanza fra Bamako e Parigi? 6.266 chilometri. Quando Israele si difende dai missili da Gaza, in Europa si denuncia “l’aggressione israeliana”. Distanza fra Gaza e Israele? Un chilometro. Basta ipocrisie. Basta lacrime. Il terrorismo islamista non distingue fra la metro di Bruxelles e il tram di Gerusalemme.
Inoltre, Israele può insegnare molto a Bruxelles perché ha già vissuto quelle stesse immagini. Accadde nel 1972, quando all’aeroporto di Tel Aviv una banda di kamikaze sparò all’impazzata sulla folla, facendo 24 morti, prima di suicidarsi, tranne uno, una specie di Salah Abdeslam. Ma allora il Belgio, come abbiamo spiegato sul Foglio, era impegnato a stringere un patto con i sauditi e Israele andava sacrificato. Due mesi dopo l’aeroporto ci fu, infatti, la mattanza olimpica a Monaco, segnale verde delle stragi future. Si arriva all’abbandono degli ebrei sugli autobus durante l’Intifada. Non sarebbe meglio considerare la piccola guarnigione ebraica come parte dell’Europa?
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