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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - L'Opinione - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.07.2012 Bashar al Assad: l'unico nemico che ho è Israele
intervista di Utku Çakirözer. Commenti di Stefano Magni, Maurizio Molinari, Guido Olimpio

Testata:La Repubblica - L'Opinione - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Utku Çakirözer -Stefano Magni - Maurizio Molinari - Guido Olimpio
Titolo: «Assad dà la colpa a Israele per fare la pace con la Turchia - Ecco l’arcipelago degli orrori dove il regime siriano tortura - Diplomazia debole e protezione russa. Impotenti davanti ai massacri in Siria»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 04/07/2012, a pag. 15, l'intervista di Utku Çakirözer a Bashar al Assad dal titolo " Le decisioni spettano al popolo. Sono pronto a dimettermi se i siriani me lo chiederanno ". Dall'OPINIONE, a pag. 6, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " Assad dà la colpa a Israele per fare la pace con la Turchia ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Ecco l’arcipelago degli orrori dove il regime siriano tortura". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 46, il commento di Guido Olimpio dal titolo " Diplomazia debole e protezione russa. Impotenti davanti ai massacri in Siria" .
Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Utku Çakirözer : " Le decisioni spettano al popolo. Sono pronto a dimettermi se i siriani me lo chiederanno "


 Bashar al Assad

SIGNOR presidente, la tensione tra Siria e Turchia dopo l’abbattimento dell’aereo turco porterà a un conflitto?
«Viviamo una fase storica in cui viene ridisegnata la mappa dell’intera regione, forse come un centinaio di anni fa, ai tempi del declino dell’Impero ottomano. Arabi e turchi entrarono in conflitto. Però la storia ci ha insegnato molto: perdemmo entrambi, arabi e turchi. È irragionevole tornare a quella situazione. Negli ultimi quindici mesi, dall’inizio della crisi, abbiamo cercato di operare su più fronti: risolvere la crisi interna in Siria, e fronteggiare i terroristi. In secondo luogo, preservare i risultati ottenuti nei rapporti fra noi e la Turchia. Ma l’attuale governo turco ha distrutto gran parte di ciò che abbiamo costruito. Però è rimasta la base fondamentale, il buon rapporto tra i due popoli. La gente in Turchia non consentirà, come noi, che si arrivi al conflitto, una situazione perdente per la Siria e la Turchia».
Riguardo all’aereo abbattuto, è stato un atto intenzionale, ordinato da lei, come sostiene il governo turco?
«Affermarlo è ridicolo.
Odiamo forse il popolo turco?
L’aereo è stato abbattuto da un’arma con una gittata dai 2 ai 2 chilometri e mezzo. Perciò l’aereo si trovava a meno di due chilometri e mezzo dal territorio siriano. In tempo di pace non si abbattono aerei, tanto meno di un Paese amico come la Turchia. Ma noi siamo in stato di guerra e quando l’identità di un simile aereo è ignota, si presume che sia un aereo nemico.
Volava a bassissima quota, perciò
non era visibile sui radar siriani. Ma c’è un altro dato importante, di cui non si è parlato: lo spazio aereo è stato violato nello stesso punto in cui Israele ha sempre cercato di farlo».
Perché non sono stati inviati segnali di avvertimento?
«Sarebbe stato fatto, se l’aereo fosse apparso al centro dello schermo radar. Ma quando non si ha alcuna informazione o istruzione che l’aereo passerà da quel punto specifico, le regole d’ingaggio prevedono che il soldato faccia fuoco senza rivolgersi al comando, perché tutto succede in una manciata di secondi. All’interno delle acque territoriali, se un aereo vola a bassa quota i radar non lo catturano. Lo dimostra l’aereo israeliano che violò la stessa area per bombardare un sito militare siriano nel 2007, sfuggendo ai radar siriani. Per di più, non esistono missili di contraerea in quella zona con una gittata in grado di superare i limiti delle acque territoriali. Si tratta quindi di pure menzogne».
Lei come ha reagito alla notizia dell’abbattimento dell’aereo?
«A livello psicologico non è stato piacevole,
perché i turchi sono un popolo fratello. Per quanto ci riguarda il nemico è solo Israele. Ma abbiamo avuto la sensazione che Erdogan e il suo governo vogliano sfruttare questo incidente per trarne vantaggi politici. E questo è
molto pericoloso».
Intanto sono morti due piloti, due giovani. Cosa dice alle loro famiglie?
«Nonostante la politica di Erdogan sia fonte solo di sangue e distruzione per il popolo siriano, la morte di un cittadino turco è per noi la morte di un fratello. Perciò inviamo ai familiari delle vittime le nostre più profonde condoglianze.
Il padre di uno dei piloti, rivolto ad Erdogan, ha detto: “Il morto è mio figlio, e non vogliamo che l’incidente venga manipolato per provocare la guerra”. È una posizione onorevole».
Il governo turco ora sta schierando truppe al confine siriano. Qual è la risposta
della Siria?
«I due momenti peggiori nei rapporti tra i due Paesi si ebbero nel 1998, quando la Turchia schierò l’esercito, e negli anni ‘50, ai tempi dell’Alleanza di Baghdad. Ciò nonostante non abbiamo mai considerato la Turchia un paese nemico, né vogliamo farlo oggi né in
futuro. Infatti la Siria non schiera l’esercito contro la Turchia».
In Turchia si discutono nuove regole di ingaggio: sarà aperto il fuoco su qualunque aereo, carro armato o pezzo di artiglieria siriano si avvicini al confine turco.
«Nessuno Stato ha il diritto di aprire il fuoco a meno che il suo territorio sia stato violato. Nel caso del tutto ipotetico che colpiscano un bersaglio entro i confini siriani, si tratterebbe di un’aggressione contro la Siria».
Come giudica il summit di Ginevra, e i punti elencati da Kofi Annan?
«Non c’è stato alcun contatto diretto tra noi e Kofi Annan o i russi. Ma hanno fatto affermazioni precise. La prima è che la decisione spetta al popolo siriano, e questa è la nostra posizione. Deve cessare la violenza, i gruppi armati vanno disarmati, e anche queste sono le nostre posizioni. Le mani sporche di sangue siriano, come ha detto Kofi Annan, non esistono solo in Siria, ma anche fuori della Siria. Questo dimostra il ruolo degli altri Paesi coinvolti. Tutti i punti sono essenziali, ma il più importante è che tutto va deciso in Siria, non all’esterno».
Secondo il Segretario di Stato Clinton, il piano di Kofi Annan prevede che lei, presidente, si dimetta. Lei come lo interpreta?
«La posizione americana è già ostile alla Siria in questa crisi, e per noi le loro parole non sono affidabili. Gli Stati Uniti sono parte del problema. Sostengono palesemente i terroristi. Perciò non ci interessano granché i loro discorsi ».
A Ginevra si è parlato di transizione in Siria, con o senza il presidente, e di richieste interne, regionali e internazionali
da soddisfare riguardo alle
riforme. Lei che ne pensa?
«Noi non accettiamo imposizioni esterne. Tutto verrà deciso all’interno. Se il mio unico interesse, personale, fosse di conservare la presidenza, avrei soddisfatto le condizioni americane e le richieste pervenutemi coi petrodollari, avrei potuto vendere i miei principi in cambio di petrodollari. Di più: avrei accettato d’installare uno scudo missilistico in Siria».
Se la sua uscita di scena servisse a salvare il popolo e la Siria, lei lascerebbe?
«Se fosse nell’interesse della Siria, il presidente dovrebbe andarsene. È ovvio. Non si deve restare in carica nemmeno un solo giorno, se il popolo non lo vuole. E il popolo si esprime attraverso le elezioni».
Significa che non pensa di restare in carica per sempre?
«Glielo ripeto: l’incarico non ha alcun valore per me. È importante ciò che riesco a fare».

L'OPINIONE - Stefano Magni : " Assad dà la colpa a Israele per fare la pace con la Turchia"


Stefano Magni

Dare la colpa a Israele per smorzare la tensione con la Turchia. È questa la semplice tattica di comunicazione adottata da Bashar al Assad nella sua prima intervista rilasciata a un giornale turco, il “Cumhuriyet”, dopo l’abbattimento di un F-4 Phantom di Ankara.
Assad corre ai ripari dopo una settimana di crescente tensione sulla frontiera turco-siriana. Benché non vi siano segni premonitori di un conflitto, la Turchia ha rafforzato il confine.
Nella sua intervista, il dittatore di Damasco spiega che il bombardiere turco in ricognizione sia stato abbattuto nello spazio aereo siriano. E non solo perché aveva violato la sovranità del Paese, ma anche (e soprattutto) perché avrebbe utilizzato una rotta solitamente impiegata dagli aerei con la stella di Davide. Siria e Israele sono ancora tecnicamente in guerra. Incursioni aeree israeliane sono avvenute nel 2003, nel 2006 (durante la Seconda Guerra in Libano) e nel 2007 (distruzione di un sospetto impianto nucleare in Siria). Quindi, per precauzione, gli attenti artiglieri della contraerea siriana avrebbero sparato subito, prima ancora di accertare la nazionalità di appartenenza dell’intruso. Secondo Bashar al Assad, infatti, la batteria della contraerea protagonista dell’azione non era dotata di radar. E dunque era impossibilitata ad accertare la natura ostile o amica dell’aereo. Quest’ultima spiegazione del dittatore sembra molto poco plausibile: se già non è facile abbattere un F-4 Phantom (in volo radente e a lanciato a velocità supersonica) con un missile o un cannone anti-aereo a guida elettronica, colpirlo dopo averlo puntato a vista è una missione quasi impossibile. Ma non importa la veridicità della spiegazione. Importa, piuttosto, il suo significato politico. Assad vuole comunicare rammarico al lettore turco, per aver commesso un errore tragico. E gli vuole dire, soprattutto, che la sua tensione è causata da Gerusalemme, non da Ankara. In questo modo può ottenere ascolto dall’opinione pubblica turca, quantomeno ostile allo Stato ebraico.
Quel che Bashar al Assad teme è un riavvicinamento fra Turchia e Israele, tradizionali alleati nei decenni passati e allontanatisi solo negli ultimi anni del governo Erdogan. La crisi siriana pare aver posto fine al periodo di massima tensione fra Gerusalemme e Ankara, arrivato allo zenit dopo la vicenda della Freedom Flotilla, salpata dalla Turchia intercettata dagli israeliani nel maggio del 2010 prima che raggiungesse Gaza. Quello era lo scenario favorevole alla Siria di Assad: quando Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e la Turchia erano tutti rivolti contro Israele. Da quando è scoppiata la ribellione in casa sua, nel marzo del 2011, Assad ha invece gradualmente perso tutta questa costellazione di alleati: ora è quasi in guerra con la Turchia, ha perso il suo contatto con Hamas (che solidarizza sempre più palesemente con gli insorti) e gli è rimasto solo Hezbollah, che comunque è meno attivo del solito. Il duplice tentativo di forzare la frontiera israeliana sul Golan (il 15 maggio e il 5 giugno 2011) con masse di palestinesi disarmati, non ha prodotto alcuna “terza Intifadah”, come invece sperava Damasco, principale sostenitore dell’iniziativa. Il regime siriano, dunque, deve cercare a tutti i costi un nuovo pretesto. 

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Ecco l’arcipelago degli orrori dove il regime siriano tortura "


Maurizio Molinari

Ventisette centri di tortura dove gli agenti di Bashar Assad infieriscono su oppositori e gente comune, praticando oltre venti diverse tecniche di maltrattamenti e diffondendo il terrore nella popolazione siriana: a descrivere l’«Arcipelago delle torture» è un rapporto di 81 pagine confezionato da Human Rights Watch sulla base delle testimonianze di oltre duecento ex detenuti, ora fuggiti all’estero, che hanno subito abusi dall’inizio della rivolta.

Dieci centri di tortura si trovano a Damasco, gestiti da ogni diverso apparato di sicurezza siriano. Altri sono ad Aleppo (2), nella città portuale di Latakia (4) e in tre dei centri che sono stati teatro delle proteste più intense: Daraa (3), Homs (4) e Idlib (4). I metodi adoperati per infierire sulle vittime includono percosse con mani e bastoni, elettroshock, scosse sui genitali, graffette metalliche sulle orecchie e sul petto, false esecuzioni, unghie strappate, ustioni con l’acido, sospensione al soffitto per i polsi, minacce di stupri e morte dirette contro i famigliari, oltre ad alcune tecniche peculiari dei servizi segreti siriani.

L’ex detenuto «Mustafa», ad esempio, imprigionato nell’agosto 2011 nella «Sezione 227» di Damasco, ha raccontato di essere stato oggetto del «falaqa»: è stato legato mani e polsi a un ’sta come un capretto,e quindi percosso con bastoni d’acciaio. Nella sede dell’intelligence militare di Aleppo invece il detenuto «Omar» nell’aprile 2011 ha subito il «Basat al-Reeh»: legato a una croce di legno, è stato percosso violentemente sotto le palme dei piedi. A Daraa, in un ufficio dell’intelligence dell’aviazione sotto il comando del colonnello Qusay Mihoub, l’ex detenuto «Marwan» nel giugno del 2011 fu portato in un sotterraneo dove due uomini lo obbligarono a stare in ginocchio sul pavimento, colpendolo «sulla bocca e sulle giunture» con lunghi bastoni di gomma con dentro fili di metallo.

A Homs, roccaforte dei ribelli sunniti, l’ex detenuto «Munir» nel maggio 2011 fu trasportato al comando dell’intelligence militare, sotto la responsabilità dell’ufficiale Muhammad Zamreni, per subire il «dulab»: testa e gambe infilate dentro uno pneumatico, poi colpi inferiti con bastoni corti di legno. Fra le vittime ci sono anche donne, anziani e bambini ma in maggioranza si tratta di giovani uomini, compresi fra i 18 e 35 anni.

La conclusione di «Human Rights Watch» è che «torture e orrendi maltrattamenti sono a tal punto estesi, ripetuti e sistematici da poter essere definiti una politica di Stato e dunque costituire un crimine contro l’umanità» destinato a essere contestato dal Tribunale penale internazionale dell’Onu a chi li ha praticati, ordinati e decisi.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Diplomazia debole e protezione russa. Impotenti davanti ai massacri in Siria "


Guido Olimpio

Rapporti terrificanti sulle torture commesse dal regime siriano. Bombe sui centri abitati. Vendette non meno sanguinose dei ribelli. E morti. Tanti morti. Il conflitto in Siria scrive ogni giorno pagine brutali e nessuno sa bene cosa fare.
L'Occidente per ora si è limitato ad aiutare gli insorti con forniture di armi dirette o indirette attraverso gli alleati arabi. Un supporto — si racconta — affiancato da operazioni dell'intelligence. Più determinati alcuni Paesi arabi, come Arabia Saudita, Qatar, Libia, che hanno fornito materiale bellico in quantità all'opposizione. Ma questo è il limite. Nessuno per il momento sembra pensare a un intervento in stile Libia. Gli Usa lo hanno escluso, non meno prudenti i partner europei. Un'azione militare aprirebbe scenari imprevedibili e sarebbe costosa in termine di vita umane. Poi ci sono le diffidenze verso i ribelli, dove non sono pochi gli estremisti. Come dice saggiamente l'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, meglio stare alla larga se non sei sicuro di ciò che viene dopo. E la Siria rientra in questa categoria.
Le indecisioni della diplomazia sommate alla protezione della Russia danno una mano al regime. La satrapia perde i pezzi ma è ancora solida. L'impressione è che il clan Assad, insieme alle minoranze che lo appoggiano, sia pronto ad andare fino in fondo. Con le armi in pugno. Allora si manovra. Pressioni diplomatiche piuttosto sterili e il sostegno — contenuto — all'insurrezione. Si spera di provocare un punto di rottura, quel crac che spinga Mosca a chiedere al leader di farsi da parte per favorire una transizione come invoca l'inviato dell'Onu, Kofi Annan. Un'uscita in extremis per evitare il bagno di sangue finale. L'impressione, però, è che sia troppo tardi. Quando si compiono certe nefandezze e si bruciano migliaia di vite non c'è spazio per soluzioni intermedie. Gli insorti lo hanno fatto capire. Difficile perdonare l'eccidio. La conseguenza è che cinicamente si aspetta una svolta sul terreno. Qualcosa che spezzi il regime o che renda possibile un intervento oggi escluso.

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