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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - L'Opinione - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
23.03.2012 Strage di Tolosa: il terrorista muore nella sparatoria con le forze di sicurezza
analisi di Giulio Meotti, Stefano Magni, Guido Olimpio, Renzo Guolo

Testata:Il Foglio - L'Opinione - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Giulio Meotti - Stefano Magni - Guido Olimpio - Renzo Guolo
Titolo: «Apostati nel mirino - Tolosa, nessuno crede al terrorismo - Dall'Occidente ai campi dei veterani in Afghanistan. Il viaggio low cost dei terroristi fai da te - La strage di Merah, qaedista delle Banlieue»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 23/03/2012, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Apostati nel mirino ". Dall'OPINIONE, a pag. 6, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " Tolosa, nessuno crede al terrorismo ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Dall'Occidente ai campi dei veterani in Afghanistan. Il viaggio low cost dei terroristi fai da te  ". Da REPUBBLICA, a pag. 38, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " La strage di Merah, qaedista delle Banlieue ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Apostati nel mirino "


Giulio Meotti

Roma. La caratteristica dei “takfiri” è il dichiarare qualcuno “apostata”. La mistica islamica giudica lecito uccidere tutti gli “infedeli”, compresi i musulmani che non seguono la sharia. E’ l’accusa di “tradimento della fede” che condusse alla morte il presidente egiziano Anwar al Sadat, il 5 ottobre 1981; il sacrilegio per cui l’ayatollah Khomeini colpisce lo scrittore Salman Rushdie nel 1988 con la condanna a morte; la sedizione che motiva gli sgozzamenti degli ambasciatori algerino ed egiziano in Iraq e prima di loro e con loro di decine di migliaia di altre vittime musulmane in Algeria e Iraq. Era un “takfiro” Mohammed Merah, il terrorista che a Tolosa ha ucciso quattro ebrei. Merah aveva già individuato i suoi prossimi bersagli. Secondo il quotidiano Point, si trattava di “un musulmano funzionario della Direction centrale du renseignement Intérieur”. Un islamico che lavora per i servizi d’intelligence francesi. Si tratta della stessa logica “irachena” che portava i terroristi di al Qaida a fare strage di soldati musulmani in fila per l’arruolamento e i governatori sunniti nella grande regione di al Anbar. Non a caso Merah, prima della scuola ebraica a Tolosa, aveva colpito a Montauban, uccidendo tre paracadutisti, come Imad Ibn Ziaten, marocchino musulmano, e Mohamed Legouad, algerino musulmano. Nel mirino dei takfiri francesi ci sono gli intellettuali islamici prestati alla laïcité. Come Mohamed Sifaoui, l’autore di “Combattre le terrorisme islamiste”, libro in cui racconta il suo ruolo di infiltrato per oltre tre mesi in una cellula francese di al Qaida. Sifaoui ha scritto un secondo libro contro i “fratelli assassini” e ha denunciato in un documentario televisivo il lato oscuro dell’islamista svizzero Tariq Ramadan. Sifaoui ha visto la sua foto e il suo nome accanto alla scritta “apostata”, “le mourtad”, su un sito internet islamista. “Non potrai ritardare la tua ora”, c’era scritto. La protezione intorno a Sifaoui è diventata totale a partire dal 2003 e si è intensificata dopo che l’intellettuale algerino ha scritto un editoriale a difesa di Robert Redeker, il professore di Filosofia costretto a vivere nell’oscurità per un articolo sul Figaro. Un altro obiettivo è Lafif Lakhdar, filosofo di 74 anni residente nella banlieue parigina e uno dei principali pensatori liberali contemporanei. Lakhdar sostiene che la sharia vada abolita per favorire una riforma dell’islam conforme al rispetto dei diritti umani universali. Nel mirino c’è inoltre la “francesizzazione” dell’islam, promossa nel 2005 dall’allora ministro dell’Interno, Nicolas Sarkozy, per combattere il radicalismo e il fondamentalismo religioso che vive e prospera nelle inquiete banlieue. Un programma basato sulla formazione degli imam, la nascita del Consiglio islamico governativo, la sorveglianza dei luoghi di culto. Anche gli imam che denunciano l’estremismo sono diventati un bersaglio. Come l’imam di una moschea di Parigi, Larbi Kechat, che ha denunciato durante la preghiera “le canaglie” del fondamentalismo, “il cui viso diviene rosso come il maiale”, animale immondo per l’islam. Parole che gli sono costate minacce di morte. Come il fautore di un islam repubblicano noto per le sue posizioni contro il velo integrale, l’imam della moschea di Drancy, Hassen Chalghoumi, autore di “Pour l’islam de France”, in cui denuncia l’islamizzazione. Il religioso tunisino è circondato da guardie del corpo, dopo le manifestazioni ostili in seguito alle sue dichiarazioni sul velo integrale che hanno portato alla chiusura per alcuni giorni della moschea, nel dipartimento della Seine-Saint-Denis a forte immigrazione musulmana. Se il killer di Tolosa lottava contro la legge sul velo integrale, l’imam Chalghoumi lo ha definito “una prigione per la donna, di uno strumento di dominazione sessista e di reclutamento islamista”. Nel mirino dei terroristi è finito anche Mansour Kamardine, l’unico deputato islamico di Francia, che ha fatto passare all’Assemblea nazionale un testo che ha abolito la poligamia e il ripudio della moglie nelle Comore, isole francesi islamiche. Gli integralisti gliel’hanno giurata: “E’ un falso musulmano”. E lui: “Sono musulmano sempre tranne quando faccio il deputato”. Abbastanza per una condanna a morte.

L'OPINIONE - Stefano Magni : " Tolosa, nessuno crede al terrorismo "


Stefano Magni

Un colpo alla testa. E così è finito il lungo assedio (32 ore) all’abitazione di Mohammed Merah. Un cecchino delle forze speciali lo ha freddato mentre cercava di fuggire, saltando da un balcone. Il 23enne algerino, che in meno di una settimana ha assassinato tre parà francesi e compiuto la strage della scuola ebraica di Tolosa, si porterà molti segreti nella tomba. Non a caso il presidente Nicolas Sarkozy lo avrebbe voluto prendere vivo. Era isolato o parte di una cellula di Al Qaeda? “Lupo solitario”, lo definisce il ministro dell’Interno di Parigi, Claude Gueant. Lo dice a mo’ di giustificazione, perché i francesi, giustamente, si chiedono come mai i servizi segreti francesi non si fossero accorti di una bomba umana pronta a scoppiare nel bel mezzo della Francia del Sud. “E’ difficile scoprire un lupo solitario”, spiega il ministro, aggiungendo che la mente criminale di Merah si è formata attraverso un processo di “auto-radicalizzazione”. In realtà i servizi segreti interni (Dcri) erano già sulle sue tracce, tanto è vero che i tempi della caccia all’uomo sono stati molto rapidi. Lo tenevano d'occhio almeno dall’anno scorso, quando era tornato dal suo viaggio in Pakistan, che seguiva di un anno un viaggio in Afghanistan compiuto nel 2010. Non era, però, una sorveglianza sufficiente a salvare la vita a 4 adulti e 3 bambini. Perché gli hanno permesso di uccidere così tanto e di accumulare un vero arsenale di armi? “E’ impossibile arrestare qualcuno solo perché ha una visione salafita (fondamentalista islamica, ndr) del mondo – si è giustificato il ministro Gueant – avere un proprio punto di vista non è un crimine”. Il punto di vista, in sé, non è perseguibile. Ma le sue conseguenze? Erano prevedibili, stando alla ricostruzione fatta da una testimone indiretta del caso al quotidiano Le Télegramme, che ha voluto farsi chiamare col nome fittizio di Aisha. Suo figlio, quindicenne, era in contatto con Mohammed Merah e stava subendo da lui un percorso di indottrinamento jihadista a colpi di video di Al Qaeda. Aisha, per aver sottratto il figlio dalle grinfie dell’amico integralista, era stata picchiata e aveva già segnalato due volte il caso alla polizia. Che evidentemente lo ha ritenuto trascurabile. “La polizia sapeva tutto. Sapeva quanto fosse pericoloso questo individuo”, dice la donna. L’arsenale accumulato da Merah (un Kalashnikov, un Uzi, due pistole ed esplosivi) non era improvvisato. Non si può parlare di un “gesto impulsivo” di un pazzo improvvisatosi killer. Anche il fratello, Abdel Kader (sulla cui auto è stato trovato dell’esplosivo) era stato indagato per una presunta attività di reclutamento di jihadisti da inviare in Iraq. Da quella inchiesta era uscito pulito. Ma era sempre tenuto sott’occhio dai servizi segreti. Merah affermava di far parte di Al Qaeda. Anche adesso che è morto, nessuno dà peso a questa sua affermazione. Perché non credergli?

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Dall'Occidente ai campi dei veterani in Afghanistan. Il viaggio low cost dei terroristi fai da te "

WASHINGTON — Gli aerei spia hanno captato le comunicazioni di persone che parlavano con accento marcatamente britannico nel nord dell'Afghanistan. I soldati hanno trovato passaporti intestati a cittadini venuti da Lione o Parigi. I gruppi jihadisti hanno celebrato il «martirio» di una decina di tedeschi. L'ultimo messaggio per ricordare i «caduti» risale a dicembre, si intitola «Sentiero verso il Paradiso, parte sesta» e racconta del periodo 2009-2010. Quasi come un annuario della guerra santa. Tracce che combaciano con le indagini svolte in molti Paesi. Elementi che rivelano come i qaedisti itineranti —dei veri «nomadi» — continuano a raggiungere il santuario nell'area tribale pachistana. Un percorso seguito anche da Mohamed Merah, una figura «ibrida» di terrorista. Capace di agire da solo ma inserito in un quadro più ampio. Una figura simile a quelle di Najibullah Zazi, afghano che voleva attaccare il metrò di New York, e Faisal Shahzad, autore del fallito attentato a Times Square. Protagonisti di una Jihad individuale sorretta dalla complicità dei «vecchi» di Al Qaeda e da soggiorni in Pakistan o Afghanistan. Uno studio ha stabilito che tra il 2004 e il 2011 su 32 piani d'attacco contro l'Occidente il 44% è stato concepito nell'area tribale pachistana. La filiera, rispetto all'epoca d'oro di Al Qaeda, è più complessa e per questo ne partono poche dozzine. Gocce nel mare della militanza, però importanti per la loro origine. I militanti, oggi, devono arrangiarsi. In Europa ci sono meno « facilitator » —uomini che sanno come farti arrivare — e meno denaro. I volontari, a causa dei controlli, cercano di evitare la rotta diretta. Raggiungono la Turchia da qui l'Iran, poi il confine afghano-pachistano. Molti hanno raccontato la pericolosità del viaggio, il rischio di essere depredati, i sospetti di chi vede in loro potenziali spie. Una volta in zona gli estremisti sono suddivisi in piccoli nuclei nel Waziristan (Pakistan) e nel nordovest dell'Afghanistan. Li gestiscono gli insorti uzbeki del Miu, il gruppo scissionista della Jihad e Jund al Khilafa, fazione kazaka che ha mandato una sorta di rivendicazione per Tolosa. Veterani che sono il link con Al Qaeda, garantiscono la preparazione, possono diventare mandanti. Le condizioni spesso sono insopportabili. Merah si è beccato l'epatite, altri hanno lamentato malanni seri e cibo scarso. Non sono mancati casi dove i terroristi sono stati costretti a pagarsi il mitra. Le casse sono vuote. Un militante uzbeko riceve 20 dollari al mese, che può integrare con 7 dollari a figlio. Britannici e tedeschi — i due nuclei più numerosi — sembrano essersi organizzati meglio, con campi «strutturati». Ma si tratta di installazioni mobili, perché questo è il terreno di caccia dei droni americani e dunque c'è il pericolo di essere bombardati. Una volta sistemati i volontari seguono corsi (fino a 3 mesi) per l'uso delle armi e l'indottrinamento. Imparano a preparare bombe con il fertilizzante e l'acetone, prodotti reperibili sul mercato civile. Grande attenzione è dedicata all'impiego delle moto negli attacchi. Finito il training, la maggior parte si unisce agli insorti ma un numero ridotto è rimandato (o ritorna)a casa. E riprende la sua vita normale. Fintanto che in modo autonomo o perché ha ricevuto un ordine «il mujahed migrante» non ridiventa combattente. Per raggiungere — come diceva Merah — il Paradiso.

La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " La strage di Merah, qaedista delle Banlieue"


Renzo Guolo

Registriamo un piccolo passo avanti nelle analisi di Renzo Guolo che, questa volta, ha riconosciuto che ad ispirare il terrorista Merah è stato anche l'odio per Israele : " L´identità dei bersagli di Merah è significativa: militari di origine maghrebina, come i parà di Montauban, musulmani percepiti, nella concezione jihadista, come "apostati" al servizio del Nemico, "traditori" che combattono gli "autentici credenti" in Afghanistan; ebrei, figli di quel popolo di Israele che, attraverso il sionismo ha dato vita a uno Stato ritenuto la causa della sofferenza dei palestinesi. ".
Ecco l'articolo:

Ha voluto il "martirio" Mohammed Merah, il killer di Tolosa e Montauban. Una scelta obbligata per il giovane francese di origine algerina dalla tipica biografia del nuovo terrorismo globalizzato. La morte armi in pugno lo trasforma in shahid agli occhi di quanti si riconoscono nella sua causa. Una morte, la sua e quella che egli ha inferto spietatamente alle sue vittime, che, per chi crede nel qaedismo, riscatta una vita altrimenti destinata alla noia e alla devianza spicciola. Merah era cittadino di un Paese la cui promessa di integrazione è spesso messa in discussione dall´assenza di politiche pubbliche che offrano a chi si chiama Mohammed le stesse chance di partenza di chi si chiama Jacques. Frustrazione, diffusa tra le seconde e le terze generazioni, che può generare la rivolta delle banlieue o la radicalizzazione islamista. Se a questo si aggiunge, come nel caso di Merah, la memoria del colonizzato, in particolare quella dell´algerino che imputa all´antico colonizzatore, sia pure sconfitto nella lotta per l´indipendenza, di aver "moralmente corrotto" le società dei Paesi musulmani che non vogliono un ritorno all´islam politico in versione radicale, allora il cerchio si chiude. Merah ha compiuto lo stesso percorso di altri giovani nel primo decennio di questo tormentato secolo. Se la prima generazione dell´internazionalismo militante islamista combatte i sovietici in Afghanistan negli anni Ottanta, la seconda fa il suo pellegrinaggio jihadista due decenni dopo, per battersi contro gli americani e i loro alleati in Iraq e nell´Afghanistan dei Taliban e di Al Qaeda. Troppo giovane per accorrere nella Mesopotamia della funesta epopea di Zarkawi, Merah "l´afghano" è il classico "lupo solitario" che si ideologizza nelle periferie delle città europee: nel vuoto compulsivo della banlieue di Les Izards, tra storie ordinarie di piccoli crimini e disoccupazione, ibride frequentazioni con spacciatori e salafiti di quartiere, il mito di Al Qaeda come vendicatrice dei soprusi subiti dai musulmani. Anche nella Francia bollata da Zawahiri come "nemico dell´Islam" non solo per essersi schierata a fianco dei "golpisti algerini" negli anni Novanta e con gli americani nella "guerra al terrore", ma per "l´arroganza" dimostrata con la legge sul velo e quella sul burqa. Un giovane, Mohammed, che vuole sfuggire alla routine del lavoro in carrozzeria attraverso la riscoperta della religione come bricolage e della jihad online. E che decide di compiere il viaggio fatale, che lo trasformerà in mujaheddin, nelle aree tribali pakistane dove si addestrano i Taliban e le moschee deobandi danno forma alla loro rigida concezione dell´Islam. Da lì varcherà la linea Durand insieme a altri europei dalla doppia nazionalità, tedesco-marocchina o francese-algerina, per combattere in Afghanistan contro la coalizione occidentale. Dunque anche contro la Francia, il suo Paese. Al quale, come spesso accade a ogni mujaheddin europeo, poi ritornerà. Magari durante l´inverno, stagione che, ai piedi dell´Hindu Kush, scandisce il tempo ciclico della guerra. Non è un caso che servizi e antiterrorismo francesi siano arrivati a Merah setacciando non solo i protocolli Internet, malamente usati dalla sua cellula "familiare", ma anche i loro archivi: nei quali vi era una segnalazione di un suo fermo alla periferia di Kandahar. Una traiettoria, quella che va dalle aree tribali pakistane, passando per la città culla del movimento del Mullah Omar, sino a Tolosa, che rivela la mobilità del terrorismo degli "irregolari" globali; di quanti combattono nelle terre del jihad per qualche mese o anno, per poi riprendere, mimeticamente, una vita all´apparenza normale a migliaia di chilometri di distanza. Per restare "in sonno" sino a quando l´impulso all´azione, o un particolare momento politico, li indurrà a agire. Non necessariamente per un input di altri elementi della rete jihadista, ma spinti dal magnete della loro "bussola" ideologica. Un percorso che rivela come l´ideologia qaedista possa sopravvivere alla stessa crisi di Al Qaeda. Tanto lunga è la sua genesi e la penetrazione nell´immaginario collettivo della "generazione del fronte". Un´ideologia forgiata attorno alla figura del Nemico, che cristallizza il campo degli antagonisti irriducibili. L´identità dei bersagli di Merah è significativa: militari di origine maghrebina, come i parà di Montauban, musulmani percepiti, nella concezione jihadista, come "apostati" al servizio del Nemico, "traditori" che combattono gli "autentici credenti" in Afghanistan; ebrei, figli di quel popolo di Israele che, attraverso il sionismo ha dato vita a uno Stato ritenuto la causa della sofferenza dei palestinesi. È di questa ideologia mortifera che muore Merah, il qaedista delle periferie.

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