domenica 05 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Il Foglio - L'Opinione - Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.02.2012 Iran: continuano i progressi col nucleare. A che cosa servono le sanzioni?
Analisi di Giulio Meotti, Stefano Magni, Daniele Raineri. Cronaca di Cecilia Zecchinelli

Testata:Il Foglio - L'Opinione - Corriere della Sera
Autore: Giulio Meotti - Stefano Magni - Daniele Raineri - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Kleinkopf - L’Iran nel Mediterraneo - Obama e l’opzione Swift: è l’atomica delle sanzioni bancarie contro l’Iran - La minaccia di Teheran: stop petrolio all'Italia»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/02/2012, a pag. 1-4, gli articoli di Giulio Meotti e Daniele Raineri titolati "Kleinkopf  " e  "Obama e l’opzione Swift: è l’atomica delle sanzioni bancarie contro l’Iran". Dall'OPINIONE, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " L’Iran nel Mediterraneo ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 24, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " La minaccia di Teheran: stop petrolio all'Italia ". Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Kleinkopf "


Giulio Meotti

Roma. Ufficiali dell’Aiea, citati dall’Associated Press, hanno rivelato che Teheran avrebbe compiuto importanti progressi nucleari nel bunker di Fordo. Si parla di macchinari “più rapidi ed efficienti nell’arricchimento dell’uranio” e della possibilità di usare il sito per lavorare al “materiale fissile a uso militare”. Così, fra le navi da guerra iraniane che attraversano lo Stretto di Suez e l’ayatollah Ali Khamenei che definisce Israele “un tumore da estirpare”, i toni restano quelli da resa dei conti imminente. Il via vai di ufficiali americani a Gerusalemme parla dei timori della Casa Bianca che Israele possa lanciare lo strike contro Teheran. Netanyahu ha ricevuto il Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Tom Donilon, e nei prossimi giorni arriverà a Gerusalemme James Clapper, a capo dell’Intelligence americana. A metà marzo Netanyahu sarà negli Stati Uniti per incontrare Obama. Washington vuole che Israele conceda tempo fino a novembre alle sanzioni per fare effetto sul regime iraniano, ma per Israele potrebbe essere tardi per fermare gli ayatollah. Il mese scorso il capo di stato maggiore americano, Martin Dempsey, ha detto che uno strike israeliano su Teheran sarebbe “destabilizzante” e “prematuro”. Ieri Haaretz ha scritto che l’Amministrazione Obama è insofferente sui toni “sbagliati” di Ehud Barak, il ministro della Difesa israeliano e il più falco, assieme al primo ministro Netanyahu, sull’attacco preventivo. Una settimana fa il Washington Post ha affibbiato al capo del Pentagono, Leon Panetta, la dichiarazione secondo cui Israele è orientato a un attacco militare contro l’Iran a primavera e quindi prima dell’asserito “punto di non ritorno”, ovvero il concreto assemblaggio di ordigni atomici che, secondo l’intelligence israeliana, Teheran potrebbe realizzare entro l’anno disponendo già di “uranio arricchito al venti per cento sufficiente alla produzione di quattro bombe”. La teoria di Barak sull’“immunità”, la fase nella quale il processo di arricchimento diventa inarrestabile e immune ai bombardamenti, non piace agli americani. Secondo Barak tutto è cambiato da quando gli iraniani hanno iniziato, lo scorso settembre, a trasferire i macchinari che arricchiscono il combustibile nucleare dalla città di Natanz al bunker di Fordo. Secondo una inchiesta di Newsweek, “Obama è disposto ad affrontare il problema Iran da ogni angolazione: da dietro, da ogni lato, con franchezza, in segreto, diplomaticamente ed economicamente”, ma sul Financial Times Edward Luce scrive che non è escluso che Washington possa schierarsi a favore dello strike. Fra gli esperti israeliani c’è chi legge gli allarmi statunitensi come una “luce verde” allo stato ebraico. All’interno dell’Amministrazione Obama una forte corrente crede che le sanzioni siano destinate a fallire e che il loro uso principale in questo momento sia rinviare l’attacco israeliano a dopo le elezioni presidenziali. Ieri anche il Guardian ha scritto che fonti del Pentagono e del Dipartimento di Stato sono sempre più convinti dell’inutilità delle sanzioni contro Teheran. Alla radio militare il vicepremier israeliano, Moshe Yaalon, ha affermato che nel suo gabinetto “c’è delusione per l’atteggiamento dell’Amministrazione Obama sulle sanzioni a Teheran”. Tradotto: Israele le voleva ancora più dure. All’inizio di febbraio Tamir Pardo, capo degli 007 israeliani, a Washington ha incontrato i vertici della politica e della Difesa americana per saggiare la loro opinione sullo strike. Secondo la stampa israeliana, il Mossad dal luglio all’ottobre 2011 “ha cessato di condividere con gli Stati Uniti le informazioni sulla preparazione militare”, tanto che secondo Newsweek Washington si sarebbe trovato di fronte a un “buco nero” sulle attività israeliane. “Washington ha l’impressione che Barak giocherà un ruolo decisivo nella decisione di Netanyahu”, scrive il giornale israeliano Haaretz. Dieci giorni fa il primo ministro ha chiesto ai suoi di restare in silenzio sull’Iran. Da allora, soltanto Barak ha minacciato l’Iran in pubblico. A differenza di Netanyahu “l’amerikano”, Barak notoriamente non è a proprio agio con l’establishment di Washington. Il suo inglese ha un fortissimo accento israeliano, con la erre gutturale e l’impaccio dello scabro soldato israeliano. Durante la prima Guerra del Golfo, quando era vice capo di stato maggiore, Barak chiamò il generale Norman Schwarzkopf, allora comandante delle forze statunitensi in Iraq, “Kleinkopf”. Significa testa piccola.

L'OPINIONE - Stefano Magni : " L’Iran nel Mediterraneo "


Stefano Magni

Due unità della marina militare iraniana, il cacciatorpediniere Shahid Qandi e una nave appoggio, tre giorni fa hanno attraversato il canale di Suez e da due giorni stazionano “pacificamente” nella base di Tartus in Siria. Benché Israele non sia direttamente minacciato dalla loro presenza (e comunque la marina dello Stato ebraico ha monitorato attentamente il percorso delle due unità), le implicazioni politiche di un gesto simile sono estremamente gravi. La vicenda coinvolge ben tre Paesi, oltre a Israele e Iran: Russia, Siria ed Egitto. Vediamo il perché.
Russia: il Cremlino sta tornando ad essere un attore di primo piano in Medio Oriente. A scapito delle democrazie occidentali. Proprio come avveniva durante la guerra fredda. Dal momento dello scoppio della crisi siriana, la Russia si è schierata decisamente dalla parte del regime di Assad, indipendentemente dalla violenza della sua repressione interna. Esercitando il suo diritto di veto, la leadership del Cremlino ha finora impedito qualsiasi sanzione internazionale. Non lo fa solo nel nome della “stabilità”, ma anche e soprattutto per mantenere una presenza nel Mediterraneo. Nella base di Tartus. Ora, ospitando due unità della marina iraniana, la Russia lancia anche un altro messaggio: difende le ragioni di Teheran. E proprio in un periodo in cui il regime iraniano, oltre a lanciare provocazioni (fra cui la minaccia di sospendere le esportazioni di petrolio all’Ue, Italia compresa) si appresta ad affrontare un nuovo round di colloqui sul suo programma nucleare. Fra i “5+1” negoziatori internazionali che dovranno impegnarsi nella trattativa c’è anche la Russia. Che, come è prevedibile, cercherà di difendere le ragioni di Teheran sul suo “diritto al nucleare”. Indipendentemente da quello che verrà scoperto o non scoperto dagli ispettori dell’Aiea, appena giunti in territorio iraniano.
Siria: ospitando le navi iraniane conferma la sua alleanza con l’Iran. In chiave anti-israeliana, ovviamente. In caso di crisi finale del regime di Damasco, appare sempre più probabile l’ipotesi di uno “sfogo” del conflitto all’estero, contro Israele. Anche con l’appoggio dell’Iran e della sua “appendice” locale, costituita dalle milizie Hezbollah.
Egitto: si tende a dimenticare il suo ruolo in questa vicenda. Ma se due unità iraniane sono entrate nel Mediterraneo lo hanno fatto passando dal canale di Suez. E’ la seconda volta che lo fanno, in meno di un anno. Prima dell’anno scorso non era mai successo, dal 1979 (prima della rivoluzione islamica iraniana). A cosa mira l’Egitto? Considerando che il governo (provvisorio) e i militari si dicono disposti a “rivedere” il trattato di pace con lo Stato ebraico?

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Obama e l’opzione Swift: è l’atomica delle sanzioni bancarie contro l’Iran "


Daniele Raineri

Roma. Ieri il Brent è salito oltre quota 121 dollari al barile di greggio, il prezzo più alto in nove mesi, per colpa della dichiarazione di domenica da parte del governo iraniano: non vendiamo più a Francia e Gran Bretagna. L’annuncio è una rappresaglia economica preventiva contro l’Unione eropea, che a gennaio aveva annunciato a sua volta di rinunciare al petrolio iraniano – a partire da luglio. Allo stesso tempo la Casa Bianca sta lavorando a una sanzione bancaria definitiva, capace di mettere in crisi l’economia del governo di Teheran, se effettivamente fosse realizzata. Domenica si è trattato di un colpo d’avvertimento da parte dell’Iran, senza effetti reali. La Gran Bretagna non compra petrolio iraniano da sei mesi, e quando lo faceva era per coprire soltanto l’un per cento delle sue necessità. Anche per la Francia l’impatto è minimo, ne importa il tre per cento dall’Iran. “Fermare questo piccolo export verso Regno Unito e Francia comporta un rischio decisamente minore per l’Iran – dice Caroline Bain, analista di commodity dell’Economist Intelligence Unit – anzi ottiene l’effetto opposto, conquista i titoli in prima pagina sui giornali e fa alzare il prezzo, che è una cosa che Teheran guarda decisamente con favore”. In questo il governo iraniano potrebbe essere accontentato: JP Morgan Chase ha alzato la previsione 2012 sul greggio di sei dollari, a quota 118 al barile. Il colpo d’avvertimento riguarda piuttosto l’Italia, che compra dall’Iran il 13 per cento del suo petrolio, la Spagna, che ne compra il 15 per cento, e la Grecia, che ne compra un terzo. Didier Houssin è il direttore del settore Mercato dell’energia e sicurezza dell’Agenzia internazionale per l’energia e con Reuters usa toni rassicuranti: l’Unione europea può vivere senza il greggio dell’Iran. I clienti si stanno adattando all’embargo in arrivo grazie ad accordi con nuovi fornitori e la domanda sta per diminuire con la fine dell’inverno nell’emisfero nord. Da 500 mila barili comprati ogni giorno dall’Iran gli europei sono già scesi a 300 mila. “Anche se Teheran prendesse oggi la decisione di tagliare le esportazioni, l’impatto sarebbe minimo. I clienti sono pronti e siamo vicini alla fine dell’inverno, quando di solito le raffinerie europee si fermano per manutenzione”. La minaccia del ministro del Petrolio iraniano, Rostam Qassemi, di sospendere i rifornimenti per ora va a vuoto. L’Amministrazione Obama lavora alla sanzione economica definitiva, una Bomba atomica bancaria che ha il potenziale per mettere in crisi l’economia dell’Iran: vuole che il paese sia estromesso dalla Swift, che è la società internazionale con sede a Bruxelles che dagli anni Settanta rende più sicure e veloci le transazioni tra banche di paesi diversi. La Swift fa da garante e da snodo ogni giorno a diciotto milioni di transazioni finanziarie tra diecimila banche in 210 paesi, che altrimenti dovrebbero essere verificate una per una. Quaranta banche iraniane sono iscritte alla Swift, e sono loro a occuparsi della compravendita di greggio che regge le casse dello stato. La Swift è la ruota che fa girare il meccanismo bancario nel mondo globalizzato: estromettere l’Iran è, come dice un editoriale di Asia Times, un atto di guerra economica. Che è già in corso: da dicembre, per le sanzioni, il rial ha perso metà del valore contro il dollaro Rappresentanti della Swift dovrebbero incontrare una delegazione americana e dell’Unione europea questa settimana. Mark Dubowitz, un esperto di sanzioni che fa da consulente alla Casa Bianca sul dossier Iran, dice all’Associated Press che l’Amministrazione Obama sta valutando con sedute lunghe e discusse se andare fino in fondo con l’opzione Swift, e le possibili conseguenze sull’economia mondiale. Il prezzo del greggio potrebbe salire e la reputazione della società europea potrebbe essere danneggiata irreparabilmente (cosa penseranno da ora in poi i membri, dell’idea di poter essere estromessi per le pressioni americane?). Prima di oggi la Swift acconsentì soltanto a un’altra domanda dalla Casa Bianca, sui dati bancari sospetti dopo gli attacchi dell’11 settembre. Ora la richiesta dell’Amministrazione Obama è più forte e ha conseguenze più ampie.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : "La minaccia di Teheran: stop petrolio all'Italia "


Mahmoud Ahmadinejad

Dopo il blocco delle vendite di greggio a Francia e Gran Bretagna, l'Iran ora minaccia gli altri Paesi europei, tra cui l'Italia, di punirli con la stessa misura se «continueranno nei loro atti ostili contro Teheran». E questo, ha aggiunto ieri il presidente della compagnia nazionale Nioc, Ahmad Qalabani, in «una situazione di mercato che rende probabile un rialzo del barile fino a 150 dollari». L'annuncio di domenica sullo stop alle vendite a Parigi e Londra era stato considerato simbolico: le transazioni sono ormai inesistenti. In vista dell'embargo totale sugli idrocarburi iraniani a partire dal 1° luglio, deciso dalla Ue in gennaio, anche gli altri clienti (oltre a noi soprattutto spagnoli e greci) hanno smesso o ridotto di molto gli acquisti, segnalano fonti del mercato. La minaccia di Qalabani sembra così l'ennesima mossa tattica della Repubblica islamica nella partita sul nucleare, con gli americani in manovra nel Golfo, Israele determinata a colpire i siti nucleari, gli ispettori Onu sbarcati ieri a Teheran per l'ennesimo tentativo di mediazione sul dossier atomico.
L'effetto psicologico, dicono gli analisti, però c'è stato: ieri il greggio ha segnato un nuovo massimo da otto mesi, con il Brent fino a 121,15 dollari, l'1,3% in più di venerdì. E questo nonostante la Ue abbia dichiarato di avere stock sufficienti per fronteggiare un eventuale blocco, e lo stesso Iran stia trovando serie difficoltà nel vendere il petrolio finora destinato all'Europa e potrebbe vedersi costretto a concedere forti sconti.

Per inviare il proprio parere a Foglio, Opinione, Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@ilfoglio.it
diaconale@opinione.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT