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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale - Il Foglio - L'Opinione - Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.10.2011 Gilad Shalit: i commenti
di Fiamma Nirenstein, Giulio Meotti, Pio Pompa, Stefano Magni, Fausto Biloslavo, Meir Shalev

Testata:Il Giornale - Il Foglio - L'Opinione - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Giulio Meotti - Pio Pompa - Stefano Magni - Fausto Biloslavo - Meir Shalev
Titolo: «Israele si sveglia all’alba per l’abbraccio a Shalit - Il soldato è a casa, ma Israele ha ipotecato molte vite innocenti - Quella volta che si poteva salvare Shalit, ma si perse tempo - Idf e Shin Bet si chiedono perché non lo abbiano liberato loro - L’or»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 19/10/2011, a pag. 15, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Israele si sveglia all’alba per l’abbraccio a Shalit ", l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " L’ordine segreto: sparate sui rapitori e sui rapiti ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Il soldato è a casa, ma Israele ha ipotecato molte vite innocenti ", l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Quella volta che si poteva salvare Shalit, ma si perse tempo ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'articolo di Meir Shalev dal titolo " Salvare anche un solo uomo, ecco la forza di Israele ". Dall'OPINIONE, a pag. 6, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " Idf e Shin Bet si chiedono perché non lo abbiano liberato loro ".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Israele si sveglia all’alba per l’abbraccio a Shalit "


Fiamma Nirenstein, Noam Shalit abbraccia suo figlio Gilad

Israele ha messo la sveglia alle 5 di mattina per non perdere un attimo del ritorno di Gilad Shalit. Del corpo vivo di Gilad. Voleva, tutto quanto, assistere alla realizzazione della grande promessa di Israele, che dice: «Madre che temi per il tuo figliolo soldato, e qui una guerra può sempre accadere, non sarai abbandonata in nessun caso, nemmeno nella situazione più estrema». Voleva vedere la tradizione ebraica farsi politica con tutta la sua concezione utopistica, quella per cui ogni uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, vale tutto, e in ogni circostanza. E questo in particolare dopo che a mucchi, a schiere che restavano senza nome, gli ebrei sono stati sbriciolati dalle persecuzioni e dalla Shoah.
Tutta Israele ieri è stata una cosa sola intorno a Gilad. Le postazioni televisive sono state piazzate ovunque, a casa, a Mitzpei Hila, dove Noam Shalit ha piazzato una enorme bandiera bianca e azzurra con la stella di David sul tetto; a Kerem Shalom, punto d’incontro fra Israele, Gaza e Egitto, dove Gilad in un giro barocco e piuttosto angoscioso è stato prima passato agli egiziani e poi a Israele; a Tel Nof, base aeronautica dove Gilad ha incontrato Bibi Netanyahu e i suoi genitori, per poi andare a casa; di fronte alle carceri da cui sono partiti i pullman con i primi 450 prigionieri palestinesi liberati; dalla parte palestinese, dove si sono svolte le cerimonie di accoglienza che hanno mostrato come, lungi dal vergognarsi dei più terribili terroristi, essi vengano uno per uno baciati e abbracciati non solo da Hismail Hanjye o da Khaled Mashaal, capi di Hamas, ma anche da Abu Mazen, capo di Fatah.
Israele è contenta e soffre, ma è comunque unita sul corpo magrissimo di Gilad, sul suo pallore di creatura a lungo rinchiusa, su quel mucchietto di ossa eroiche che hanno saputo resistere per cinque anni e mezzo in qualche cunicolo alla evidente denutrizione, alla solitudine all’oscurità a cui è stato abbandonato senza gli occhiali che subito gli sono stati restituiti. Tutta Israele si interroga su quel braccio destro che ciondola e sulla gamba che zoppica, sulla fatica del salire sull’elicottero, chissà da quanto tempo Gilad non ha fatto una scala; si rallegra che anche se con poche parole dia prova di essere in sé, timido e preciso come sempre.
Israele non ha per Gilad Shalit, quali che siano oggi le paure e la sofferenza, che fiori e baci: il dolore delle famiglie degli uccisi ieri si è sentito come un indispensabile prezzo, l’abbraccio per Gilad è stato di tutti. Le magliette dei sostenitori portano in blu i primi versi di una canzone che tutti sanno: «Com’è bello che tu sia a casa». Ma dall’altra parte si ricevevano con fucili e spari e slogan che promettono di annegare gli ebrei nel sangue - uno su tutti, quello di chi ieri inneggiava: «Vogliamo un altro Gilad» - tanti assassini plurimi come Nasser Batima che ha organizzato l’uccisione di 30 convitati a una cena di Pasqua, o come Hasam Badran che fatto fuori 21 ragazzini davanti alla discoteca del Dolphinarium… Alla fine dello scambio saranno 1027 contro un soldato di leva di 25 anni che ne ha passati cinque da sequestrato. Quelli visti finora sono scesi dagli autobus gridando morte e terrorismo. È stupefacente che le tv più importanti, come la Cnn, seguitino a chiamare i terroristi «militanti» e che dopo i processi tenuti nei tribunali israeliani, noti per la loro equità, i crimini accertati vengano richiamati come opinabili accuse israeliane. L’interpretazione politicamente corretta è quella che forse adesso Hamas diventerà un interlocutore per Israele: a guardare la folla che la festeggia, si vede con chiarezza che un’esaltazione filo terrorista è il più evidente risultato della soddisfazione per lo scambio.
Ma i genitori, i figli, le mogli che vedono gli assassini dei loro cari tornare in libertà, pronti, secondo le statistiche per il sessanta per cento, a colpire di nuovo, ieri erano pallide voci senza forza politica di fronte alla presenza fisica e simbolica di Gilad. Netanyahu ha detto sorridente al padre Noam: «Ti ho restituito il tuo ragazzo», e il ragazzo si è ripresentato uomo, in una larga divisa da soldato, con gradi accresciuti, da caporale a sergente, è scattato nel saluto militare guardando Bibi negli occhi. Si è scusato: «Scusa, sono un po’ debole». Si, nel corpo, sergente Shalit, non nell’anima. Come Israele.
www.fiammanirenstein.com

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Il soldato è a casa, ma Israele ha ipotecato molte vite innocenti "


Giulio Meotti, Hamas

E’ impossibile oggi non stringersi attorno alla silhouette sottile e fragile di Gilad Shalit, il caporale israeliano che ieri ha riabbracciato la famiglia in cambio di mille terroristi palestinesi. Lo scambio è emblematico dell’assedio del piccolo popolo ebraico nel mare del fanatismo arabo islamico. Ma l’allegria per la liberazione è concessa soltanto a chi ha la memoria corta. Nell’antinomia tragica dello scambio la deterrenza israeliana è radicalmente compromessa. Non passerà molto tempo prima che Hamas cercherà di rapire altri soldati. Nel 2006 Hezbollah rapì, assassinò e scambiò le salme di due soldati israeliani dopo che alcuni anni prima aveva visto liberare migliaia di miliziani in cambio di qualche povero cadavere ebraico. L’obiettivo, dice oggi Hamas, è “svuotare le carceri israeliane” e i nomi in cima alla lista sono il capopopolo Marwan Barghouti, l’assassino di settanta civili israeliani Ibrahim Hammed, il “meccanico”dei kamikaze Abdullah Barghouti e il capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Ahmed Saadat. Non passerà molto tempo prima che i terroristi liberati tornino a uccidere. L’associazione Almagor calcola che 33 attacchi fino a oggi sono stati portati a termine da terroristi rilasciati in altri scambi e 177 israeliani vi hanno perso la vita. L’immoralità dello scambio giace qui: che al posto della testa di Shalit lo stato ebraico ha messo un’ipoteca sull’intera popolazione israeliana. I mandanti delle stragi del passato, da Barghouti ad Ahmed Yassin, furono liberati in scambi precedenti. Israele ha messo in secondo piano la rabbia di chi ha perso familiari per mano di questi killer e delle migliaia di disabili che oggi vedono i propri carnefici festeggiare a Gaza e Nablus. Avevano solo la certezza della pena: “nullum crimen sine poena”. Ieri alla Corte suprema Shvuel Schijveschuurder ha promesso di farsi giustizia da sé in nome della famiglia sterminata in una pizzeria. Anche i commandos sono furiosi, sanno che dopo Shalit il rischio di essere rapiti è altissimo. Con questo scambio, Hamas ha unificato i palestinesi, liberando in un colpo i suoi, gli sgherri di Fatah e persino arabi israeliani (è il sogno di uno stato islamico dal mare al mediterraneo). Infine dopo Shalit, Hamas può dire che l’uccisione di ebrei paga più delle chiacchiere all’Onu. Nessun altro paese al mondo avrebbe agito così, pegno della moralità d’Israele e della sua ossessione, contagiosa e fervorosa, per la vita. Ma la sete di sangue dei terroristi palestinesi è insaziabile. Capitolare porta solo a maggiori disastri.

Il FOGLIO - Pio Pompa : " Quella volta che si poteva salvare Shalit, ma si perse tempo "


Pio Pompa, Gilad Shalit

Il rilancio della simbiosi mutualistica, tra Hamas e la Fratellanza musulmana, ha finito con il trasformare la liberazione di Gilad Shalit nella quintessenza del processo evolutivo subìto dalla primavera araba in Egitto. La data del 18 ottobre 2011 non indica solo il giorno del ritorno a casa di Shalit ma sancisce definitivamente i mutamenti intervenuti negli equilibri mediorientali scanditi dalla deriva islamista dei sommovimenti avvenuti in quello scacchiere. Di qui la grandezza del coraggio d’Israele nel rimettere a piede libero un migliaio di terroristi per salvare la vita di un suo soldato, e la miopia della maggioranza dei paesi occidentali che ha preferito occuparsi della Libia piuttosto che dei loro veri nemici. Un simile scenario lo si era già vissuto nelle fasi precedenti il conflitto israelo-libanese del 2006. Subito dopo la notizia del rapimento di Shalit, il 25 giugno, alcune agenzie di intelligence occidentali, introdotte presso Hezbollah e Hamas, d’accordo con Israele assunsero l’iniziativa di proporsi come mediatori per il rilascio di Shalit. Il compito di apripista fu affidato a un servizio segreto ritenuto sia da Teheran sia da Damasco un interlocutore equilibrato e affidabile. Il 12 luglio un commando di Hezbollah varcò la frontiera uccidendo tre soldati israeliani e sequestrando i sergenti, rimasti feriti durante l’attacco, Eldav Regev e Ehud Goldwasser. A tale punto sembrò che tutto fosse perduto e la guerra inevitabile. Invece le dinamiche interne al quartetto composto da Iran, Siria, Hezbollah e Hamas fecero sì che si aprissero insperati margini di trattativa. Il capo del servizio segreto che fungeva da apripista fu contattato da emissari iraniani e siriani che gli trasmisero la decisione di consegnare a lui in persona Gilad Shalit e, vivi o morti, Eldav Regev e Ehud Goldwasser. Ottenuto il consenso e l’appoggio d’Israele, il capo di quel servizio compì tutti i passi formali necessari informando il suo governo dell’opportunità di salvare Shalit e di disinnescare l’avvio di un sanguinoso conflitto chiedendo l’autorizzazione per condurre a termine l’operazione recandosi nel luogo prestabilito per la consegna dei tre militari israeliani. Tutto era pronto e il volo speciale attendeva sulla pista dell’aeroporto militare. Ma quell’autorizzazione non arrivò mai. Le varie cancellerie avevano chiesto tempi di riflessione che la realtà della situazione non consentiva. Così, mentre Shalit si avviava verso la sua lunga detenzione, il conflitto tra Libano e Israele fu lasciato al suo destino.

L'OPINIONE - Stefano Magni : " Idf e Shin Bet si chiedono perché non lo abbiano liberato loro "


Stefano Magni, Tzahal

La liberazione del caporale Gilad Shalit in cambio della scarcerazione di 1027 palestinesi provoca in Israele sentimenti molto contrastanti. C’è grande confusione fra il Giordano e il Mediterraneo, come rileva l’ultimo sondaggio pubblicato sul quotidiano Yediot Aharonot: il 79% degli intervistati si dice felice, ma una minoranza prova rabbia, frustrazione o terrore. Chiaramente le famiglie delle vittime dei terroristi che stanno uscendo di prigione sono in prima linea fra i critici. C’è dell’altro. Israele, che ha liberato, complessivamente, circa 13mila prigionieri in cambio di 16 suoi cittadini in cattività, dimostra di attribuire alla vita e alla libertà dei propri uomini molto più valore rispetto alla morte o alla prigionia dei suoi nemici. Ma non è più il Paese che, il 4 luglio 1976, mandò le sue forze speciali fino in Uganda per liberare i suoi ostaggi con un blitz militare. Israele, oggi, non conduce più azioni simili, ispirate al principio di salvare le vite ai propri cittadini senza scendere a compromessi con il nemico. E’ un cambiamento di mentalità o un calo di efficienza? Probabilmente pesa, psicologicamente, l’insuccesso storico del blitz per la liberazione di Nachshon Wachsman, nel 1994. Wachsman, in servizio presso la Brigata Golani, fu rapito da Mohammed Deif (attuale comandante delle Brigate al Qassam di Hamas) a Bnai Atarot, il 9 ottobre 1994, in pieno territorio israeliano. Hamas, allora, chiedeva la liberazione di 200 prigionieri. Il 14 ottobre, alla scadenza dell’ultimatum per lo scambio, un commando dell’Idf (forze di difesa israeliane) tentò il blitz, ma il comandante del gruppo fu ucciso e l’ostaggio venne trovato morto. Allora l’Idf aveva comunque individuato il nascondiglio dei rapitori. Nel caso di Shalit, a quanto risulta, l’esercito dello Stato ebraico non è mai riuscito a scoprire dove Hamas lo tenesse prigioniero. Nel dicembre del 2007 era già scoppiata una polemica sulla mancanza di dati di intelligence necessari a condurre un blitz di liberazione. Ami Ayalon, allora membro del ministero della Difesa, parlò di “fallimento dell’intelligence”. Rispondendo alle domande degli abitanti del kibbutz Moledet, aveva dichiarato: “Semplicemente non abbiamo sufficienti informazioni di intelligence. Questo è l’unico fattore che ci impedisce di passar subito all’azione” per liberare Shalit. Lo aveva solo parzialmente smentito Ehud Barak, allora, come oggi, ministro della Difesa: “Abbiamo già fatto molti sforzi (per liberare Shalit, ndr) e le informazioni non conducono necessariamente a un blitz militare. E’ vero che non abbiamo abbastanza dati per riportarlo a casa, ma stiamo lavorando con costanza su questo problema con la maggior determinazione”. A liberazione avvenuta, ieri, un ex ufficiale dell’Idf, il colonnello Ronen Cohen, ha parlato esplicitamente in termini di “fallimento” delle forze armate in un’intervista rilasciata al quotidiano Haaretz: “La fine dell’affare Shalit, nel modo che abbiamo visto, è un triste giorno per l’Idf”. Ronen Cohen imputa questa disfatta al trasferimento di tutta l’operazione di intelligence dall’esercito allo Shin Bet, l’agenzia di sicurezza. A sua volta, l’ex direttore dello Shin Bet, Yuval Diskin, in carica fino allo scorso maggio, considera la mancata liberazione del caporale come “un fallimento personale”. L’attuale direttore, Yoram Cohen, al momento del raggiungimento dell’accordo con Hamas, aveva dichiarato che non vi fossero soluzioni alternative possibili allo scambio di prigionieri. E’ questa sensazione di sconfitta, più che la liberazione in sé di un migliaio di palestinesi, che riempie di terrore una parte della cittadinanza israeliana. Hamas e il terrorismo jihadista in generale, hanno sempre dimostrato di saper sfruttare molto bene le debolezze del nemico.

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " L’ordine segreto: sparate sui rapitori e sui rapiti "


Fausto Biloslavo, Gilad Shalit con Bibi Netanyahu

Israele, nella sua storia di oltre mezzo secolo, ha liberato 12482 prigionieri in cambio di 15 soldati dello Stato ebraico. Non solo: in alcuni casi ha ottenuto solo le ossa dei suoi uomini morti in battaglia. Un prezzo enorme che si basa sul concetto di non lasciare mai indietro nessuno. Hamas lo sa bene e poche ore dopo la liberazione di Shalit ribadiva che tutti i prigionieri palestinesi devono venir rilasciati «ad ogni costo», anche quello di nuovi sequestri di soldati d'Israele.
In 54 anni, secondo i calcoli del quotidiano Haaretz, lo Stato ebraico ha dovuto rilasciare una media di 800 prigionieri per ogni militare riportato a casa. Nel 1985 furono liberati 1150 detenuti in cambio di tre soldati catturati in Libano. In seguito si cominciò a trattare sui resti dei militari. Il corpo di un sergente israeliano ucciso nel 1997 nel Paese dei cedri venne scambiato con 65 prigionieri e i cadaveri di 40 miliziani sciiti. Nell'ottobre 2000 tre soldati israeliani vennero uccisi durante un'incursione di Hezbollah. Quattro anni dopo tornarono indietro i corpi, assieme all'ex colonnello Elchanan Tenenbaum rapito in Kuwait, in cambio di 430 prigionieri, in gran parte palestinesi. Per il pilota Ron Arad, abbattuto nei cieli del Libano, gli israeliani rapirono esponenti di spicco delle milizie sciite come sheik Abdul Karim Obeid e Mustafa Dirani. Arad è stato probabilmente ucciso sotto tortura in Iran, ma i due sequestrati eccellenti tornarono a casa nello scambio del 2004.
Poche ore dopo la liberazione di Shalit il numero due di Hamas, Mussa Abu Marzuk, ha minacciato: «Israele deve liberare tutti i prigionieri. Se non saranno rimessi in libertà in modo normale, avverrà per altre vie». I suoi seguaci hanno inscenato manifestazioni in Cisgiordania invocando nuovi rapimenti di soldati israeliani.
Tsahal, l'esercito israeliano, emanò un ordine segreto nel 1986 che autorizza i militari a sparare sul commando di rapitori «anche se significa colpire i propri soldati» presi in ostaggio. Dopo la cattura di Shalit i comandanti sul terreno hanno dato istruzioni sempre più drastiche. Il tenente colonnello Shuki Ribak, in vista dell'attacco a Gaza del 2008, sentenziò: «Nessun soldato di questa unità può venir rapito in qualsiasi circostanza. Significa che dovete far esplodere una bomba a mano saltando in aria con chi tenta di sequestrarvi».

CORRIERE della SERA -  Meir Shalev : " Salvare anche un solo uomo, ecco la forza di Israele "


Meir Shalev, Gilad Shalit

Di solito non guardo molta televisione, ma oggi l'ho accesa alle sette di mattina e fino ad ora — sette di sera — è ancora accesa. Guardo il ritorno dell'ostaggio israeliano Gilad Shalit dalla prigionia di Hamas fino a casa, passo di canale in canale e nonostante le grida contrarie di alcuni israeliani di destra e di alcune famiglie delle vittime del terrorismo mi identifico con la maggior parte dei cittadini israeliani che appoggiano questo scambio.
Sono terribilmente scosso da come appare Gilad Shalit: così magro, affamato e debole. Hamas non ha mai permesso alla Croce Rossa di andarlo a trovare, senza parlare della famiglia, e non ha permesso neppure scambi di lettere. Persino gli occhiali da vista — Gilad Shalit non ci vede bene e i suoi occhiali sono scomparsi dopo che è stato rapito — non ha potuto ricevere.
Già da qualche anno sono legato alla battaglia della famiglia Shalit e ho cercato di aiutarli in ogni situazione, ogni volta che me l'hanno chiesto. Sono intervenuto e ho parlato a manifestazioni e cortei. Ho scritto della necessità di liberare Shalit regolarmente sui giornali. Sono andato a incontrare i primi ministri che avrebbero potuto liberarlo: e ho parlato non solo della sua situazione psicologica e fisica, ma anche della situazione della società israeliana dopo i lunghi anni di prigionia. Più volte ho anche criticato colleghi e amici, scrittori israeliani le cui idee sugli accordi di pace e sui Territori occupati leggete regolarmente, ma che non si sono espressi in modo degno su Gilad Shalit.
Il motivo delle mie azioni è stato doppio. Innanzitutto, perché veramente credevo che bisognava liberarlo anche in cambio di molti terroristi. In secondo luogo, credo nell'ethos israeliano, secondo il quale non si lasciano feriti sul campo. Fa parte della nostra identità, è un ingrediente della nostra forza. Ma lo so anche personalmente. Molti anni fa, quando ero soldato all'età in cui Gilad Shalit è stato rapito, sono stato ferito gravemente e i miei amici mi hanno salvato. Sono stato ferito da quello che si chiama «fuoco amico», salvarmi non fu pericoloso, ma non dimenticherò mai i miei amici tornare nel buio, cercarmi, trovarmi sdraiato tra la vegetazione e poi trasportarmi salvandomi la vita. Questa mutua responsabilità, credo, è una componente della sicurezza non meno importante delle armi, e dal punto di vista etico è sicuramente più importante di ogni arma. È vietato violare questa mutua responsabilità. Israele aveva abbandonato in questo modo un suo pilota, Ron Arad, fatto prigioniero in Libano venticinque anni fa, che non è mai piu tornato, e fino ad oggi questo rappresenta una ferita aperta per la nostra collettività.
In questi anni ho incontrato più di una volta i genitori di Gilad Shalit, Aviva e Noam. Sono persone riservate ed educate, non si sono mai comportati in modo emozionale, ricattatorio o violento. E la famiglia Shalit non ha mai sfruttato il fatto di aver già perso un figlio, il fratello gemello di Noam Shalit, Yoel, morto nella guerra del Kippur.
Persino il primo abbraccio di Noam per suo figlio è stato riservato. Non ho dubbi che il precedente primo ministro d'Israele Ehud Olmert, e quello attuale, Benjamin Netanyahu, abbiamo sfruttato questa riservatezza. Ci sono stati persino dei casi in cui dei ministri israeliani hanno accusato la famiglia Shalit di aver compromesso i negoziati per la liberazione. Ora è chiaro che la colpa è solo loro, che Gilad si poteva liberare da anni. Quando Olmert ha deciso di entrare in guerra con il Libano, non ha avuto bisogno di anni di indecisioni e riflessioni: eppure, non ha portato a termine i negoziati. E anche Netanyahu avrebbe potuto liberarlo prima. Shalit non era prigioniero solo di Hamas, ma anche della mancanza di visione e di orizzonte, così come dell'inconsistenza delle azioni del governo israeliano.
Spero che Gilad Shalit si rafforzi e riacquisti la sua salute al piu presto, perché non è ancora chiaro quale sia il danno psicologico e fisico che la lunga prigionia in isolamento gli ha procurato. Spero che la sua famiglia torni alla propria modesta e privata vita. E spero che la sua liberazione aiuti in qualche modo il processo di pace. Le famiglie israeliane che hanno perso i propri cari in atti di terrorismo hanno già fatto sentire parole di odio e violenza. E nelle feste per il ritorno dei prigionieri di Hamas si sono sentite principalmente parole che inneggiano alla morte, gli assassinii e il suicidio. Con mia grande tristezza non sono parole che escono da poche bocche di estremisti, ma opinioni condivise e la linea della loro leadership. Ma forse, nonostante tutto, ci sono una qualche possibilità e una qualche speranza. In particolare, spero che il governo israeliano consolidi una politica chiara e che segua dei principi, quando si tratta di prigionieri — e se fosse possibile, anche in altri campi.
Ma oggi, il giorno in cui Gilad Shalit è stato liberato ed è tornato a casa in cambio di più di mille terroristi, sono felice e orgoglioso di essere israeliano. È una sensazione bella e sicuramente rara per me. Dalla guerra dei Sei giorni ho avuto molti motivi e molte occasioni di non provare questo orgoglio. Ma oggi quando vedo Gilad Shalit tornare a casa e Israele santificare la vita, sono orgoglioso e felice di essere israeliano. Tra una settimana probabilmente mi passerà — ma oggi mi sento così.

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